Ada Gobetti è stata insegnante d’inglese, nota traduttrice, scrittrice, autrice di libri per l’infanzia, ed è ricordata non solo come la vedova di Piero Gobetti, uno dei primi martiri dell’antifascismo italiano, ma come donna tenace, personaggio notevole dai solidi principi democratici ed esempio di umana solidarietà.
Nata a Torino nel 1902 si laurea in filosofia nel 1925. Laureata in filosofia per compiacere a Piero, ma scelse di insegnare inglese.
Cresciuta in un clima borghese, Ada trova il modo per esprimere la sua fantasia, le sue aspirazioni, le nostalgie, che oggi riaffiorano e conosciamo da alcuni taccuini inediti che provengono dal cospicuo archivio del Centro studi Piero Gobetti. Qui sono narrati i suoi progetti di vita, l’amore verso Piero e l’accesso a una difficile dimensione razionale a cui Piero la stava formando.
Nel 1923 sposerà Piero con il quale oltre a instaurare un legame sentimentale, coltivò quello professionale e intellettuale. I due, compagni di scuola, si erano conosciuti al liceo e Ada aveva già da allora iniziato a collaborare per la rivista da lui fondata “Energie Nove”.
Suo marito diventa il modello da seguire, un esempio e un sostegno da cui attingere forza. Ada fa tanti sforzi per acquisire le conoscenze e per colmare le differenze culturali che la allontanano da suo marito; studia Croce, Gentile e i classici della filosofia sotto la sua guida agognando un rapporto intellettualmente paritario.
Nel primo taccuino intitolato Canti di vita dove sono più presenti i motivi della morte, dell’oscuramento e dell’affettività verso il suo ancora fidanzato Ada scrive:
«Tu non vuoi che io rimanga piccola e ignara per potermi possedere di più: no: il tuo amore è superiore..[..]Non vuoi farti piccolo qualche istante per chinarti sino a me e poi ritornare solo sulla tua vetta, in una vita in cui io non possa penetrare: tu invece ti chini per un attimo verso di me, è vero, ma poi non mi abbandoni, / non ti allontani, con cura amorosa e pura, mi aiuti a salire sino a te, ad essere partecipe della tua grandezza».
Il suo secondo taccuino rimanda al controllo rigido e disciplinato che Ada ha della sua vita. Piero biasima alcune delle sue scelte, segue la perdita della propria autostima a cui sente di dover reagire. Il taccuino denota lo sforzo di Ada a “vincere” i propri limiti e persino le proprie inclinazioni per acquisire un metodo di lavoro il più possibile vicino a quello del suo compagno.
È la fase di un lungo apprendistato intellettuale tramite il quale Ada avrebbe affrontato le prove della sua esistenza.
Alla morte del marito Ada continuerà a coltivare rapporti con i vecchi compagni di Piero, moltissimi intellettuali di diverse generazioni, molti dei quali saranno a lei vicini condividendo l’esperienza della lotta per la Liberazione. Si risposerà con Ettore Marchesini dal quale erediterà il cognome.
Croce da lei soprannominato “il senatore” fu amico di Piero Gobetti e apparteneva a quelle personalità “gigantesche e remote” che Ada stimava in virtù della loro rara preparazione culturale e notorietà. Croce amava Torino e possedeva come Ada una casa a Meana, dove in montagna trascorreva le vacanze estive con suo figlio Paolo.
Il rapporto stabilitosi tra la vedova Gobetti e Croce fu fondamentale dopo la morte di Piero, dell’ affetto e dell’ intelligenza di lui Ada fu capace di far tesoro e in lui trovò una guida, lei che in quel momento storico era una donna che per definizione dello stesso filosofo «sembrava una bestia ferita che si rintanasse per non farsi vedere dai suoi simili».
Ed è proprio grazie a queste due figure di rilievo nel suo percorso privato e nella sfera pubblica che Ada inizia col tempo ad avere una voce propria e ad aprirsi al mondo con la coscienza di chi apprende e trasmette, edotta, sicura del proprio agire nell’attività partigiana e pedagogica.
La casa di Ada a Torino in via Fabro 6 accolse e formò durante i 20 mesi della Resistenza una fucina di giovani, comunisti, partigiani e gente comune che aveva come obiettivo collettivo quello di collaborare per rimuovere dalla città il predominio nazi-fascista. Luogo di scambio, di organizzazione, di azione, casa Gobetti si dispose come granaio dello spirito di cittadini disposti a sacrificare la proprio vita per un’Italia liberata.
Oggi la casa di via Fabro è diventata la sede del centro studi Piero Gobetti, fondato nel 1961 da Ada e suo figlio Paolo Gobetti e alcuni compagni di Piero.
