Magazine Cultura

Sulla poesia

Da Viadellebelledonne

Sulla poesia

“Io non credo che la poesia abbia tanti poteri. La poesia è come, diciamo, un piccolo essere che emette su un prato [...] il suo ‘bip-bip-bip’ di segnalazione di una possibilità decente di vita”Io non credo che la poesia abbia tanti poteri. La poesia è come, diciamo, un piccolo essere che emette su un prato [...] il suo ‘bip-bip-bip’ di segnalazione di una possibilità decente di vita e anche di una possibilità di bellezza che rende la vita migliore, e di solidarietà tra gli uomini. Seppure il quadro è sempre più minaccioso, non sono tanto pessimista da pensare che [...] le ‘umane volontà congiunte’ non possano in qualche maniera ritrovare un linguaggio efficiente, un linguaggio comune, un linguaggio nuovo attraverso il quale si arrivi anche a inventare un mondo migliore”.

(Andrea Zanzotto, Il nido natale)

 ”Si sa che, forse, il fine ultimo della poesia è il paradiso, e che un’esperienza paradisiaca, il “paradisiaco”, è il miraggio più o meno confessato di ogni poeta, miraggio dalle più diverse coloriture, ma terribilmente uno nel suo carattere. Pochi toccarono questo non-luogo dell’esperienza, anche se ogni testo, perfino il più “infernale”, ha un qualche rapporto con questo non-luogo”.

(Andrea Zanzotto)

 ”La poesia è, prima di tutto, un incoercibile desiderio di lodare la realtà, di lodare il mondo ”in quanto esiste”. La poesia è una specie di elogio della vita in quanto tale proprio perché è la vita stessa che parla di sé (in qualche modo) ad un orecchio che la intenda (in qualche modo); parla a suo modo, forse in modo sbagliato; ma comunque la vita, la realtà “crescono” nella lode, insieme generandola e come apettandola. Ma attraverso la poesia non viene avanti soltanto una lode (è questo un sentimento, e un concetto, che ritroviamo in tutta una tradizione poetica); si profila un vero e proprio “collaudo” della realtà. In che senso? La realtà si manifesta ben presto anche al bambino nella tragedia delle sue contraddizioni; lascia persino intravedere la sua nullità finale; ma ha pur sempre attimi (che non sono affatto “rari” o “privilegiati” perché possono sorprenderci in qualsiasi momento, anche nel più profondo della stagnazione depressiva) in cui essa rivela la propria dignità assoluta, o meglio la propria “dignità” di esistere, che ha ragioni unicamente in se stessa, tutte da evidenziare, mai del tutto evidenziabili. La poesia in un certo senso collauda la realtà, proprio collegandosi alla lode della realtà, che si fa tanto forte da diventare prova di resistenza, prova di valore”.

(Andrea Zanzotto, da un suo scritto dal titolo “Autoritratto”)

 …possibilità di bellezza che rende la vita migliore, e di solidarietà tra gli uomini. Seppure il quadro è sempre più minaccioso, non sono tanto pessimista da pensare che [...] le ‘umane volontà congiunte’ non possano in qualche maniera ritrovare un linguaggio efficiente, un linguaggio comune, un linguaggio nuovo attraverso il quale si arrivi anche a inventare un mondo migliore”.

(Andrea Zanzotto, Il nido natale)

 Elegia pasquale

Pasqua ventosa che sali ai crocifissi
con tutto il tuo pallore disperato,
dov’è il crudo preludio del sole?
e la rosa la vaga profezia?
Dagli orti di marmo
ecco l’agnello flagellato
a brucare scarsa primavera
e illumina i mali dei morti
pasqua ventosa che i mali fa più acuti

E se è vero che oppresso mi composero
a questo tempo vuoto
per l’esaltazione del domani,
ho tanto desiderato
questa ghirlanda di vento e di sale
queste pendici che lenirono
il mio corpo ferita di cristallo;
ho consumato purissimo pane

Discrete febbri screpolano la luce
di tutte le pendici della pasqua,
svenano il vino gelido dell’odio;
è mia questa inquieta
gerusalemme di residue nevi,
il belletto s’accumula nelle
stanze nelle gabbie spalancate
dove grandi uccelli covarono
colori d’uova e di rosei regali,
e il cielo e il mondo è l’indegno sacrario
dei propri lievi silenzi.

Crocifissa ai raggi ultimi è l’ombra
le bocche non sono che sangue
i cuori non sono che neve
le mani sono immagini
inferme della sera
che miti vittime cela nel seno.

***

Esistere psichicamente

Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
- soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli -
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch’io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d’inferno
degli atomi e il conato
torbido d’alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.

***

L’attimo fuggente

Ancora qui. Lo riconosco. In orbite
di coazione. Gli altri nell’incorposa
increante libertà. Dal monte
che con troppo alte selve m’affronta
tento vedere e vedermi,
mentre allegria irrita di lumi
san Silvestro, sparge laggiù la notte
di ghiotti muschi, di ghiotte correntie.
E. E, puro vento, sola neve, ch’io toccherò tra poco.
Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi.
In voi fui, sono, mi avete atteso,
non mai dubbio v’ha offesi.
Sarai, anima e neve,
tu: colei che non sa
oltre l’immacolato tacere.
Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami. E.
È questo il sospiro che discrimina
che culmina, “l’attimo fuggente”.
È questo il crisma nel cui odore io dico:
sì, mi hai raccolto
su da me stesso e con te entro
nella fonte dell’anno.

***

Sonetto di sterpi e limiti

Sguiscio gentil che fra mezzo erbe serpi,
difficil guizzo che enigma orienta
che nulla enigma orienta, e pur spaventa
il cor che in serpi vede, mutar sterpi;

nausea, che da una debil quiete scerpi
me nel vacuo onde ogni erba qui s’imprenta,
però che in vie e vie di serpi annienta
luci ed arbusti, in sfrigolio di serpi;

e tu mia mente, o permanere, al limite
del furbo orrido incavo incastro rischio,
o tu che a rischi e a limiti ti limi:

e non posso mai far che non m’immischio,
nervi occhi orecchi al soprassalto primi
se da ombre e agguati vien di serpe il fischio.

***

Notificazione di presenza sui Colli Euganei

Se la fede, la calma d’uno sguardo
come un nimbo, se spazi di serene
ore domando, mentre qui m’attardo
sul crinale che i passi miei sostiene,

se deprecando vado le catene
e il sortilegio annoso e il filtro e il dardo
onde per entro le piú occulte vene
in opposti tormenti agghiaccio et ardo,

i vostri intimi fuochi e l’acque folli
di fervori e di geli avviso, o colli
in sí gran parte specchi a me conformi.

Ah, domata qual voi l’agra natura,
pari alla vostra il ciel mi dia ventura
e in armonie pur io possa compormi.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :