di Michele Marsonet. Che politica e razionalità siano spesso in contrasto è cosa nota. Del resto anche Max Weber riconobbe in più occasioni il carattere assai poliedrico dell’idea di razionalità, usando frequentemente il termine “razionale” senza spiegare con esattezza il suo significato e causando disorientamento negli interpreti.
La situazione – nonostante le opinioni correnti – non cambia molto se dall’ambito politico si passa a quello scientifico. Il problema del “cambiamento” nella scienza pone problemi di interpretazione, soprattutto se si tiene conto della dimensione storico-temporale dell’impresa scientifica. Molti autori del secolo scorso, sviluppando la lezione popperiana secondo cui l’osservazione è sempre impregnata di teoria, hanno negato l’esistenza di una radicale antitesi tra la dimensione teorica e quella osservativa. Con questo viene contestata la concezione cumulativa del passaggio da una teoria scientifica all’altra: i contenuti di una teoria non vengono interamente preservati quando essa viene sostituita da una teoria successiva.
Si nega, in sostanza, la possibilità di verificare o falsificare in modo definitivo le teorie ricorrendo a un canone assoluto e stabilito una volta per tutte. La valutazione delle teorie è un’operazione complessa, in cui entrano in gioco fattori pragmatici e storici che trascendono qualsiasi logica della giustificazione intesa in termini meramente formali. In altre parole, il cambiamento scientifico ha carattere diacronico e risente in maniera essenziale dei mutamenti che avvengono nel contesto storico-sociale. Ne consegue che l’insistenza sugli aspetti puramente logici della giustificazione conduce a trascurare – come è in effetti avvenuto in ambito positivista – l’aspetto dinamico della scienza e il contesto più vasto (pratico, storico e sociale) in cui essa nasce e si sviluppa.
Ogni tipo di fondazionalismo deve perciò essere abbandonato, dove per “fondazionalismo” si intende la tesi che vi siano “entità ultime” cui tutto il resto può essere ridotto. Non si dà, di conseguenza, un’unica teoria “vera” che sia in grado di rappresentare in modo perspicuo la struttura della realtà indipendentemente dall’osservatore, né la scienza può essere vista quale strumento capace di fornire l’unico accesso epistemico al mondo, eventualmente ricorrendo a un vocabolario semanticamente puro e generatore automatico di verità.
A Thomas Kuhn va attribuito il merito di aver sottolineato più di altri la dimensione storico-temporale della scienza e l’influenza che su essa esercitano i mutamenti del contesto storico-sociale. Non è a suo avviso corretto affermare che le teorie scientifiche vengono superate a causa di un progressivo accumularsi di dati contrari. Si deve invece riconoscere che una teoria viene rimpiazzata da una successiva perché quest’ultima è in grado di risolvere problemi che risultavano prima insolubili. L’astronomia copernicana, per esempio, ebbe successo a causa dell’incapacità del modello tolemaico di risolvere i problemi e i rompicapo che si erano manifestati al suo interno. Crebbe quindi nella comunità scientifica la sensazione che occorreva superare lo schema concettuale tolemaico se si desiderava dare una soluzione a quei problemi, e il sistema copernicano emerse proprio come risposta a tale frustrazione.
Le crisi che si manifestano nelle teorie scientifiche di successo acquistano quindi un peso decisivo, in quanto segnano il passaggio da un periodo di scienza “normale”, in cui i presupposti di base di una certa teoria non vengono messi in dubbio, a un periodo di scienza “straordinaria”, nel quale detti presupposti vengono sottoposti a critiche sempre più severe. Questo è l’unico modello in grado di farci realmente comprendere il fenomeno del cambiamento scientifico.
Definendo “paradigma” una teoria o un insieme di teorie accettate in un particolare periodo storico, Kuhn concentra la propria attenzione sul cambiamento dei paradigmi, sulle difficoltà che si manifestano all’interno di un paradigma quando alcuni problemi si rivelano insolubili, e sulla cosiddetta “incommensurabilità” tra paradigma vecchio e nuovo nei periodi di scienza straordinaria.
Inoltre il cambiamento scientifico, e cioé il passaggio da un paradigma a un altro, non avviene per gradi, bensì mediante il rimpiazzamento totale del vecchio paradigma da parte del nuovo: di qui, per l’appunto, l’incommensurabilità. In altri termini, non esiste traducibilità tra gli enunciati appartenenti a paradigmi rivali.
Ma è pure interessante rilevare che, nel modello di spiegazione del cambiamento scientifico qui accennato, si manifesta un certo grado di affinità tra il mutamento scientifico e quello socio-politico. Tanto le rivoluzioni politiche quanto quelle scientifiche si verificano a causa del cattivo funzionamento del sistema: quest’ultimo dà luogo a una crisi che rappresenta l’anticamera della rivoluzione.
A livello politico e sociale, le rivoluzioni avvengono per modificare radicalmente le istituzioni mediante procedure non contemplate dal sistema che si intende cambiare. Ecco quindi il sorgere di tensioni insanabili che conducono, in tempi più o meno lunghi, al collasso delle istituzioni esistenti. E’ ovvio, tuttavia, che la vita sociale e politica non può fare a meno delle istituzioni, ragion per cui si procede ben presto alla ricostruzione del tessuto politico-sociale secondo criteri nuovi.
La situazione è più o meno la stessa in ambito scientifico, dove la scelta tra paradigmi rivali avviene tra “modi di vita” incompatibili, e mette pure conto sottolineare che persuasione e retorica giocano un ruolo essenziale nella scelta anzidetta. Kuhn afferma esplicitamente che, dopo una rivoluzione, gli scienziati vivono in un mondo diverso dal precedente.
Senza voler spingere troppo in là l’accostamento, credo che tale modello sia in qualche modo utile per comprendere quanto sta avvenendo in Italia oggi. Abbiamo da un lato alcuni movimenti – o “non-partiti” – che affrontano una situazione di estremo rischio puntando tutto sul semplice azzeramento dell’esistente, oppure proponendo un giustizialismo integrale che viene però contraddetto dai comportamenti concreti.
Dall’altro gli eredi di quelli che una volta erano i partiti politici tradizionali, storditi da un cambiamento di cui non si vedono ancora i tratti precisi e incapaci di proporre soluzioni che siano, come scrivevo all’inizio, “razionali”. Una politica “normale” che non è in grado di contrapporsi a una politica “straordinaria”. Quest’ultima, tuttavia, non possiede – almeno a mio avviso – i caratteri di brillantezza della scienza straordinaria kuhniana.
Solo una serie senza fine di urla, di slogan che nei social network possono anche convincere o far ridere, ma del tutto incapaci di fornire risposte. In Grecia tutto questo ha prodotto il caos, nel nostro Paese ancora non si sa se la confusione si tramuterà in un caos analogo. La scienza straordinaria è fondamentale per promuovere mutamenti indifferibili. La politica straordinaria ora in auge sul suolo italico ben difficilmente produrrà risultati simili. Gli unici esiti si possono ammirare – si fa per dire – nei siti spesso insensati che spuntano nella Rete come funghi.
Featured image, David Hume in un ritratto di Allan Ramsay del 1766