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Sull’incertezza delle elezioni USA

Creato il 09 luglio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Clinton with former President George H. W. Bush in January 2005

Clinton with former President George H. W. Bush in January 2005

di Michele Marsonet. Le elezioni presidenziali americane si terranno l’8 novembre 2016. Manca dunque più di un anno al giorno fatidico e, nel frattempo, democratici e repubblicani stanno scaldando i motori per organizzare le primarie.

Quest’ultime – è essenziale notarlo – negli Stati Uniti sono una cosa seria e importante. Nulla a che vedere con le primarie che da un po’ di tempo vengono indette anche in Italia, soprattutto dal PD. Da noi si trasformano spesso in una sorta di circo nel quale succede di tutto, tanto da costringere la magistratura a intervenire su richiesta dei candidati trombati.

Il meccanismo di selezione USA è invece rodato da una pratica secolare. Il che, ovviamente, non significa che sia perfetto. Pur essendo costosissimo e tale da attribuire un ruolo primario agli sponsor privati, tutti naturalmente mossi da interessi particolari, forniscono comunque uno spaccato fedele della società americana.

Tant’è vero che non sono rari gli episodi di assoluti outsider che riescono a prevalere beffando gli esperti di sondaggi. Credo tutti rammentino il caso dell’irlandese cattolico John Kennedy che prevalse su un politico assai più noto come Richard Nixon. Molto più vicine nel tempo sono le due vittorie di Barack Obama, lui pure outsider che nessuno, all’inizio, prendeva sul serio. C’è da dire, però, che i due competitors repubblicani del primo Presidente afroamericano della storia non erano figure di grande spicco sul piano nazionale.

Le elezioni venture sono assai incerte, nonostante la candidatura ufficiale di Hillary Rodham Clinton sul versante democratico. Occorre innanzitutto attendere l’esito delle suddette primarie, che in molti casi ha rovesciato ogni pronostico.

Mette tuttavia conto notare una vistosa differenza tra i due grandi partiti. In campo democratico non è finora emersa una candidatura in grado di preoccupare sul serio la ex first lady nonché ex Segretario di Stato. La popolarità di Hillary Clinton negli USA è minore di quanto si ritenga all’estero.

Molti americani la considerano un’ipocrita per le sue frequenti bugie, che i media hanno smascherato senza pietà. Le vengono inoltre accreditati frequenti errori in politica estera, come l’aver sostenuto in maniera acritica le “primavere arabe” e il non aver fatto chiarezza sul truculento assassinio dell’ambasciatore USA in Libia.

Nonostante questo all’orizzonte non emergono figure di assoluto rilevo. La più accreditata è tuttora Elizabeth Warren, considerata però troppo “liberal” (e quindi troppo a sinistra nell’accezione americana del termine). Stesso discorso per il sindaco di New York Bill De Blasio. E’ ovvio che non si può escludere l’entrata in scena di un altro personaggio come Obama nei prossimi mesi.

Assai più ingarbugliata la situazione nel partito repubblicano. Il GOP è infatti pieno di candidati in pectore. L’unico sicuro è finora Jeb Bush, fratello minore di George W. e figlio di George H.W. Bush. In questo caso pesa il fattore “dinastico” (come per la Clinton), sul quale ritornerò.

In ascesa invece le quotazioni del giovane Marco Rubio, nato nel 1971 e senatore della Florida, lo stesso Stato di cui Jeb Bush fu governatore sino al 2007. Di origine cubana, Rubio è non solo giovane ma anche brillante. A suo favore gioca la possibilità di attrarre masse di voti della più importante minoranza etnica USA, quella latino-americana.

I repubblicani stanno in effetti cercando di scalzare il predominio democratico nei blocchi elettorali delle minoranze e hanno ottenuto negli ultimi decenni parecchi successi. Sono infatti cresciuti notevolmente i politici del GOP neri e latinos, segno evidente che il tradizionale orientamento dem di questi gruppi sempre più importanti ha subito una flessione.

Alcune parole, per concludere, sul succitato “fattore dinastico”. L’opinione pubblica ha già manifestato segni di insofferenza di fronte alla prospettiva che a correre per la Casa Bianca possano essere, nel 2016, Hillary Clinton e Jeb Bush. Commentatori autorevoli hanno notato che gli Stati Uniti non sono la Corea del Nord, dove la dinastia dei Kim regna addirittura dalla fine della seconda guerra mondiale.

Anche se qui le famiglie sono due, è innegabile che pur sempre di dinastie si tratta, e negli Stati Uniti la cosa non piace affatto. Avere, in tempi tutto sommato brevi, il terzo Bush o il secondo Clinton nello Studio ovale desta sospetti e preoccupazioni più che comprensibili. Non si può però escludere che accada sul serio, giacché anche gli USA non sono più quelli di una volta.


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