Li vedi che si ergono a cruschici tenutari della grammatica itagliana e capace che non sanno manco inchiodare un congiuntivo sulla croce sua.
Ora, da ex-correttore di bozze, lo imparo lo prendo per dogma e via andare non lo sbaglio più. Ma da normale cittadino, ex-scolaro fruitore di una garbata istruzione statale e all'occorrenza scrivano, se c'è un errore (calmi, state calmi, possiamo rimanere tutti d'accordo che resta un errore - non starò qui a citarvi le affascinanti tesi di chi lo reputa corretto, che comunque fioriscono) che mi va di giustificare è proprio l'apostrofo del qual'è.
Non siamo di fronte a uno/una dove il genere femminile offre la sponda per una motivazione rispettabile, riconoscibile e comprensibile anche dal bambino di seconda elementare.
Ma anche senza infilarsi nell'antro bigio di troncamento o elisione, qual è è qual è, non ce l'ha una classificazione di genere a fare da spartiacque, e allora?
Non lo si può interpretare come un banale "quale è" che perde la sua "e" e che quindi fa la lacrimuccia?
No? E perché mai?
Ma la discussione primaria sulla necessità dell'apostrofo o meno scivola in secondo piano quando i toni inopinatamente si alzano per una questione, in fin dei conti, di scarsa rilevanza linguistica; come se dal corretto uso di un apostrofo (quello!) dipendesse la qualità dello scritto, della narrativa o anche solo delle slide d'una presentazione.