Sull’estetica delle molecole, ovvero può una molecola essere sexy?

Creato il 18 novembre 2012 da Gifh

La bellezza è una caratteristica che fornisce un’esperienza percettiva di piacere e soddisfazione, indipendentemente dal tipo di oggetto a cui viene attribuita, ma a esclusiva discrezione dell’osservatore. La bellezza ideale è un’entità degna di ammirazione, oppure possiede caratteristiche condivisibili che tendono alla perfezione. Ma cosa rende bella una molecola? Possiamo solo ridurci ad una mera semplicità come una struttura perfettamente simmetrica, oppure potrebbe essere coinvolta una complessità estrema, come la ricchezza di dettagli strutturali necessari ad una specifica funzione?

Talvolta la bellezza di una molecola può essere palese, come nel caso evidente del fullerene, o ancora meglio del kekulene, ma in altri casi è nascosta, camuffata per essere rivelata alla giusta occasione o all’osservatore più attento. Anche la novità, la sorpresa o l’inaspettata utilità possono giocare un ruolo nell’estetica molecolare, come avremo modo di esplorare solo continuando a leggere.

Nei testi scientifici non è facile trovare esempi di affermazioni imprudenti del tipo “quella bellissima molecola sintetizzata dal gruppo di ricercatori…” o “il fascino della struttura molecolare risiede nella coordinazione dei legami …”, dove il descrittore emozionale sarebbe inutile oltre che probabilmente del tutto soggettivo e inopportuni. Per questo motivo i giudizi estetici nella chimica acquisiscono una dimensione decisamente popolare, quasi folk, per una sottocultura formata da chimici che tentano di esplorare razionalmente gli attributi della bellezza applicata alla propria mercé. Una ricerca che potrebbe ricalcare perfino antichi rituali e costumi tribali nell’intento di disseppellire ciò che il significato della bellezza in chimica assume nell’improbabile natura di un’indagine antropologica.

L’ossitocina tatuata

Sebbene esistano criteri comuni e ampiamente condivisibili sull’aspetto percettivo del bello, in ogni caso non bisogna ricadere nella solita arida analisi critica, apparentemente distaccata, che rivela con chirurgica ironia l’ingenuo concetto di bellezza sostenuto da un ristretto gruppo di specialisti sofisticati. L’onestà e l’intensità della risposta estetica dei chimici, qualora si permettano di esprimerla, deve essere recepita in maniera positiva, quasi fosse l’indizio di un bene non formulato, un’evidenza di tipo spirituale come un segnaposto da registrare, da enfatizzare per effettuare connessioni virtuose con altre esperienze estetiche piuttosto che una sensazione puramente soggettiva. I giudizi estetici sulla chimica provenienti dai chimici forse sono tra quelli con la maggiore cognizione possibile, una consapevolezza che l’estetica artistica non potrà mai raggiungere, se non con archetipi consolidati di comune apprezzamento.

Il problema naturalmente è quello di dimostrare al di fuori di quella nicchia di sofisticati, cosa fa palpitare l’anima di un chimico con il piacere della visione di una certa molecola e forse vale la pena di provare ad approfondire quella forza motrice emotiva che si genera intensa durante una contemplazione disinteressata.

La forma delle molecole

Iniziamo dall’ovvio, un aspetto della chimica disponibile da poco più di un secolo: la struttura delle molecole. Le molecole hanno una forma, non sono per niente statiche, ma vibrano in ogni momento della loro esistenza. La geometria di una molecola può essere semplice, ma anche estremamente complicata. Se ad esempio guardiamo il dodecaedrano (C20H20), una molecola con la struttura di un dodecaedro a facce pentagonali con 20 vertici carboniosi dai quali si diramano verso l’esterno altrettanti atomi di idrogeno, ci rendiamo conto immediatamente di avere di fronte un solido platonico bellissimo nella sua semplicità e semplice nella sua bellezza che ha richiesto molti anni per la sua sintesi da parte di Leo Paquette e dei suoi collaboratori. Pensate che in questo solido esistono ben 120 piani di morbida simmetria e nel Timeo di Platone dopo il fuoco, la terra, l’aria e l’acqua, al dodecaedro fu assegnata l’”etere” o “quintessenza” che componeva i corpi celesti e l’anima, in pratica secondo il filosofo, il cosmo aveva la forma del dodecaedro.

