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Sulla origine del triplice potere

Creato il 05 gennaio 2011 da Bruno Corino @CorinoBruno

Il futuro rappresenta per la nostra specie il campo dell’insicurezza o del pericolo, dell’incertezza o del rischio, ma rappresenta anche un campo di infinite sorprese. Negli animali umani, la sopravvivenza dipende dalla capacità di saper eliminare il pericolo, istituendo uno stato di sicurezza; di sapere controllare il rischio, realizzando uno stato di certezza. Infine, dipende dalla capacità di saper ridurre le distanze (sociali e culturali) tra gli agenti facendo emergere legami nuovi e inattesi. Ciascuno di questi compiti viene svolto da una particolare forma di potere. Al potere coercitivo è assegnato il compito di svolgere una “funzione protettiva”, compito che si realizza quando si raggiunge uno stato di sicurezza accettabile, in cui viene espulsa ogni forma di pericolo. Il potere coercitivo offre “protezione” in cambio di “obbedienza” e mira a stabilizzare la condotta altrui secondo determinate aspettative.
Al potere predittivo (o persuasivo) è affidato il compito di offrire cura/assistenza in cambio di riconoscenza/gratitudine e mira a tenere sotto controllo il rischio. Perciò nel potere predittivo/persuasivo il comportamento non viene percepito come deviante, ma come una “variazione” del comportamento rispetto a uno schema previsto. In questa forma di potere, ogni variazione assume un valore negativo, e ha un effetto retroattivo sullo schema predittivo. Il potere predittivo mira a prevedere tutte le possibili variazioni che si possono realizzare. Al potere suggestivo è affidato il compito di offrire stimoli in cambio di altri stimoli (o “eccitazioni” in cambio di “eccitazioni”) e ha la funzione di fare emergere “legami” o “relazioni” laddove le cose apparivano del tutto separate. Pertanto, nel potere suggestivo, l’esito inatteso viene percepito nè come un effetto deviante nè come un imprevisto, bensì come un evento ambivalente a cui si può corrispondere, generando altra ambivalenza, o non corrispondere sciogliendo la sua ambivalenza.
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L’origine di questo triplice potere nasce dal fatto che l’essere umano, essendo un animale incompleto e non specializzato, ha bisogno di un meccanismo regolatore per stabilizzare, variare o far emergere un comportamento inatteso. L’uomo, al contrario degli altri animali, non ha un meccanismo innato di risposta in grado di selezionare lo stimolo esterno, cioè è un animale dagli istinti depotenziati. Come spiega Galimberti, «non disponendo di un rigido apparato istintuale e di un ambiente corrispondente, l’uomo, come vuole la definizione di Gehlen, è “un essere carente” la cui natura è caratterizzata dalla mancanza […] L’incompiutezza della dotazione anatomico-funzionale e la non specializzazione istintuale espongono l’uomo a una profusione di stimoli da cui sono esonerati gli animali sensibili solo agli stimoli corrispondenti ai loro istinti specializzati» (Galimberti, 2004).
Negli animali, il comportamento è stabilizzato dagli istinti, e per cambiarlo è necessario variare la specie. Nell’essere umano il comportamento è stabilizzato dalla cultura, cioè è la cultura che produce quelle risposte senza le quali l’essere umano non potrebbe sopravvivere. Le risposte culturali sono l’esito positivo che le azioni hanno saputo provocare. Ma questi esiti positivi hanno bisogno di essere conservati e preservati. Il potere coercitivo svolge appunto questa funzione, di conservare e preservare l’esito di queste risposte positive. Grazie a questa funzione l’essere umano sa in anticipo come comportarsi davanti a circostanze note e quindi come proteggersi in queste situazioni. Ad esempio, imponendo a un bambino a non toccare un oggetto che brucia, gli si insegna ad evitare un dolore. L’essere umano sa in anticipo cosa aspettarsi in queste situazione note nel caso in cui non obbedisca a questo ordine.
Tuttavia, la messa in sicurezza di queste condotte stabilizzate non lo preserverebbe definitivamente se egli non fosse in grado di controllare anche gli eventi imprevisti, cioè le situazioni ignote. Il potere predittivo svolge appunto la funzione di saper variare i propri schemi predittivi sulla base degli esiti imprevisti. Il potere suggestivo invece ha il compito di far emergere legami nuovi e inattesi tra gli agenti (creare rapporti di amicizia, d'amore, insomma rapporti sentimentali di vario genere). Il potere suggestivo riapre all’incompiutezza del nostro essere, un «campo di infinite sorprese», e conduce a riconoscere all’inatteso o a ciò che appare ambiguo – percepito come errore nel potere predittivo, e come deviante nel potere coercitivo – un valore positivo. Provocando uno stato di stupore, l’inatteso attiva la possibilità di aprirsi all’altro, cioè a ciò che in altri ambiti viene percepito come sbagliato o sconosciuto.
L’osservatore, posto di fronte a un qualsiasi evento, lo può percepire (e quindi valutare) sotto un triplice aspetto: come qualcosa che devia dalle proprie aspettative, come un errore non previsto o come qualcosa di inatteso. Da che cosa dipende questa diversa percezione? Dipende da quale istanza si va valere nel corso dell’esperienza: se qualcosa viene percepito come dolorosa o pericolosa si va valere l’istanza coercitiva o morale; se viene percepito come vantaggiosa o rischiosa si va valere l’istanza predittiva o pragmatica; se viene percepito come qualcosa di attraente si va valere l’istanza suggestiva. Non è l’evento in sé ad avere un contenuto morale, pragmatico o emozionale, bensì è la sua percezione. Occorre dunque vedere come ogni evento viene percepito. Possiamo concludere scrivendo che l’evento viene percepito come deviante rispetto a un ordine di cose quando provoca un effetto doloroso sul proprio sé; invece, viene percepito come un errore rispetto a un ordine di cose previsto quando provoca un effetto svantaggioso per il proprio sé; invece, viene percepito come stimolante rispetto a un ordine di cose quando provoca un effetto suggestivo sul proprio sé. In quest’ultimo caso, un evento può essere percepito come eccitante quando non presenta effetti dolorosi o svantaggiosi, altrimenti l’evento verrebbe percepito secondo la prospettiva dell’ordine ovvio o conosciuto, e quindi come pericoloso o rischioso.


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