Sull’urbanizzazione della mia vita e della mia scrittura

Creato il 08 marzo 2011 da Emanuelesecco
sottofondo: The Dave Brubeck Quartet – Take Five

Questo è uno di quei post che mi assillano il cervello da un po’ di tempo. Diciamo che è a metà strada tra quelli a cui pensi ogni giorno che passa e quelli a cui accennavo in Di quando le idee spuntano fuori dopo un lungo deposito.

Ho sempre pensato che l’ambiente cittadino non fosse un buon posto per vivere, troppo caos, traffico e stress. Tutt’ora penso che vivere in una città di grandi dimensioni mi porterebbe ad un livello di nervosismo senza precedenti, e già sono un tipo abbastanza e facilmente adirabile (irritabile non rende affatto l’idea). Vivere con un continuo sottofondo di macchine che si muovono, motori che rumoreggiano, tubi di scarico che fumeggiano, vigili che bestemmiano e passanti che civilmente si spintonano contendendosi quel poco marciapiede che la comune amministrazione ha concesso loro non è proprio il primo dei miei sogni.
A fare un po’ da controsenso a questo mio sentimento, però, ci sono le città di Budapest e Londra. Nella prima ho vissuto tre anni, però nella zona di Buda e quindi molto più tranquilla del centro città, e la seconda l’ho visitata due volte e, se avete letto le prime tre parti del Diario di Londra, me ne sono innamorato profondamente.

Dicevamo… la città, in quanto agglomerato di centinaia di migliaia, se non milioni, di persone è per me un ambiente psicologicamente insostenibile. So benissimo che viverci è incredibilmente comodo in quanto hai a disposizione tutto quello che ti serve a pochi passi da casa, ma io sono fatto così… non ci posso far niente. Metti che un bel giorno mi venga voglia di andare in montagna, chi me le fa fare una o due ore di macchina solo per uscire dalla metropoli in cui abito?
Devo però ammettere che da qualche tempo ho quasi cambiato idea, mi spiego: da quando sono tornato a Londra (e purtroppo ripartito… sob!), e ho potuto ammirare l’incredibile varietà di fauna (termine che non indica per forza la sola popolazione femminile della city), ho cominciato a pensare che forse vivere in una metropoli non dev’essere poi così male. Questa mia considerazione non prende in causa lo smog, il traffico e via dicendo, ma la scrittura. Per come la vedo io dev’essere fantastico essere uno scrittore e vivere in città. Il solo camminare per strada, può portarci a contatto con una varietà di individui che se vivessimo in campagna ci sogneremmo di incontrare.
La città offre mille situazioni, milioni di spunti per un buon racconto e offre una buona rappresentazione dell’intera gamma di campioni psicologici di cui la razza umana è composta. Si va dai suonatori delle metropolitane, al ragazzo che ti consegna i giornali per strada, al ristoratore che ti corre incontro per invitarti a mangiare nel proprio locale, ai bar sempre pieni di gente più o meno sana, ai pittori per turisti, ai novelli scrittori e poeti che riconosci subito in quanto seduti al parco o in piedi sul ciglio di un ponte a scrivere sulla loro fidata Moleskine. Puoi trovare lo scorbutico uomo di affari (che magari farai morire per primo all’interno della tua storia) come la ragazza che ti mangia con gli occhi anche se hai solo dei pantaloni eleganti e fai vedere di avere almeno 50 euro nel portafoglio. La madre di famiglia che fa la spesa e contemporaneamente tiene a bada cinque marmocchi che ne combinano una più del demone terracqueo. L’ubriaco il quale, se gli dai corda, comincerà a raccontarti per filo e per segno il tuo miglior libro e che non sapevi neanche di aver scritto, ma che adesso, furbo, correrai a casa a mettere su carta senza degnarti di citare quell’individuo che te l’ha praticamente dettato. Il libidinoso che mentre stai urinando beato e pacifico ad un orinatoio pubblico, di un bar o di quello che vuoi, ti mira e rimira il pene con occhi da allupato. Ragazzine completamente ubriache che ti salutano da una limousine in corsa togliendosi le mutandine e aprendo le gambe di fronte alla star di turno (Nano, Nano, sei un Caimano!) e passanti che le guardano forse pensando, «idiote…» (per non dire qualcos’altro). Pedoni indifferenti e altri fin troppo invadenti. Clown di strada che per raccattare anche solo un paio di monete intrattengono una ventina di persone…

Ploch! Ecco… lo sapevo… anche la merda di cane… 

Ma guardi che è un chiwawa, neh?!

Sì ma caga come un ippopotamo, dai…

Guardi che se non si calma chiamo i vigili, neh?!

E io le riempio la bocca con le feci del suo cane, che lei si è sistematicamente dimenticata di raccattare con sacchetto e paletta… in un cestino o nella sua gola per la merda è lo stesso!

Queste e molte altre storie sono quelle di città.
Ogni storia è lì che ti aspetta, attende solo di essere scoperta e scrupolosamente analizzata dalla tua penna. Ogni dialogo è lì, è presente ogni giorno in tutti i posti in cui vai, aspetta solo di essere immortalato.

Ma alla fine di tutto… io ci andrei mai a vivere in città?
A questo punto potrei dire anche di sì… sempre che non mi veda passare davanti a casa l’Ape con sopra Franceschino.  La tv l’ho già sfasciata… toccherebbe allo stereo ma non riuscirei più a scrivere senza.

E.


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