La seconda molecola di cui ci occupiamo si chiama biciclo[3,3,3]undecano, manxano per gli amici, così battezzato perché ricorda l’emblema dell’Isola di Man, il triskelion o triscele. Questo era un riferimento diretto al motto in latino dell’isola: Quocunque Jeceris Stabit, che significa “Ovunque lo si getti, resterà in piedi”, per sottolineare la fermezza e la forza di carattere degli isolani, poi adottato diffusamente. Impossibile non notare la perfetta simmetria rotazionale che mutua le tre gambe con il ginocchio piegato  e spesso imperniate su un volto o su un triangolo. Dopo la sua sintesi un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Illinois creò un analogo del manxano con un atomo di azoto al posto del carbonio nella posizione della testa di ponte. il Professor Leonard, creatore di questa nuova molecola battezzandola manxine, quasi a voler dare una compagna al suo omologo che differisce solo per ciò che si trova al centro, ovvero letteralmente tra le gambe del triscele.

Se provassimo a vedere una bellezza il cui tocco fosse un po’ più arduo da apprezzare, ci troveremo di fronte a qualche difficoltà preliminare, nonostante non ci troviamo nell’ambito della chimica organica. Arndt Simon e Tony Cheetham hanno sintetizzato alcuni tipi di niobati, strutture molecolari dalla formula bruta NaNb3O6, ma dalla struttura estesa nel quale gli atomi di sodio, niobio e ossigeno formano piccoli cristalli propagandosi all’infinito. La figura successiva rende bene ciò di cui sto scrivendo, una vera supermolecola. La prospettiva bidimensionale, che deve essere elaborata mentalmente, evidenzia solo un piccolo troncone del solido a lunghezza indeterminata nel quale è possibile distinguere chiaramente i vari strati: lo strato A contiene solo atomi di niobio e sodio, lo strato B da niobio e ossigeno arrangiati in un complesso strutturale apparentemente attorcigliato in maniera complessa. I mattoncini di questo strato formano un ottaedro di atomi di ossigeno che circondano un atomo di niobio.

Se prendiamo la figura nel suo insieme, otterremo una schiera semi-infinita di questi ottaedri connessi in una matrice monodimensionale grazie alla condivisione dei vertici opposti. La particolarità risiede nella precessione degli atomi di niobio visti nell’asse della profondità, che come si può astrarre risultano sfalsati in maniera alternata, uno sfalsamento che si stacca dall’asse creato dalle file di atomi di ossigeno e che genera un’asimmetria ordinata diversa da quella ideale dell’ottaedro regolare. Questa particolarità implica, per garantire i canoni dell’estetica, che talvolta bisogna accettare il fatto che una qualsiasi “asimmetria simmetrica” è una di quelle complessità che rendono la vita interessante. Del resto ci si potrebbe domandare per quale motivo questi atomi non si legano in una configurazione diretta, con la condivisione dei vertici in un sistema di linee parallele tale da eclissare perfettamente le rotondità più profonde. E invece no, questi si annodano contorcendosi in una figura meno lineare, ma pur sempre simmetrica, lasciandoci l’idea che la natura sia intimamente insubordinata.

Questa però è solo una faccia dell’intero, dato che finora abbiamo considerato solo lo strato B. Il disegno mostra che lo strato A è composto da linee di sodio e niobio. Si potrebbe pensare che tutti questi atomi siano disposti in maniera equidistante, ma questa molecola nasconde un’altra sorpresa. Mentre gli atomi di sodio sono approssimativamente equidistanti tra loro, il niobio si dispone appaiandosi a due a due sull’asse (non visibile dalla prospettiva) così da determinare due legami Nb-Nb distinti, uno corto da 2,6 Å(1 angstrom = 10-10 metri) e uno lungo da 3,9 Å. Questo accade a causa del modo in cui gli elettroni si muovono in questi composti, così da ottenere delle subunità consecutive dove gli atomi di ossigeno assumono una conformazione più comoda, quella ottaedrica, definendo nella loro tridimensionalità l’integrazione intima delle singole unità nei due diversi piani dimensionali. Ecco come un analisi della struttura rivela, nel suo essere contemporaneamente simmetrica e asimmetrica, una bellezza intrinseca e impercettibile ad uno sguardo superficiale che si realizza in piccoli (e bellissimi) cristalli neri, nell’estetica testimonianza delle forze naturali che plasmano le molecole e ispirano la bellezza della mente umana e le mani che meno naturalmente ci hanno regalato una tale struttura.

