Il nostro breve speciale sul 32° SulmonaCinema non poteva chiudersi senza spendere qualche parola in più sull’evento di sabato 20 dicembre, ovvero la proiezione del sorprendente lungometraggio Métamorphoses, diretto dal francese Christophe Honoré. Tra gli eventi che hanno caratterizzato l’ennesima edizione “di resistenza” del festival abruzzese, quello in questione poteva poi vantare un significato particolare: portare una rilettura cinematografica di Ovidio proprio nella cittadina che diede i natali al grande poeta romano.
Una dichiarazione dell’autore transalpino, rinvenuta nel catalogo, ci aiuta già a contestualizzare tale operazione culturale: “Da bambino, ho sperimentato il piacere del racconto grazie a mio fratello maggiore che in segreto mi leggeva le Metamorfosi di Ovidio. Dopo otto film, ho sentito che era venuto il momento di immergersi nuovamente nel vivo della scrittura senza tempo di Ovidio. In un’epoca in cui il solo menzionare la Grecia evoca immediatamente il «debito greco», ho ritenuto che fosse urgente ricordare a noi stessi l’«eredità greca».”
La Grecia come patrimonio culturale comune, quindi, non come metonimica allusione a disastri finanziari che non è stato certo il generoso popolo ellenico a creare, bensì le classi agiate dell’intero Vecchio Continente. Ma non divaghiamo. Lasciamo perdere le pastoie dell’attualità (politica), per concentrarci invece sull’attualizzazione dell’antica opera.
Le metamorfosi di Ovidio vengono infatti contestualizzate nella Francia meridionale di oggi, stando alla fantasiosa e di sicuro arguta interpretazione, offerta nella circostanza dal cineasta francese. Zeus alla guida di un camion. Europa rimorchiata dal dio all’uscita di scuola. Mentre Narciso, a spasso con lo skate in scene girate quasi alla Van Sant, è ovviamente molto compiaciuto, ma con la tragedia dietro l’angolo. Le seguaci di Bacco pronte invece a dare libero sfogo alle proprie pulsioni, sebbene siano subentrate armi da fuoco a potenziare la veemenza dei loro raptus.
Si potrebbe imporre a questo punto una domanda: sono l’esteriorità e la semplice volontà di stupire a guidare l’autore, in una simile traslitterazione dei miti classici? Niente di più lontano dal vero, a nostro avviso. Christophe Honoré sembra catturare l’anima di certe storie dal sapore antico, riconoscendo in esse degli archetipi, proiettandole quindi con una sensibilità molto personale in quel mondo moderno, qui descritto rapsodicamente e con linguaggio cinematografico talmente fresco da lasciare basiti.
La libertà espressiva che ne deriva è foriera di scelte registiche che in ogni caso non risultano mai pacchiane, gratuite, ma che nei momenti più ispirati assicurano brividi profondi allo spettatore. Tale è il traumatico e vertiginoso epilogo della breve parabola di Narciso. Lo stesso può essere detto del ritorno di Orfeo dall’Ade, grazie alla collocazione, pressoché inedita, del suo sofferto rientro sul fondo di certe acque lacustri.
La sensualità dei corpi rilassati, amoreggianti, indizio di un paganesimo compreso nel profondo, attrae con naturalezza e senza morbosità lo sguardo dello spettatore. La categoria del “magico” irrompe con analogo passo felpato nell’inquadratura, senza forzature e trucchi volgari, dandoci la conferma di come Christophe Honoré abbia reso davvero un bel servizio all’eredità del grande scrittore latino.
Stefano Coccia