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Sul pragmatismo della politica estera cinese

Creato il 10 novembre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Ch-mapdi Michele Marsonet. L’analisi della politica estera cinese in quest’ultimo periodo, in particolare da quando Xi Jinping è entrato in carica come Presidente attorniato da un gruppo assai coeso, rivela molti motivi d’interesse. Dopo aver metabolizzato l’idea di essere diventata una grande potenza a tutti gli effetti, in competizione con altre che puntano a contenere la sua espansione, la Repubblica Popolare sta adottando un approccio pragmatico nei rapporti con gli altri Paesi.

Fa eccezione soltanto l’atteggiamento assunto nei confronti delle nazioni confinanti che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale o comunque vicine alle sue coste. In questo caso è chiaro che Pechino considera strategico per i propri interessi economici e geopolitici il vastissimo tratto di acque del Pacifico che attorniano i suoi confini, e ha dato in più occasioni l’impressione di non temere lo scontro armato qualora ritenga che tali interessi vengano violati.

Nello scacchiere mondiale, invece, la RPC cerca sempre di instaurare un dialogo costruttivo con alcuni Paesi ritenuti importanti in un’ottica che prevede, in tempi piuttosto brevi, un allargamento dell’influenza cinese a livello politico, economico, commerciale e anche culturale. In quest’ultimo caso ha ricevuto ulteriore impulso la creazione della già fitta rete degli “Istituti Confucio”, sotto molti aspetti paragonabili agli Istituti Italiani di Cultura attivi presso le nostre Ambasciate e Consolati. Ed è importante notare che, a differenza dei tempi di Mao, i funzionari puntano a far conoscere anche gli aspetti più antichi e tradizionali della civiltà cinese.

Per quanto riguarda il piano più propriamente diplomatico, la Repubblica Popolare ha individuato una serie di potenziali partner strategici con i quali costruire alleanze flessibili, basate su relazioni stabili e sulla “comprensione reciproca”. Non si tratta però di “alleati” nel senso usuale del termine. L’intento non è quello di firmare trattati formali e vincolanti in materia, per esempio, di difesa o di commercio. Si sottolinea piuttosto l’opportunità di concordare linee d’azioni comuni dopo aver constatato che in certi settori gli interessi cinesi e quelli della nazione prescelta coincidono.

Ne deriva, tra l’altro, una conseguenza piuttosto sorprendente dal punto di vista occidentale. Ai suddetti partner strategici non viene attribuita alcuna caratteristica di esclusività. La Cina intende sceglierne anche più d’uno in una stessa area se ritiene che ciò favorisca i suoi interessi. Si può insomma avere il caso di due Paesi che sono tra loro in conflitto, ma entrambi parte della rete di partnership voluta da Pechino.

Nell’Asia meridionale l’Indonesia è considerata un partner ideale a causa della sua economia in espansione. Lo stesso dicasi nell’Asia nord-orientale per la Repubblica di Corea, nonostante i suoi stretti rapporti di alleanza con gli Stati Uniti. Da tempo la Cina sta cercando un rafforzamento delle relazioni con Seul giocando anche sul fatto di essere l’unico Paese a conservare una certa influenza nell’impenetrabile Corea del Nord, e tale strategia è considerata la più adatta per allentare le tensioni nell’area.

C’è anche il proposito di considerare partner strategici tanto il Pakistan quanto l’India a dispetto dei loro profondi contrasti. Entrambi hanno bisogno della cooperazione cinese per progredire economicamente. Il miglioramento dei rapporti con la Russia è da tempo un obiettivo prioritario di Pechino, e la questione ucraina ha fornito l’occasione per procedere a passo più spedito in tale direzione.

Venendo infine all’Europa, un ruolo importante è attribuito alla Germania soprattutto a causa del suo peso economico e della leadership di fatto che esercita all’interno della UE. Ma anche Francia e Italia possono essere, secondo gli analisti cinesi, partner strategici nel senso anzidetto, mentre il Regno Unito è considerato troppo vicino agli USA e criticato per quelli che la Repubblica Popolare ritiene “tentativi di ingerenza” nella questione di Hong Kong.

Da quanto detto è facile ricavare l’impressione che la RPC sta elaborando – e praticando – una politica estera sul piano globale, in linea del resto con il ruolo di grande potenza di cui, come dicevo all’inizio, diventa sempre più conscia.

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