Se è difficile apprezzare le dimensionalità del niobato di sodio, lasciatevi rapire da ciò che il filosofo Immanuel Kant descriveva con le sue parole:

Colui che prova piacere nella mera riflessione circa la forma di un oggetto, dichiara giustamente l’accordo di tutti gli uomini, perché le radici di questo piacere affondano nella condizione di giudizi riflessivi universali,  benché soggettivi, ovvero l’armonia intenzionale di un oggetto (che sia un prodotto della natura o delle arti) in cui coesistono le reciproche relazioni delle facoltà cognitive, l’immaginazione e la comprensione…

Il brutto anatroccolo

Di certo non si può dire che questa a lato sia una bella molecola. Cosa diamine sono quei (CH)12-Cl penzolanti sulla sinistra? E quei cerchi asimmetrici formati da un ciclo di 25 metili sulla destra? Questa molecola, se non brutta (un chimico giudizioso non lo direbbe mai) è alquanto planare nella sua struttura, non è essenziale alla vita, non viene prodotta in quantità industriali, e se vogliamo il suo scopo non è nemmeno del tutto chiaro. Però la chimica si occupa di molecole e delle loro trasformazioni. La bellezza o l’eleganza possono risiedere, in maniera statica, nell’intimo di una struttura, come nel caso del niobato. Oppure può essere riconosciuta nel processo movimentato dell’origine e di ciò che vogliamo ottenere. La cronologia e le intenzioni possiedono un’incredibile potenza di trasformazione: questa molecola è bellissima perché è un punto di svolta, oppure come si dice nel gergo commerciale, un intermediario.

La sintesi dei catenani, molecole con due o più anelli di carbonio interconnessi meccanicamente e non chimicamente legati, può essere condotta in due modi. Il primo consiste in un processo chiamato ciclizzazione nel quale si spera che alcuni degli anelli formati si chiudano incatenandosi tra loro con un approccio per così dire “statistico”. Un metodo che pecca di efficienza, tuttavia ciò non ha impedito a Edel Wasserman e al suo gruppo di ricerca di creare queste nuove molecole nel 1960 avviando uno dei settori della sintesi che negli ultimi anni si è sviluppato più rapidamente e che ha portato sensori e interruttori molecolari per le nanotecnologie.

Il secondo metodo parte con una molecola con diversi gruppi funzionali periferici. Un gruppo funzionale è un insieme di atomi caratterizzati da una struttura e una reattività precise e definite, un  centro reattivo di una molecola più grande di cui si conosce il destino prima di una particolare reazione. La trasformazione di un gruppo funzionale e la sua prevedibilità sono cruciali nella progettazione delle sintesi in chimica organica, concedendo la possibilità di utilizzare strategie sequenziali per ottenere molecole complesse. Questa sintesi conta almeno quattro fasi in cui la ciclizzazione avviene per gradi, un anello alla volta, dove i passaggi intermedi spesso evidenziano molecole di gran lunga più complesse di quelle iniziali e finali che mostrano tutta la bellezza dell’architettura costruttiva che vi è dietro. L’intermedio in figura è il punto cruciale che culmina la sequenza, pronto per formare l’anello rinunciando ai due atomi di cloro terminali predisposti per reagire con il gruppo NH2 centrale. Certo, il risultato finale possiede una bellezza strutturale determinata e percepibile, tuttavia una menzione speciale deve essere obbligatoriamente destinata a quella molecola effimera che si nasconde dietro le quinte del palcoscenico, sebbene sia la più complessa dell’intera sequenza, una particolarità ovvia solo ai suoi progettisti come l’essenza di ciò che arriverà dopo, il magnifico cigno.

