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Sul radicalismo di destra e di sinistra

Creato il 20 settembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
DSC01440di Michele Marsonet. E’ interessante osservare come gran parte della stampa e dei mass media italiani assumano un atteggiamento molto diverso nell’analizzare l’avanzata in Europa dei partiti di destra e di sinistra radicale. Semplificando – ma senza discostarsi troppo dalla realtà – i successi della destra radicale sono presentati al pubblico come un grave pericolo per l’intero continente. Quelli della sinistra radicale, invece, non destano la stessa preoccupazione e, assai spesso, vengono percepiti come un bene (anche se il grado di approvazione varia da testata a testata).

A mio avviso è lecito, per non dire doveroso, interrogarsi circa i motivi di un trattamento così diverso nei due casi. Penso che una prima risposta vada cercata nei ricordi che la destra radicale evoca sin dalla fine del secondo conflitto mondiale. Accade che movimenti di quel tipo facciano subito pensare a nazismo e fascismo, i cui fantasmi sembravano – forse a torto – banditi per sempre. Si dà tuttavia il caso che la storia, a dispetto dei tanti pareri contrari, non proceda in modo lineare, nella direzione di un crescente progresso e dell’affermazione universale dei diritti umani. Tende piuttosto a ripetersi, magari non in forme identiche, ma che tuttavia si assomigliano.

A questo punto si pone però un problema che suscita perplessità. Non è solo la destra (ripeto: radicale) ad avere tanti scheletri nell’armadio, giacché anche la sinistra da questo punto di vista non scherza. Non occorre scomodare i soliti Lenin e Stalin. Un passato molto recente ci sussurra all’orecchio il nome di Pol Pot, e aggiungo che pure Mao e i suoi seguaci hanno per lungo tempo praticato una politica basata sulla repressione continua e senza limiti.

Facile rispondere che la sinistra radicale di oggi nulla ha a che fare con i suddetti dittatori, dal momento che i suoi esponenti sembrano piuttosto gli eredi del marxismo umanistico della Scuola di Francoforte e, in alcuni casi, dell’anarchismo. Può darsi sia così. Ma allora – chiedo – perché non concedere lo stesso beneficio d’inventario a chi si colloca nel quadrante opposto dello spettro politico? In altri termini, perché dovremmo automaticamente considerare la destra radicale erede di Hitler e di Mussolini, mentre si afferma con sicurezza che la sinistra radicale si è sbarazzata una volta per tutte dei fantasmi oscuri che ne hanno percorso la storia?

Pongo il quesito senza avere risposte pronte a portata di mano. Mi limito a notare che la difesa delle identità nazionali è considerata di destra, anche se tale fatto è tutt’altro che scontato. Lo stesso dicasi della preferenza per l’assimilazione piuttosto che per il multiculturalismo. E noto, infine, che vengono talora equiparati persino l’autoritarismo e la proposta di leggi di ordine pubblico. Equiparazione piuttosto strana, dal momento che “sinistra” e “ordine pubblico” – come dimostra sempre la storia – non sono affatto termini antitetici.

Oggi, quando si parla di tali argomenti, vengono subito in mente questioni drammatiche come quella dell’immigrazione. Ma la mentalità corrente applica le stesse distinzioni anche in casi di portata più limitata. Un solo esempio. Dopo il disgraziato episodio della chiusura del Colosseo per un’assemblea sindacale e il decreto del governo che equipara i beni culturali ai servizi di interesse pubblico, i sindacati sono subito scesi sul piede di guerra. Appoggiati da “Repubblica” che, in prima pagina, si chiede perché mai si debba ritenere inaccettabile la chiusura di un monumento a causa di un’assemblea sindacale. Lasciando inoltre capire che la mossa del governo è, ovviamente, di destra.

Ben poca importanza rivestono le vibrate proteste dei turisti stranieri che, spesso con soltanto un paio di giorni a disposizione, non possono così accedere al simbolo stesso di Roma. Né vale rammentare che l’episodio reca l’ennesimo grave danno all’immagine del Paese. Contano poco, queste cose, a fronte del diritto degli addetti di proclamare scioperi improvvisi e nelle giornate di maggiore affluenza turistica. Il tam-tam sui social network si è subito fatto sentire e, manco a dirlo, è quasi “in toto” contrario al decreto governativo e favorevole al diritto di sciopero senza limiti.

E’ come se nella società italiana (e in quella di numerose nazioni europee) si fosse diffuso negli ultimi decenni una nuova forma di senso comune, secondo il quale la sinistra radicale ha comunque ragione e gli altri torto. Un po’ strano, mi sembra. Tornando alle considerazioni iniziali, si percepisce la vecchia idea che la storia sia il palcoscenico della lotta tra il Bene e il Male, restando inteso che il primo sta tutto da una parte e il secondo dall’altra. E’ lecito esprimere dei dubbi al riguardo?


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