Duomo di Colonia, author Robert Breuer, source Wikipedia.
di Michele Marsonet. E’ sin troppo facile speculare sui fatti accaduti a Colonia la notte di Capodanno, magari indulgendo alla retorica e alle più bieche recriminazioni. Anche perché, ora di apprende, episodi simili si sono verificati – sia pure su scala minore – in altre città della Germania, senza che i mezzi di comunicazione li mettessero in rilievo.
Tutti sono giustamente scandalizzati per le aggressioni in serie subite da donne che circolavano senza timore per le strade, com’è normale in qualsiasi nazione occidentale, festeggiando la fine dell’anno vecchio e l’inizio di quello nuovo. Dopo qualche esitazione la stampa – tedesca e non – ha riconosciuto che gli aggressori erano giovani immigrati dall’aspetto arabo, che hanno in pratica goduto di un’impunità totale. Tanto che la polizia, a quanto pare, si è accorta di quanto è successo solo a posteriori.
Pierluigi Battista ha notato ironicamente in un post uscito su un social network che definire “musulmani” i molestatori di Colonia è politicamente scorretto. Meglio invece usare categorie razziste tipo “di aspetto mediorientale”. E forse è giusto così. Perché coinvolgere la religione in episodi che paiono di pura impronta teppistica?
Eppure c’è qualcosa che non va se ci si limita, in questo caso, al semplice teppismo. A chi desidera capire un po’ di più suggerisco di leggere la bella intervista a Ayaan Hirsi Ali, uscita su “Repubblica” Sabato 2 gennaio. Si tratta di una scrittrice somala naturalizzata olandese, poi rifugiatasi negli Stati Uniti poiché le autorità di Amsterdam non erano in grado di garantire la sua sicurezza e incolumità personale.
Pur sottolineando che gran parte delle comunità islamiche europee non solidarizza affatto con i fondamentalisti, Ayaan Hirsi Ali aggiunge però che in esse “ci sono componenti sociali e culturali che possono facilitare la penetrazione dei jihadisti e della loro perversa ideologia”. Vi regna insomma un’omertà diffusa, “un comportamento di tipo tribale, simile a quello della mafia in Italia, che si lega ai concetti di tradizione, famiglia, identità religiosa”.
Ecco perché è difficile che da queste comunità partano denunce, e perché la distinzione tra islam estremista e moderato appare spesso oscura e preda di una costante ambiguità di fondo. La scrittrice sostiene che ciò è dovuto alla mancata educazione ai diritti umani e ai valori tipici della società occidentale: tolleranza, libertà, democrazia e rispetto delle diversità.
Le si può rispondere che, in effetti, le nazioni occidentali hanno percorso il cammino opposto, lasciando che le suddette comunità restassero del tutto impermeabili a simili valori e, addirittura, tollerando che si autogovernassero con la sharia. Di qui il fallimento di un multiculturalismo male inteso che ci ha infine condotto al disastro.
A ciò va aggiunta la sottomissione della donna, che può essere colpita come e quando si ritiene opportuno se adotta comportamenti difformi da quelli imposti dai precetti religiosi. E, pur dando per scontato che a Colonia fosse presente anche il semplice teppismo, non è difficile capire che le aggressioni sistematiche avessero quale sfondo proprio presupposti di quel tipo.
Nel frattempo i migranti continuano a sbarcare senza che l’Unione Europea accenni a dotarsi di una sia pur minima strategia comune. Anzi, è un continuo scambio di accuse tra i singoli Paesi. E appare francamente ridicola la tendenza – sempre più marcata – a mettere sul banco degli imputati soltanto Italia e Grecia, colpevoli secondo i soloni del Nord Europa di non praticare controlli efficaci sui barconi in arrivo.
Un panorama davvero desolante, mentre a Bruxelles si continua a procedere come se nulla fosse. Il mondo intorno ai confini europei – e pure al loro interno – brucia. Ma l’apparato della UE sembra curarsene ben poco, essendo composto da ragionieri più che da veri politici. E ancora una volta, visto l’acuirsi della tensione internazionale ormai ovunque, l’Europa farà la figura del cavaliere inesistente.