In questo capitolo, dove si descrive una proprietà estetica percepibile molto probabilmente solo dalla mente di un chimico, si adotta una prospettiva Kantiana, dove l’intento propositivo (Zweckmässigkeit) abbonda nella molecola raffigurata, ma è alimentata dallo scopo (Zweck), ossia il catenano. Per Kant un oggetto utile come il precursore del catenano, la cui valutazione non è immediata ai sensi in quanto richiede un’azione cognitiva, non potrebbe qualificarsi come bellissimo. Ma come molti osservatori hanno rilevato, questo è un impoverimento troppo restrittivo sul nostro giudizio estetico, la sola conoscenza delle origini, cause, relazione e utilità possono elevare il piacere della mera osservazione. Forse l’emancipazione cognitiva è maggiore in un esame accurato, allo stesso modo in cui potrebbe applicarsi ad un poema di Ezra Pound.

La bellezza delle complessità

Guardando la molecola a fianco sembrerebbe che nulla di bello esista nelle sue curve involute e prive di qualsiasi apparente ordine nella sua evidente complessità. L’apparenza è quella di un grumo di pasta congelata da una zuppa primordiale, con forme e funzioni enigmatiche. Niente di semplicemente bello.

La complessità risulta un problema in qualsiasi estetica, sia in quella delle arti visive, musicali che in chimica. A volte lo Zeitgeist (lo spirito del tempo) sembrerebbe bramare dettagli puntigliosi, come nel rococò tardo barocco o nell’epoca vittoriana, periodi che si alternano con altri in cui si valutano piani più semplici. In realtà il semplice e il complesso coesistono e si supportano a vicenda. Per questo la purezza classica di un tempio greco si basa su fregi scultorei, frontoni e pregevoli statue. Le linee pulite e la semplicità funzionale dello stile Bauhaus o della mobilia scandinava devono molto all’astuta complessità dei materiali e al modo in cui vengono assemblati. Le composizioni musicali di Elliott Carter potrebbero sembrare difficili da ascoltare, tuttavia le singole parti strumentali seguono una linea molto chiara.

Nella scienza la semplicità e la complessità coesistono sempre. L’universo dei fenomeni reali è intricato, i principi di base sono più semplici, o almeno tanto semplici quanto le nostre ingenue menti possono immaginarle. Tuttavia la chimica, la scienza centrale, è differente in quanto la complessità è proprio il suo fulcro e la sua ricchezza, nel reame del possibile. La chimica è la scienza delle molecole e delle loro trasformazioni, non tanto la scienza di quel centinaio di elementi, ma dell’infinita varietà di molecole che da loro sono formate.

Volete la semplicità, una molecola tetraedrica o l’elementare cubo del sale di rocca? Ce l’abbiamo. La volete complicata, abbastanza da dirigere efficacemente un corpo con le sue decine di migliaia di reazioni armonicamente concorrenti? Abbiamo anche quella. Volete che agisca in modi differenti, un ormone maschile qui, uno femminile là, il blu di un fiordaliso o il rosso di un papavero? Nessun problema, una modifica a un gruppo metilico o un protone ci portano rispettivamente all’uno o all’altro. I chimici (e la natura) costruiscono molecole in tutta la loro splendida complessità funzionale.

La bellissima molecola in figura è l’emoglobina, la proteina che si occupa di trasportare l’ossigeno. L’ossigeno trova un sito al centro della molecola di emoglobina costruito appositamente al suo interno, nel quale un atomo di ferro è predisposto ad accoglierla e mentre lo fa si sposta leggermente, l’eme si flette e la proteina circostante si assesta nella nuova posizione.

