Il 31 dicembre del 2012 è andato in edicola l’ultimo numero di Pubblico giornale, il quotidiano fondato da Luca Telese.
Personalmente ho visto con simpatia questo “esperimento”, non solo secondo modalità “a costo zero” ma anche acquistando con una certa puntualità il giornale. Che qualcosa, però, non funzionasse me ne sono accorto in fretta.
Prima di tutto il nome: che significa Pubblico?
Nel mio piccolo feci sapere a Luca Telese la incomprensibilità di una simile scelta, ma naturalmente non ebbi alcuna risposta. Il nome era già stato scelto e si andava con grande entusiasmo a presentare la nuova iniziativa editoriale nelle piazze.
Sembrerà una cosa stupida ma anche il “nome” vuole la sua parte così come l’occhio e, nel caso di un quotidiano, la leggibilità.
Perché anche buona parte degli articoli erano illeggibili. Spesso avevano ad oggetto tematiche di scarso interesse per la “massa” del pubblico (quello vero) ed in ogni caso apparivano scritti con un ritegno che mal si concilia con ciò che un lettore medio può capire.
Sono ancora dell’idea che un giornalista debba scrivere a beneficio di chi legge.
La grandezza dei Maestri (Montanelli e Biagi su tutti, ma anche Bocca, Zavoli e perfino Fallaci) consisteva nel farsi comprendere da tutti.
Anche la morale del giornale (l’essere dalla parte degli ultimi e dei primi) appariva confusonaria e ruffiana. O si sta dalla parte degli ultimi o dei primi. Da qui non si esce. Qualsiasi altra soluzione è un imbroglio. D’altronde è sempre stato così e lo è, a maggior ragione, oggi in una situazione nella quale i “primi” sono sempre più primi e gli “ultimi” sempre più ultimi.
Le strategie di marketing non le voglio discutere, non conoscendo come siano andate le cose. Ma come lettore e, nel mio piccolo, operatore del settore posso dare questa opinione.
In sintesi mi pare chiaro che un po’ più di umiltà, soprattutto da parte dei tanti giovani (o meno giovani) assunti e collaboratori di Pubblico non avrebbe fatto male.
Magari l’avventura si sarebbe comunque conclusa presto, visto che – a quanto sembra – non esistevano neppure le premesse economiche necessarie per far andare avanti il quotidiano.
Ma quando vendi 4 mila copie e fallisci in soli tre mesi la responsabilità non può essere che condivisa a più livelli e quindi se da un lato è giusto che Pubblico abbia chiuso dall’altro fa comunque riflettere l’approccio da parte delle cosiddette “nuove leve”.
Un po’ troppo signorini, un po’ troppo “fighetti”. Un po’ troppo “io ce l’ho fatta”.
L’attenersi ad un piano di maggiore modestia (parola sconosciuta ai nostri giorni), minore autoreferenzialità, più capacità di ascolto del lettore “medio” non avrebbe fatto male. Così come qualche “accozzato” in meno.