Anna Lombroso per il Simplicissimus
“Se il Mose funziona, lo vendiamo ai cinesi”, è uno degli ambiziosi propositi del candidato sindaco di Venezia per il centro destra, Luigi Brugnaro ex presidente di Confindustria, imprenditore ma anche filantropo per aver contribuito al sofferente bilancio della città allora governata dal filosofo Cacciari, con l’acquisizione di un’area, destinata dal Piano regolatore a verde pubblico urbano, parcheggi e infrastrutture di uso collettivo, grazie alla rinuncia del diritto di prelazione esercitato dal comune che non possedeva i fondi necessari alla bonifica del sito nel quale nel tempo erano stati scaricati «300.000 metri cubi di gessi e fanghi industriali speciali e tossico nocivi».
Nemmeno il candidato in lizza contro Casson poteva permettersi disinquinamento e valorizzazione, tanto che i veleni sono ancora là: l’operazione di risanamento e rilancio dell’area non ha “funzionato” e quindi i Pili, così si chiama l’area di Marghera a ridosso del Ponte della Libertà, comprata a prezzo stracciato per soli 5 milioni, e le loro puzze, secondo la dizione papale, se li devono tenere i veneziani, invitati a collaborare con le loro tasse all’azione di recupero, in mancanza di provvidenziali investitori cinesi.
Potrebbe aver successo il Brugnaro che vuole la Tav a Mestre, che si propone di trasferire in terraferma il municipio, che non vole lasciare le grandi navi a Trieste, e che sfida con sfacciata sicumera l’evidente conflitto d’interesse tra le sue proprietà – tra le quali l’80% dell’azionariato della società cui è stata concessa per 42 anni in regime di fidejussione in cambio del restauro, la Scuola Grande della Misericordia, anche quella in stato d’abbandono, perché l’uomo ha la bocca più grande del portafoglio – e quello generale. È proprio nel solco dell’ideologia di governo del fare. Che lui ha già rassicurato: se verrà eletto in quelle proprietà dopo gli annunci non realizzerà nulla. E che se una realtà è sana e “funziona” la si vende, altrimenti resta sul gobbo dei cittadini.
Magari potessimo fare come loro, vendere l’Italicum all’estero come proclama con orgoglio il premier, meglio ancora, cedere il premier stesso, il candidato sindaco, il ceto politico e imprenditoriale, l’Expo, la buona scuola, la Rai, prodotti che “vanno bene”, fanno una buona riuscita secondo i principi della propaganda che sovrintendono ormai le nostre vite, al servizio di sfruttamento di molti per il profitto di pochi,
E se vince possiamo immaginare che destino attende il pacchetto dei 48 immobili e aree statali ceduti al Comune di Venezia da parte dell’Agenzia del Demanio: il molo comunale all’isola del Tronchetto, i Giardini della Marinaressa in Riva dei Sette Martiri, l’ex ridotto vecchio, l’ex caserma della Guardia di Finanza, il Casotto telemetrico e un terreno a Sant’Erasmo, un terreno agli Alberoni e due a Burano, negozi del Lido, l’ex campo dell’aviazione di Campalto, l’ex elioterapico a San Giuliano, una porzione del Poligono di tiro a segno del lido, un appezzamento di terreno a San Nicolò, l’ex caserma di artiglieria di San Pietro in Volta, una porzione di terreno lungo il Canal Grande a Cannaregio, un fabbricato di pertinenza di Villa Elena a Zelayino. E poi caserme e Batterie, l’ex piazza d’Armi di Sant’Elena e l’ex Monastero di Sant’Anna a Castello, ma anche il Palasport dell’Arsenale e l’area cantieristica della Giudecca, l’arenile degli Alberoni, piazzale Ravà e via Klinger, l’ex Luna Park. Lo stesso toccato a due edifici a villa della Giudecca immersi nel verde di un giardino aperto, lo stesso di Ca’ Corner della Regina (Prada), del Fondego dei tedeschi (Benetton), dell’Ospedale al mare del Lido (Cassa Depositi e Prestiti dopo le opache vicende che hanno “scavato” la voragine aperta del Casinò del Lido). E lo stesso dell’Isola di Poveglia, che proprio il Brugnaro si aggiudicò in un’asta contro una cordata di cittadini, per per 513 mila euro.
Si è facili profeti purtroppo: quello che è accaduto e succederà a Venezia è quello che aspetta le città italiane, strangolate da un patto di stabilità iugulatorio che viene impiegato per rivalersi sui servizi ai cittadini e come alibi per la messa all’incanto dei beni comuni, mentre i conferimenti statali vengono indirizzati sulle grandi opere, catalizzatrici di grande corruzione. Dubito intendesse questo Marco Polo, quando dice a Kublai Khan “Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia”, Si adatta meglio forse un’altra sua frase “L’inferno dei viventi, non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme” , l’inferno che viviamo e le sue fiamme che bruciano la vita e la giustizia, l’eguaglianza e la libertà, la democrazia e la cultura, il passato e il futuro.