Come molte proteine, essa è composta da quattro diversi tronconi assemblati insieme a due a due (subunità α e β). Il modo in cui le quattro subunità si uniscono, la loro interfaccia, è un requisito essenziale dello scopo della proteina ovvero quello di portare l’ossigeno dai polmoni alle cellule. Tutte le proteine sono catene polipeptidiche costruite dalla condensazione di aminoacidi, una ventina di molecole contraddistinte da due specifici gruppi funzionali e un radicale diverso ogni volta. Una proteina tipica come l’emoglobina è costituita da 146 aminoacidi connessi. Ecco la sua ricchezza! Pensate a quante combinazioni potrebbero verificarsi con 146 collegamenti tra le molecole se queste fossero libere di scegliere tra venti possibili candidati. L’incredibile gamma di funzioni e strutture chimiche che possiamo vedere in quelle minuscole fabbriche molecolari che sono gli enzimi e in altre proteine derivano da quella chemio-diversità, nulla è dovuto al caso o meramente a scopo ornamentale, ogni dettaglio è funzionale in modo elegante.

Epitomi ed archetipi

Le nozioni classiche sulla bellezza hanno una certa influenza su di noi. Al centro delle idee di Platone e Aristotele sulla realtà vi era l’ideale di una forma universale o essenza. Gli oggetti reali sono approssimazioni di tale forma e l’arte nella concezione dei filosofi greci era solo un imitazione o al massimo, in una concezione positivista, qualcosa di affine alla scienza, la ricerca di un centro essenziale. Concetti come archetipo ed epitome sono presenti nell’estetica greca e si possono trovare anche nella chimica moderna. L’archetipo è la molecola semplice e ideale da cui parte un gruppo di derivati, altrimenti detti omologhi, come lo è il metano (CH4) per gli alcani.

L’epitome è qualcosa di tipico, in possesso di tutte le caratteristiche essenziali di una classe di grado più alto, un compendio riduzionistico esemplare. Questa concentrazione di sensazioni sulla quale ci soffermiamo è uno dei fattori determinanti della bellezza nella chimica. La molecola a destra, una pentilidina al tungsteno che dobbiamo a R. R. Schrock e D. N. Clark è un composto metallorganico e rappresenta un emblema in tal senso, anche se il retroscena deve essere predisposto affinché tale bellezza emerga dalla sua compressione epitomica.

Le molecole esistono perché si formano i legami, il collante elettronico che unisce gli atomi tra loro in aggregati molecolari. In chimica organica i legami possono essere singoli come nell’etano, doppi nell’etilene e tripli quando vediamo l’acetilene. Naturalmente un legame doppio è più forte di uno singolo, ma uno triplo è ancora più forte. La lunghezza di legame concorda con la sua forza, un legame singolo è decisamente più lungo di uno triplo. I diversi legami possono anche comparire insieme in una molecola, tuttavia non bisogna mai dimenticare che il carbonio forma al massimo quattro legami pertanto non si potrà mai avere un atomo di carbonio che contemporaneamente forma un legame singolo, uno doppio e uno triplo. Questa regola però non vale per gli altri elementi, come ad esempio per i metalli di transizione, alcuni dei quali riescono a disporre anche di nove legami.

La concentrata bellezza della struttura raffigurata giace in ciò che il singolo atomo di tungsteno (W) è in grado di offrire: con tre diversi atomi di carbonio esso forma un legame singolo, uno doppio e uno triplo e come se non bastasse, anche altri due singoli con due atomi di fosforo. L’epitome, per ciò che tale molecola rappresenta, intensifica ciò che esemplifica, e per tale concentrazione aumenta il nostro giudizio estetico.

La bellezza come novità

Notevoli sono le forti intrusioni dell’aspetto cognitivo nel giudicare la bellezza delle molecole in cui l’estetica dipende dal fatto di essere membri speciali di una classe. Questa è la novità: nella mente dei chimici il nuovo può colmare il salto tra “interessante” e “bellissimo”. La scienza di sicuro sottoscrive nella sua più intima struttura l’idea dell’innovazione, in forma di scoperta, come nel caso della funzione dell’emoglobina, oppure si ritrova rivelando come gli artigiani precolombiani doravano i metalli senza l’ausilio dell’elettricità. Ma può essere anche la novità creativa, come per la sintesi dei catenani o del composto metallorganico al tungsteno visto poc’anzi.

