Sul terrorismo… mediatico e sul datato problema del serpente che si morde la coda.

Creato il 13 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
di Rina Brundu. C’era un tempo in cui nelle grandi corporazioni multinazionali si parlava di terrorismo… mediatico. Non era troppo tempo fa. Era il periodo successivo al default della banca commerciale americana Lehman Brothers e i primi reportages, articoli, titoli sulla crisi cominciavano a comparire a caratteri cubitali sulle Homepages delle principali testate giornalistiche mondiali. Era ferma opinione degli “squali” finanziari che tutto quel balliame mediatico non aiutasse a risolvere… come se il tacere, il silenzio, potessero diventare una sorta di potente balsamo salvifico in grado di mettere una qualche pezza sul malfatto precedente.

Una impossibilità ideale e operativa, naturalmente. Tuttavia nell’attuale emergenza terroristica – che è una realtà e che non sarebbe opportuno ignorare mettendo la testa nella sabbia alla maniera dello struzzo – c’é da chiedersi se gli interessatissimi operatori finanziari già citati non avessero una qualche ragione. È indubbio infatti che dietro gli atti terroristici di Parigi ci siano burattinai potenti, fanatici del proselitismo e di una malinterpretata idea di cosa sia la religione, ciò nonostante è pure fuor di dubbio che alcune schegge impazzite non possano rappresentare – a nessun titolo – la grande galassia islamica.

C’é da chiedersi insomma se tutto questo “baillame” pubblicitario – che da un lato servirà senz’altro a favorire la causa di chi sta sinceramente lottando contro la follia del fanatismo e dell’integralismo religioso – dall’altro non contribuisca ad esaltare le gesta di questi gruppi fondamentalmente sparuti, trasformandole in atti pseudo-eroici da ricordare e da imitare. Vedendo e rivedendo scorrere sulle tv di tutto il mondo le immagini della terrorista francese fuggita in Siria, la sua immagine di amazzone sui generis in lotta contro quelle che considera le ingiustizie del mondo, non ho potuto fare a meno di pensare allo status di “eroina-guerriera” che avrebbe (che forse ha già) acquistato presso dati circoli. E dunque alle conseguenze che simili “infatuazioni” collettive e malate possono portare.

Quindi la stampa dovrebbe tacersi? Assolutamente no! Ma forse autoregolamentarsi in qualche modo, salvaguardando la libertà d’espressione e il dovere informativo. Per certi versi la faccenda ricorda l’antico dilemma… finanche simbolo… dell’uroboro, ovvero del serpente che si morde la coda ricreandosi continuamente. Il suo corpo diventa il suo cibo. Domanda: ma se il corpo è malato il serpente si avvelena? O piuttosto – fuor di metafora – è questa sorta di isteria collettiva mediatica che è finanche necessaria per curarci? Per guarire? Esiste un qualche saggio in grado di risolvere l’arcano una volta per tutte?

Featured image, una rappresentazione dell’Uroboro.

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