Sulla pelle delle fanciulle in fiore (Rosso Carminio)

Creato il 24 maggio 2013 da Madamearquebuse

Pubblico anche qui un mio breve racconto, apparso sul sito letterario TornoGiovedì.

Non si sta poi così male, chiusi in questo vecchio armadio di ciliegio. Non sono solo, a farmi compagnia resta ancora qualche amico dei tempi passati; a parte qualche tarma che cerca d’infastidirmi, il posto è spazioso, silenzioso e abbastanza pulito. A volte, lo ammetto, soffro un po’ di solitudine, scivolo nella malinconia: certo, non sono più affascinante come un tempo, quando le ragazze di casa Rubinis mi contendevano come fossi un ambito pretendente e non c’era una festa, una serata galante in cui non fossi il protagonista. I miei concorrenti, al confronto, potevano considerarsi dei volgari stracci, non c’è dubbio. Di solito era Clotilde a vincere l’accesa tenzone, e sorelle e cugine le serbavano il broncio per una settimana almeno. In quei frangenti si isolava nella sua stanza, davanti alla coiffeuse laccata, per esaltare ancor di più l’intensità magnetica dei suoi occhi blu fluorite, la sericità della sua chioma corvina. Poi, mentre ammirava il suo corpo statuario stretto nel corsetto, con cura mi stendeva sulle morbide coltri del letto a baldacchino e m’indossava. La nostra era un’intesa perfetta, che non riprovai più con nessun’altra fanciulla: aderivo perfettamente alle sue curve degne di Ingres, e con i miei eleganti panneggi di velluto rosso carminio esaltavo i colori della sua altera bellezza. Non posso ricordare le serate con Clotilde senza che un brivido di piacere non s’intrecci ancora nella trama e nell’ordito. Quanti uomini languirono alla nostra vista, quanti ne rifiutammo, quanti fantasticarono di noi in notti insonni, su verande di palazzi neoclassici…

Ma neppure l’avvenente Clotilde poté sottrarsi al prosaico passare degli anni: s’innamorò, si sposò e poco dopo il marito, generale dell’esercito, perì in battaglia. Chiusa nel suo prematuro lutto, sembrò scordarsi di me, mi relegò nell’angolo più oscuro dell’armadio di ciliegio, dove conservava i cimeli e le vestigia della sua florida gioventù congedatasi troppo in fretta.

A volte, quando la mestizia la tormentava, apriva le ante dell’armadio e posava la sua eburnea mano sulla mia vellutata superficie: il volto immancabilmente le si rigava di lacrime. Quante reminiscenze, quanta commozione a ricordare i tempi andati!

Quando Clotilde si assentava, la servetta Martina, di nascosto, curiosava nell’armadio, ammirando tutti quei fantastici abiti che le facevano sognare un’esistenza a lei preclusa. Ovvio che io fui da subito il suo prediletto: a volte, di nascosto, mi provava. Il suo visetto semplice s’illuminava rimirando davanti allo specchio l’inatteso risultato; ero un po’ abbondante per la sua minuta figura, ma avevo il magico dono di trasformarla per qualche istante in un’elegantissima dama. Entusiasta, Martina a quel punto accennava un buffo giro di valzer stringendo un immaginario cavaliere, e io diventavo il confidente dei suoi desideri più folli e romantici, che non avrebbe realizzato mai, povera ragazza.

Gli anni passarono, infiniti, e io continuavo a languire nell’armadio di casa Rubinis. Le mode erano cambiate, la ricca famiglia si estinse: degli arricchiti acquistarono la nobile dimora, compreso il mobilio. Una sciacquetta sui vent’anni, dai capelli pastosi volgarmente tinti di biondo e un enorme naso che tentava vanamente di nascondere con improbabili trucchi e orribili acconciature, mi prese per un vestito qualunque e osò portarmi in luoghi detestabili, night, discoteche: riuscì anche a versarmi addosso una brodaglia alcolica che minacciò di macchiare indelebilmente il mio velluto!

Per fortuna, lamentandosi che le stavo malissimo, mi rimise presto nell’armadio di ciliegio, insieme ai pochi compagni che non aveva regalato o rovinato, e mi portarono in soffitta, nel regno dei dimenticati.

Da decenni ormai vivo in questa reclusione, io che fui il principe delle feste fiabesche che oggi non esistono più, che ricordo ancora il fascino di epoche perdute. Anche il mio tessuto lentamente inizia a logorarsi, la tinta carminio non è più brillante come ai tempi della divina Clotilde.

Eppure stamattina qualcuno ha aperto le ante cigolanti del vecchio armadio di ciliegio. L’antica dimora, dopo anni di abbandono, ha dei nuovi abitanti: infatti ultimamente abbiamo sentito dei rumori, trapani e altri attrezzi, io e gli altri inquilini del dimenticatoio. Poche ore fa si è inerpicata fin quassù una graziosa brunetta dagli occhi cerulei, forse la figlia: ha perlustrato con ammirazione e stupore l’antica collezione, estasiata da “un fantastico abito di velluto rosso vintage” (adesso si dice così, pare). Deve ancora farsi la ragazzina, ma credo che potremmo andare molto d’accordo, io e lei. D’altronde sarò anche vintage, ma I shall be young again, be young! E se lo pensa un vecchio nostalgico come me…

[Valeria Gubelli]

http://www.tornogiovedi.it/2013/05/sulla-pelle-delle-fanciulle-in-fiore/



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