Noi siamo sempre affamati di nuova conoscenza e la apprezziamo, quindi è interessante riflettere sul gusto genericamente conservativo degli scienziati sulle arti, oppure la loro sorpresa quando gli altri non vedono l’innovazione scientifica o tecnologica come un fatto assolutamente positivo. I chimici apprezzano queste novità, una breccia che trasforma lo scenario della consuetudine, una tiepida intrusione nel panorama mentale, tanto più bella quanto più è nuova quella sorprendente molecola inaspettata.

Se consideriamo ancora l’epitome metallorganico, la consolidata inabilità del carbonio a formare più di quattro legami diventa terreno fertile sul quale crescono milioni di prodotti naturali e di sintesi, tutta la bellezza della vita e della democratica utilità della chimica moderna. Tuttavia questo non è un suolo sacro e non sono eretici quei chimici che hanno osato sfidare le regole per ottenere qualcosa di diverso. Hubert Schmidbaur e i suoi collaboratori hanno creato questa spettacolare molecola al cui centro troviamo un singolo atomo di carbonio legato in tutte le direzioni con sei gruppi aurofosforici (AuPR3). Ovviamente in questa molecola esistono due cariche positive, ma il carbonio forma sei legami! Sorprendente, quasi scioccante l’impatto che dovrebbe suscitare per ogni artigiano dei composti del carbonio, una novità che rende questi cluster metallo-carbonilici molecolari squisitamente bellissimi. Sono nuovi, interessanti e amabili e soprattutto innescano domande inedite. Come può il carbonio formare sei legami? Le vecchie teorie erano sbagliate o incomplete?

Uno sguardo più attento rivela come si muovono gli elettroni in queste molecole e scopriamo che i legami sono diversi, forse più deboli individualmente dei quattro legami classici. Le teorie si espandono per far accomodare i nuovi eventi, i quali diventano routine con il tempo, solo per essere scosse nuovamente da un nuovo evento imprevisto che le arricchisce con un elemento in più ogni volta.

La bellezza negli occhi dell’osservatore

La molecola dell’etanolo, artisticamente parlando

Le molecole possono essere belle a causa della loro mirabile motilità quantizzata a cui sono soggette al pari di una melodia composta da toni armoniosi percepita dalle nostre orecchie. Possono essere belle anche per i miracoli che portano con sé, chi può dissentire sulla bellezza della penicillina o dell’emoglobina conoscendo i loro nobili intenti? Tuttavia è possibile scendere anche nella semplicità, come per i milioni di tonnellate di etanolo che ogni anno vengono prodotti. Una molecola che probabilmente entra nell’esperienza quotidiana di miliardi di persone sotto varie forme, ma che solo un vero artista può rappresentare in forma simpaticamente animalesca esasperandone l’archetipo morfologico.

Gran parte della tradizione filosofica obietterebbe includendo la prospettiva utilitaristica come criterio estetico, con tutti i limiti della loro visione parziale contrapposta a quella dei chimici che, più o meno ingenuamente, pensano davvero che lo scopo sia un elemento, anche se forse non il più importante, della bellezza chimica.

Proviamo a supporre che abbiamo scoperto in questo studio antropologico della chimica un esempio attendibile delle qualità che gli esperti utilizzano come attributi di bellezza. I chimici possiedono un senso dell’estetica. Probabilmente non definiamo brutta nessuna molecola, ma alcune sono più belle di altre. Ma il nostro senso estetico può avere qualcosa in comune con le caratteristiche estetiche di altre esperienze umane, come nei giochi, negli affari, in amore o più appropriatamente, nelle arti?

Le molecole preferite da Michelle Francl. doi:10.1038/nchem.1279

In assenza di una risposta a questa domanda, che vale la pena di porsi, un problema fondamentale ovviamente è che l’estetica non è un capitolo chiuso della filosofia. Qui infatti abbondano teorie antitetiche, i dialoghi cavalcano il tempo che fu, come gran parte dei soggetti di queste discussioni. Ciò nonostante, si potrebbe procedere osservando come il concetto di bellezza nella chimica si applichi o meno nelle strutture estetiche esistenti erette dai filosofi.

Monroe Beardsley supponeva che la risposta estetica (ad un opera d’arte, un artefatto inteso per sollecitare tale risposta) comporti un certo grado di distacco da parte dell’osservatore o dell’ascoltatore rispetto agli elementi dell’intensità, dell’unità e della complessità dell’oggetto osservato. Questa argomentazione merita una esposizione più profonda delle poche parole che posso dedicare, anche se sembrerebbe che la risposta estetica dei chimici implichi molti dei fattori eccepiti da Beardsley, come abbiamo fin qui esplorato.

Nelson Goodman vede invece la scienza e l’arte come processi cognitivi, che differiscono forse solo nel loro grado di intensità dell’elaborazione o della manipolazione dei simboli. Noi possiamo sentire anche emotivamente, che molte di queste molecole sono bellissime ad esempio quando esse esprimono la propria essenza. Tuttavia la predisposizione principale che consente l’espressione dell’emozione, che qui diventa soddisfazione psicologica, è quella della conoscenza per scorgere relazioni più intime. Abbiamo sezionato il niobato in catene di ottaedri e nei suoi intimi strati, abbiamo visto la semplice complessità della sintesi dei catenani, conosciamo gli scopi e i meccanismi dell’emoglobina, quindi possiamo farcene carico. Questo però non vieta di rompere gli schemi come nel caso del carbonio esacoordinato, il cui fascino della novità difficilmente lascia indifferenti.

Certo è possibile non calcare troppo le molteplici manifestazioni della bellezza chimica in categorie ristrette o strutture teoriche. Anche se riuscissimo a concordare una definizione condivisa di bellezza cosa otterremmo? Affermando che una molecola è bella, la cosa più ottusa che possiamo dire di essa. E’ necessario descrivere l’attrattività della molecola in questione come spero di aver fatto.

E se invece volessimo esplorare l’intrinseca sensualità di una molecola o di una reazione, come si potrebbe introdurre il fattore erotico se non riconducendo la morfologia alla copulazione? In chimica più che l’atto sessuale dell’accoppiamento abbiamo una copulazione quando si verifica una reazione chimica fra un ammina o un fenolo con un sale di diazonio ottenendo un azocomposto, un termine che deriva dall’antica usanza di definire quella parte di un composto chimico che mostrava attitudine a legarsi formando sostanze chimiche chiamate copulate.

Una nomenclatura coniata quando non si aveva alcuna idea riguardo le proprietà di un complesso di rutenio, le cui polipiridine vengono sintetizzate e caratterizzate per mezzo di spettroscopie avanzate. Inaspettatamente la copulazione assume un più moderno significato, oltre quello esteriore palesemente manifestato, in cui la ciclodestrina porta ad una completa inclusione che rompe la matrice iniziale creando un aggregato molto stimolante e quasi pornografico. Ecco, quando qualche studente vi dice che la chimica non è abbastanza sexy, ora potete fornire una risposta circostanziata, e non dimenticate di far notare la doppia freccia dell’equilibrio che denota come in chimica ogni equilibrio sia dinamico e non è necessario nemmeno aggiungere che lo stesso si verifica con l’amore!

Fonti e approfondimenti


Hoffmann, R. (1990). Molecular Beauty The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 48 (3) DOI: 10.2307/431761

Toma, S., Uemi, M., Nikolaou, S., Tomazela, D., Eberlin, M., & Toma, H. (2004). {-1,4-Bis[(4-pyridyl)ethenyl]benzene}(2,2‘-bipyridine)ruthenium(II) Complexes and Their Supramolecular Assemblies with β-Cyclodextrin
Inorganic Chemistry, 43 (11), 3521-3527 DOI: 10.1021/ic0352250

Francl, M. (2012). Zen and the art of molecules Nature Chemistry, 4 (3), 142-144 DOI: 10.1038/nchem.1279

A molecular modeler’s view of molecular beauty by Ashutosh (Ash) Jogalekar – The Curious Wavefunction
What Makes a Beautiful Molecule? by Derek Lowe – In the Pipeline


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