Sul Treno Bangkok-Vientiane: Pane e Patatine, Bagni e Malfattori – 2

Creato il 13 giugno 2014 da Sunday @EliSundayAnne

Dove eravamo rimasti? Ah sì: che io e Hamed ci siamo fiondati alla stazione dei treni di Bangkok e stiamo salendo sul treno notturno delle 20 per Vientiane. Se vi foste persi una puntata, leggete la prima e poi tornate qui (spero).

Saliamo sul treno, che ci lascerà a Nong Khai, città thailandese di frontiera, dove scenderemo alle 7.45 del mattino: la Repubblica Popolare Democratica del Laos si trova a solo un chilometro e mezzo dalla stazione dei treni. Il biglietto ci è costato circa 25 euro a testa per viaggiare in prima classe: io avrei anche viaggiato in seconda, dove dividi i posti letto con gentaglia mista (ci ho già fatto l’abitudine), ma Mister Comodità aveva paura di furti vari (primo) e sguardi indiscreti (secondo), e deve viaggiare in prima.

E quindi eccoci qui, in un metro per uno di cabina letto, con i bagagli ammassati sotto il finestrino, l’aria condizionata gelida e (com’è giusto) il divieto di fumare. Dovete sapere che il Nostro fuma qualcosa come due pacchetti di Dunhill al giorno, il che rappresenta già un miglioramento, visto che fino all’anno scorso ne fumava tre, di pacchetti. Al mio sguardo scandalizzato aveva risposto così: Tanto prima o dopo bisogna morire di qualcosa, quindi tanto vale che faccio quello che mi piace!”. E lì – per la prima volta – non ho potuto dargli torto.

Quindi, si deve sempre mangiare all’aperto, bere qualcosa all’aperto, prendere la camera in albergo per fumatori, affinchè Sua Signoria possa non andare in astinenza da dieci minuti senza sigaretta in bocca. E quindi, appena sistemati, Hamed va a cercare sul treno la sua possibilità  di rovinarsi i polmoni tranquillo, e io il bagno. Non prima, però, di scendere dal treno a turno per comprare qualcosa da mangiare. Non essendoci la carrozza ristorante, decidiamo di acquistare la cena al negozio della stazione, il quale, come ogni negozio asiatico che si rispetti, vende bicchieroni di noodles da far rinvenire con acqua calda per trasformarli in soup, o panini preconfezionati al maiale.

Noodle soup omanita, usata nelle emergenze culinarie



Alle otto in punto il treno parte e noi, che avevamo saltato il pranzo (il gelato Magnum ma non fa testo), decidiamo di cenare. Ognuno tira fuori il suo sacchetto. Gli chiedo fiduciosa:

- “Cos’hai comprato?”

- “Pane e patatine. E tu?”

-”Pane”.

E così Hamed, che è uno chef provetto, decide di preparare degli invitanti sandwich alle patatine, che mastica sereno cercando di mandare giù il seccume con gollate di acqua fresca. Gli dico che dovrebbe seriamente pensare di lasciare il lavoro di trivellatore per aprire un ristorante. E poi mi butto anch’io a capofitto su quella delizia.

Mentre cerchiamo di far scendere l’ultimo boccone, sentiamo bussare alla porta: è l’addetto ai pasti che, serafico, ci chiede se vogliamo ordinare qualcosa per cena, porgendoci un invitante menù. Abbiamo lo stomaco pieno di pane e patatine, ma vuoi non ordinare qualcosa? E così optiamo per due omelette accompagnate da riso bianco. Poi l’addetto ai pasti ci chiede se vogliamo della birra: io rispondo subito che sono astemia, Hamed risponde subito che ne vuole una. Piccola, però. L’uomo ci saluta con un sorriso e scompare nel corridoio del treno, per poi ricomparire poco dopo con le omelette, del riso secchissimo e un bottiglione di birra Chang.

Appena metto un pezzo di omelette in bocca, ho come il sentore che non mi farà bene. Ma – come sempre – non seguo il sentore e continuo a mangiare, pur senza fame.

Poi arriva l’addetto alla preparazione delle cuccette, che, da sotto una mascherina azzurra anti-microbi, ci invita a uscire. Quando rientriamo, i letti sono stati preparati con cura e le lenzuola candide sono state disposte alla perfezione, insieme ai cuscini e due coperte: non ci resta che andare a dormire.

Mentre Hamed va a fumarsi l’ultima sigaretta in fondo del corridoio vicino al bagno, io ammiro il paesaggio circostante: il treno attraversa villaggi e mercati, sfiorando case e botteghe di pochi centimentri, al punto che in alcuni villaggi la gente sposta il banchetto all’arrivo del treno, per poi risistemarlo subito dopo.

Il paesaggio è verde brillante prima di essere inghiottito dalla notte, la quale inghiotte anche noi in un sonno cullato dal dondolio del treno.

La mattina alle cinque mi sveglio con un leggero mal di pancia, e mi precipito in bagno. Ma perchè non c’è mai quello alla turca, quando serve? Poichè non sono brava a espletare le mie funzioni corporali stando con le gambe semi-piegate (se c’è qualcuno là fuori che ci riesce, me lo dica e lo invito in Oman), adotto il sistema insegnatomi da una ragazza anni fa: mettere i piedi sul wc come fosse alla turca, tanto più che il bagno è già ridotto a ciò che comunemente denominiamo “cesso”. Qualche anno di ginnastica artistica mi ha regalato un equilibrio eccellente, ma lo sconsiglio a chi ne ha poco, per non rischiare di finire con un piede nel buco. Prima di arrivare a Vientiane farò visita al bagno ancora un paio di volte, e sempre con il foulard attorcigliato intorno a bocca e naso a mò di bandito, tanto è l’odore di urina.

L’ultima volta, uscendo dal bagno, noto che di fianco c’era un altro bagno, e dalla filura della porta intravedo una mamma che sta facendo fare la pipì al suo bambino, dentro il piatto di una doccia. Che bello, una doccia nel treno! Però non la farei mai.

Torno nella mia cabina e ci prepariamo per scendere, non prima di rivelare a Hamed il mio stupore di aver visto una doccia sul treno. “Ma non è una doccia, baby: è un bagno alla turca!”, mi informa ridendo, “Non lo sapevi?”. No, non lo sapevo, deficiente: io non sono andata a fumare vicino ai cessi ogni due ore.

Prima di scendere, l’addetto alla cena viene a ritirare i soldi della colazione. Questi ci sorprende mentre discutiamo sul cambio degli euro in thai bath, e si offre gentilmente di cambiarci i soldi lui. Decidiamo di cambiare ancora 30 euro, che l’uomo ci restituisce in bath. Mentre Hamed conta i bath, il gentiluomo ci dice “Guarda che mi hai dato solo 20 euro!”. Hamed mi guarda stupito, e all’insistenza dell’uomo decide di lasciar perdere e dargli ancora 10 euro.  Mentre il giovanotto scompare nei meandri del treno, Hamed rifà un rapido calcolo e si rende conto che l’ha fregato. Ma ormai il gentiluomo è felicemente uccel di bosco.

Scendiamo dal treno: evviva, siamo quasi al confine della Thailandia! Hamed mi stampa un bacio sulla guancia prima di guardarsi intorno cercando qualcosa che abbia le sembianze di un tuk tuk: “Non vorrai mica andare al confine con il Laos in minibus, no?”.

Eccolo già sistemato sul tuk tuk, che per pochi thai bath ci porterà al confine: bye bye Thailandia!


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