di Michele Marsonet. Accade assai spesso che gli scienziati si facciano cogliere dalla tentazione di trarre conclusioni filosofiche dalle loro scoperte e dalle teorie che costruiscono. Di certo non è una novità. Scienza e filosofia hanno marciato insieme sin dalle origini del pensiero occidentale, quando una distinzione chiara tra le due non era neppure possibile. In seguito molti grandi filosofi furono al contempo scienziati di vaglia. Si pensi, per citare solo pochi nomi, a Descartes, Pascal e Leibniz. Meno noto – ma altrettanto significativo – il fatto che alcuni scienziati di prima grandezza si siano dedicati alacremente a ricerche di tipo filosofico. Qui l’esempio maggiore è Sir Isaac Newton, che fu pure cultore di studi esoterici centrati sull’alchimia.
In epoca contemporanea, quando la specializzazione nella scienza è giunta all’apice, parecchi scienziati (in particolare fisici teorici) hanno sentito l’esigenza di scrivere opere filosofiche per spiegare al grande pubblico il senso delle loro ricerche. Sono soprattutto celebri alcuni libri di Albert Einstein: “Come io vedo il mondo”, “Autobiografia scientifica”, “Il significato della relatività”, etc. Senza scordare opere ormai classiche di altri autori come “Fisica e filosofia” di Werner Heisenberg e “I quanti e la vita” di Niels Bohr. Non è raro veder classificare gli autori appena menzionati come “filosofi della scienza” oltre che come scienziati.
La reazione del mondo filosofico a fronte di tale situazione è stata discordante. Alcuni hanno accettato l’inclusione degli scienziati nei dizionari di filosofia adottando i loro testi nei corsi e spronando gli studenti a leggerli con attenzione. Altri hanno preferito insistere sulle molte e inevitabili ingenuità commesse dagli scienziati quando si trasformano in filosofi sottolineando i difetti e trascurando i pregi.
È opinione del sottoscritto che il primo atteggiamento sia quello giusto. Alcune considerazioni ingenue non possono far dimenticare che – come è sempre avvenuto – tra scienza e filosofia vi sono rapporti di scambio fecondo, che consentono a entrambe di crescere facendo tesoro di ciò che viene sviluppato in altri ambiti del sapere umano.
Come dicevo all’inizio la storia non è affatto finita, dal momento che anche gli scienziati dei nostri giorni avvertono spesso l’impulso di “filosofeggiare” a margine del loro lavoro professionale. Mi è per esempio capitato di leggere in questi giorni l’intervista di un fisico teorico a un quotidiano nazionale.
Al di là del titolo chiaramente popperiano: “Si cerca attraverso l’ignoranza”, l’intervista contiene molti riferimenti al concetto di “Natura” inteso, però, in accezione più filosofica che scientifica. Di seguito alcune frasi.
“La Natura è complessa, iridescente, bellissima: costruisce archi di galassie, esplosioni di buchi neri, onde di probabilità, il cielo stellato, il profumo delle viole, i sorrisi della mia ragazza”. E ancora: “La fisica non mi fa sentire estraneo al mondo. Mi fa sentire profondamente parte del mondo”.
Ecco, tali considerazioni sono affascinanti, e ancor più quando a esprimerle è uno scienziato di professione. C’è però un presupposto non dimostrato alla loro base, e cioè che la Natura “costruisca” un sacco di cose mossa da una sorta di volontà interiore paragonabile a quella di cui sono dotati gli esseri umani.
Ma è davvero così? La risposta è: “può darsi, ma noi non lo sappiamo”. Da secoli parecchi filosofi – e scienziati – cercano di dimostrare che la Natura è autosussistente e non ha bisogno di interventi esterni per essere spiegata. Altri filosofi, tuttavia, non concordano e cercano invece di dimostrare che la stessa idea di una Natura autosussistente è contraddittoria.
Chi ha ragione? Allo stato dei fatti è impossibile dirlo. Si può notare, per esempio, che è plausibile giudicare la Verità come un prodotto dell’interazione tra uomo e Natura. Sostenendo altresì che in un mondo del tutto privo di esseri raziocinanti non vi sarebbe alcuna Verità, essendo quest’ultima uno dei risultati del processo della comunicazione.
È, questa, una prova non solo dell’utilità, ma anche dell’indispensabilità dei rapporti tra scienza e filosofia. A dispetto di quanto sostengono alcune correnti di pensiero contemporanee, proprio dalla scienza giungono al filosofo input che gli consentono di confrontarsi con chi si occupa del mondo circostante da altri punti di vista, che non sono necessariamente in conflitto con il suo.
Featured image, painture of Blaise Pascal made by François II Quesnel for Gérard Edelinck in 1691.