Il salotto-laboratorio politico di via Fabro, la clandestinità, la resistenza armata, si possono considerare la conclusione positiva per Piero, ma anche per Ada, di un “Risorgimento senza eroi”.
Risorgimento senza eroi è il titolo di un saggio di Piero Gobetti che contesta il Risorgimento come movimento che rimase cattolico, colpa anche degli stessi eretici. Mancò al Risorgimento il vero pragmatismo, tanto che i veri eroi che Piero idolatrava non furono Mazzini o Garibaldi, precursori specie il primo di tanta retorica, bensì Cattaneo e Cavour.
E per Ada il Risorgimento etico e politico di suo marito rappresentò il trait d’union con il suo di Risorgimento quello degli anni a venire, della Resistenza partecipata e consapevole.
L’eredità politica e intellettuale di Piero permetterà alla nostra scrittrice di acquisire un’autonomia e uno sviluppo di pensiero indipendente e di impegno verso fronti come la questione femminile, l’educazione e la scuola.
Nel ‘42 Ada fu tra i fondatori del Partito d’Azione clandestino.
Nel dicembre del ‘43 fonda i Gruppi di Difesa della donna dove cerca di spiegare alle donne semplici il significato della guerra e come in quanto donne, avrebbero potuto affrontarla.
Qualche mese dopo si mobilita per la costituzione del Movimento femminile Giustizia e libertà, organizzazione che la obbligherà a spostamenti continui tra Torino e Milano dove conoscerà tantissime donne che condivideranno i suoi progetti.
Nel periodo francese a Grenoble Ada prende contatto con le Union Femme Français.
Goffredo Fofi definisce Ada come “ non politica professionale” e molto aderisce questa definizione a quella che fu la personalità di questa donna che divenne poi vicesindaco di Torino, ma che si impegnò nel sociale e nella vita pubblica più come pensatrice etica e pragmatica che come politica di professione.
Quando le comunicano che la direzione del Partito d’Azione avrebbe voluto nominarla vicesindaco dopo la Liberazione Ada stenta a crederci e non si sente all’altezza del compito e della carica.
Questo rifiuto all’autocelebrazione, all’esaltazione di sé come grande protagonista della storia proviene non solo dall’eccezionale carica di umiltà che le appartiene, ma anche in virtù del fatto che come sottolinea che affronta il destino qual è nella sua aridità tragica, senza bisogno di rivestirlo d’aure eroiche.
L’impegno di Ada è eclettico. Collabora alla stampa di giornali torinesi organizzando riunioni con quanti volevano impegnarsi nella lotta per la democrazia.
Ada spesse volte ribadirà il suo essere snodata da una qualche fedeltà politica, non si ritiene comunista, Ada fornisce la sua idea di onestà, si può essere onesti pur non essendo comunisti o anche essendo scevri da precetti cattolici: «onesto forse è colui che affronta la morte per rimanere fedele al suo concetto morale».
Nel suo lavoro cerca di condurre su un unico vettore socialiste, comuniste, laiche, cattoliche, imparando a conoscere i vari gruppi e a disporsi alle diversità in maniera operosa.
Nel PC la Gobetti entrò a farvi parte dopo, solo nel 1956, ma la stagione comunista non durò a lungo, poiché preferì scendere in campo con il suo pensiero non tanto con i “tecnici” dell’educazione cosi come lei li definiva, ma con la gente comune, più vicina all’attività di cura nel quotidiano reale, desiderosa di orientarsi nel nuovo paese democratico.
Dopo la parentesi in Francia la Gobetti tornerà a Torino.
Ada detesta il modo didattico e composto con cui questi uomini si avvicinano alla ricostruzione, ci vorrebbe a suo avviso più umiltà e più enfasi e più fiducia nelle possibilità che provengono dal mondo femminile.
Dopo la Resistenza la carriera professionale della Gobetti si concentrò, in quanto vicesindaco, sull’impegno politico con particolare attenzione alla modificazione dei regolamenti scolastici, all’assistenza agli anziani, ai malati, alla ristrutturazione di musei, gallerie…
Negli anni ‘50 e nel decennio successivo si impegnò nel lavoro sociale con attività editoriali riguardanti l’ambito educativo ovvero scrittura per ragazzi e per genitori.
Discute temi che nella maggior parte delle famiglie sono taciuti o negati del tutto. Affronta infatti con naturalezza e serietà i tabù culturali, dell’ educazione sessuale dei giovani, del rapporto genitori-figli, dei diritti delle donne e della scuola d’infanzia come luogo di crescita.
Ada Prospero Marchesini Gobetti si spense a Torino il 14 marzo 1968.