






Di blues si parla anche in due dischi italiani, quello della Gnola Blues Band, Down On The Line, riuscito sforzo di portare il blues a pascolare fuori dal recinto, con un aperto ricorso alle ballate, tutte eccellenti, e ad un rock melodico, naturalmente tinto di radici blue, che può far storcere il naso ai fondamentalisti del genere ma soddisfa il palato eretico di quanti trovano il blues anche nei Rolling Stones, in Graham Parker, nella Frankie Miller Band, in John Hiatt, Ry Cooder e Sonny Landreth. Consigliato in macchina a volume alto. Contiene una personale versione di Ventilator Blues e in due brani c'è l'inconfondibile tocco di Chuck Leavell. Il secondo disco è quello di Paolo Bonfanti, genovese trapiantato a Casale Monferrato, anche lui ultimamente annoiato di solo shuffle e ortodossia in dodici battute. Nel suo nuovo disco Back Home Aliverilegge con la sua band alcuni brani della sua passata produzione rivestendoli di nuove sonorità e rivisitandoli con nuovi arrangiamenti, spesso arditi e coraggiosi.Un ruolo centrale la gioca la fisarmonica (Roberto Bongianino) che dona all'intero set un deciso orientamento roots, accentuato dal lavoro di Steve Berlin (Los Lobos) come produttore. Il mood è puro roots rock americano, tra intenti cantautorali (le canzoni di Bonfanti) e attitudine da rock band tra Lobos, Blasters e sapori louisiani, con cover centellinate tra Who (The Seeker), Van Morrison (A Nickel and A Nail) e Grateful Dead (Franklin's Tower). Due dischi che dimostrano la maturità di quella generazione di bluesmen italiani ormai maturi nelle loro escursioni oltre confine

I Lucero sono una band che agli estimatori del roots-rock o alternative country è sempre piaciuta sebbene non abbiano mai raggiunto lo status e la brillantezza dei Drive By Truckers e nemmeno un disco che si elevasse verso l'olimpo. All'inizio erano troppo punk per il classic rock, poi hanno ridefinito il tiro enel 2009 si sono accorti di essere una band di Memphis quando per l'album 1372 Overton Park hanno ingaggiato una sezione fiati e hanno allargato il loro alternative country-rock verso i paesaggi sonori della città occhieggiando alla Stax. Prima di allora si erano segnalati per una onesta e sincera attitudine conun rock urgentee aggressivo, qualche volta a ridosso di sonorità garage ma il disco della svolta è stato proprio quel lavoro del 2009, intitolato come il parco di Memphis attorno al quale è girata la loro gioventù e la loro voglia di evadere con la musica. Dopo 1372Overton Park c'è stato Woman & Work ma non ha avuto lo stesso impatto sebbene la strada fosse la stessa e la voce di Ben Nichols, chitarrista e leader del gruppo, una volta di più rovesciasse con quel timbro aspro e disperato la sua inquietudine ed il suo essere fuori posto sempre e comunque, a meno di non trovarsi in un romanzo di Cormac McCarthy. Autore tanto amato dal nostro al punto da dedicare al suo Meridiano di sangue un mini album di ballate collocate negli orizzonti infuocati del West. Da quel disco e dalle radici memphisiane espresse negli ultimi lavori, nasce il nuovo disco AllA Man ShouldDo forse il lavoro più ponderato ed intimista dei Lucero per quella verve balladiera che accompagna tutte le tracce del disco, sottolineate dal continuo e minuzioso lavoro di pianoforte di Rick Steff membro originario della band e mattatore del disco, artefice di un soundmeno aggressivo e rutilante e più avvolgente. Se difatti 1372 Overton Park faceva sfoggio di un'euforia ed una grinta che si appoggiavano su sferragliate chitarristiche da garage band e sul potente innesto fiatistico all'insegna di un viscerale e primitivo rhythm and blues, All A ManShouldDo smussa gli angoli e più che il lavoro di una band sembra il frutto di un ispirato songwriter con tutte quelle aperture melodiche, quel fine lavoro nelle armonie, quelle ballate malinconiche e crepuscolari e quello struggersi nella dualità delle relazioni e del sentirsi invecchiare. Ben Nichols, l'autore dei testi, e Rick Steff hanno scelto di cambiare copione e hanno trascinato con loro il resto della band, ma non hanno tradito le loro origini perché se brani come TheyCalled Her Killedcon quella fisarmonica persa nei rimpianti, la dondolante e armoniosa Baby Don't You Want Me e ilnostalgico racconto di Went Looking For Warren Zevon's Los Angeles sembrano spostare ad ovest il loro baricentrooppure la dolce I Wake Up In New Orleans fa capire come i Lucero si collochino in quella tradizione di american bands tutte strade&motel, altri numeri come Young Outlaws, Can't You Here Them Howle la splendida, conclusiva My Girl and Me In '93sciorinano tutta una tradizione memphisiana nell'arrangiare i fiati e nel soffiare trombe e sax come fecero gli Stones dei primi settanta e come avrebbero voluto fare i Drive By Truckers country-soul di The Big To Doe Go-Go Boots . Il limite del disco è una certa ripetitività melodica sia nella voce sia nelle sottolineature dall'onnipresente pianoforte, ma è un disco interessante. Ascoltatelo prima in rete prima di comprarlo.

Anche 3 Shots degli Hollis Brown è un buon dischetto anche se ai recensori della rivista su cui scrivo non è piaciuto molto. Il fatto è che il nuovo lavoro è molto diverso da Gets Loaded con cui la band rileggeva integralmente Loaded dei Velvet Underground mettendoci una verve garagista da Paisley Underground e creando una atmosfera da attrazione fatale. No, 3 Shots è molto diverso, soprattutto perché smussa il loro dark side a favore di un approccio melodico e soul molto più marcato. E' vero che davanti ad alcuni brani si rimane un po' basiti, ad esempio in Death Of An Actress sembra di sentire Leo Sayer e Sweet Tooth ha una percentuale di zucchero tendente alla glicemia, ma in altri momenti, e mi riferisco a Wait For Me Virginia e a Sandy, l'equilibrio tra dolcezze e rock n'roll funziona anche con qualche innesto di sax e trombe, una voce che si fa soul ed echi byrdsiani. Non mancano episodi da blue-collar band, Rain Dance ha ritmo, svacco e sporcizia. Johna Waynecavalca tra impennate elettriche furiose e deliranti e pause acustiche mentre in controtendenza la title track evoca i Fleetwood Mac californiani. In fondo è vero, 3 Shots non ha un vero focus ma il disordine degli Hollis Brown mostracreatività ed una evoluzione tutta in divenire. Almeno speriamo.
All'inizio faticavo a capire la grandezza di un disco come Ashes & Dust di Warren Haynes coi Railroad Earth, la jam band bluegrass più popolare d'America. Mi sembrava come mettere insieme il limone col cioccolato, ovvero la voce bluesy di Warren Haynes, la sua chitarra ribollente, coi violini, le corde acustiche e i mandolini agresti dei Railroad Earth, un connubio che strideva e non creava amalgama. Due corpi a sé. Sono bastati quattro ascolti per ricredermi, quella di Ashes & Dust è grande musica, questo è un grande disco e ve lo dice uno mai troppo accondiscendente verso i suoni country oriented. Ma qui c'è il blues mascherato da hillbilly, c' è la stoffa del songwriter, c'è il ricercatore che va a riscoprire nella sua North Carolina gli autori di canzoni che lo hanno influenzato (Ray Sisk, Malcome Holcombe, Larry Rhodes), c'è il retaggio della musica celtica e della musica di montagna ma anche il jazz acustico e l'american cosmic music, c'è insomma una visione a 360 gradi che consente a Haynes, ben appoggiato dai Railroad Earth, di uscire dal suo sterminato background rock/blues per rivelarsi come un musicista a tutto tondo, il più creativo musicista che la musica americana ha espresso negli ultimi vent'anni. E questo basta per consigliare a chiunque Ashes & Dust, il mio personale summer of 2015 record, tra jam pseudoacustiche (l'immensa Spots Of Time), echi di Higway Call di Dickey Betts, ballate intimiste, scampoli dei Dead unplugged, melodie da songwriter e l'ombra di un'America rurale affascinante e misteriosa. Perfino l'episodio west-coast pop di Gold Dust Woman di Stevie Nicks, cantata con Grace Potter come fossero i Fleetwood Mac di Rumours.

Una ristampa per chiudere il capitolo dischi. Molto si è scritto e detto a proposito della ristampa di Sticky Fingers dei Rolling Stones. Tutto Ok, quello è uno dei capolavori della loro discografia e di tutta la storia del rock, ma per l'ennesima volta l'appassionato che ha acquistato l'edizione super-deluxe si è sentito prendere per i fondelli. In quella edizione, che costa la bella cifra di 100 euro e passa, oltre agli show della Roundhouse di Londra del marzo 1971 e di Leeds dello stesso mese, veniva inclusonel DVD allegato un assaggio del concertotenuto al Marquee di Londra dello stesso marzo. Due brani e stop. Alla faccia di chi ha acquistato la super deluxe edition, viene pubblicato nemmeno un mese dopo ad un prezzo molto ragionevole il CD+DVD Rolling Stones From The Vault- The Marquee Club Live in 1971 che riporta interamente tutto quel concerto al Marquee, una specie di opera d'arte visiva e audio di cosa fossero gli Stones prima di emigrare in Francia. Una band in cima al mondo, non per i soldi ma per il rock n'roll, una band che aveva bisogno solo di attaccare la spina e stappare una bottiglia di Bourbon per mandare l'ascoltatore in orbita e far capire quanto potente sia il rock n'roll in quanto ad eccitazione, capace di suscitare uno stato emotivo di esaltazione/benessere pari a quello che si prova quando si "conquista" ( donne perdonatemi il maschilismo, ma stiamo parlando degli Stones) una donna. E' solo un'oretta di musica, perché lo show è uno special televisivo allestito per invitati e addetti ai lavori ma basta e avanza. Midnight Rambler non è mai suonata così disordinata e carica, Live With Me è una fucilata rhythm and blues che fa saltare le fondamenta della Stax, Bitch è sporca da morire e Jagger è lì sul palco non per fare l'attore ma il più sfrontato e straordinario frontman che il rock ricordi. Obbligatorio l'acquisto.

Dai dischi ai libri, anzi ai libri di due amici. Una marchetta? Non ho nulla da guadagnare se non una bevuta con Denti ed un "grazie Zambo" da Cerbone. Due libretti usciti da qualche tempo e non hanno certo bisogno della mia segnalazione. Il primo è Non Siamo Qui Per le Caramelle, già in ristampa visto che gli esodati (a proposito è talmente una parola fuori senso che anche il correttore di word me la segna come errore) del sud Milano sono tanti. Marco Denti ha raccolto la testimonianza di questi dimenticati del capitalismo in crisi e ne ha costruito una sorta di romanzo alla Kurt Vonnegut raccontando per filo e per segno quello che nel dicembre del 2011 un governo eletto solo da Presidente della Repubblica ha decretato per migliaia di lavoratori in procinto di andare in pensione. Ovvero ha condannato all'invisibilità lavoratori con un passato di contributi regolari coniando un termine fino all'ora non compendiato dal vocabolario della lingua italiana: ESODATI. Marco racconta il loro travaglio senza pietismo ed indulgenza, come fosse una fiction, ma cazzo è una cosa vera anzi verissima, uomini che sono diventati fantasmi irrequieti, identificati con un codice, che hanno vagato, pregato, urlato, bussato, non in cerca di una terra promessa ma del futuro che è stato loro negato con una firma e una legge della repubblica, proprio in procinto del loro arrivo alla pensione, togliendoli di fatto dal mercato del lavoro. Un romanzo agghiacciante, che fa incazzare e lascia attoniti, pura fantascienza se non fosse la più cruda real politik del nuovo millennio. Il miglior blue-collar book dell'anno.

Di altro tenore è America 2.0 di Fabio Cerbone, uno che di America se ne intende visto che è l'animatore ed inventore del sito Roots Highway e l' autore di libri come Levelland, nella periferia del rock americano. La sua conoscenza dell'universo americano è squisitamente letteraria e musicale ma approfondita e ciò gli ha consentito di scrivere un libro che a partire da canzoni entrati nell'universo della musica a stelle strisce più vicina al mondo dei blue collars, degli hobo, dei ramblin' gamblin men, dei beautiful losers, racconta di una grande illusione finita nel macero dei sogni perduti. La minuziosa conoscenza della materia musicale ed una indubbia capacità descrittivapermettono a Fabio Cerbone di accompagnarvi dentro le storie di cui prima avevamo sentito solo i suoni, le parole e le note e adesso ne cogliamo il respiro, i drammi, le vicende umane, i travagli. Così lo splendido racconto di Nella Valle di Tecumseh basato sull'omonima canzone di Townes Van Zandt sembraun noir che crea un'attesa spasmodica e La Scheggia, costruita attorno a Sam Stone di John Prine, è la più cupa e drammatica cartolina del post-Vietnam che l'America di provincia potesse inviarci. Non sono gli unici racconti a coinvolgere, bellissimo è anche La Cadillac di Elvis basato sulla canzone di John Hiatt Tennesse Plates e pure Qualcosa di grande, liberamente tratto da Something Big di Tom Petty ha il potere di portarvi dentro una storia che ben riflette gli umori della canzone da cui Cerbone ha tratto l'ispirazione. Altri racconti sono più didascalici e sono contornati da un romanticismo un po' calcato, quel romanticismo degli ultimi però che appartiene di diritto a questa musica di perdenti che richiedono dalla vita la propria chance di riscatto. Perché l'America che piace a Cerbone e a noi non è quella dei vincitori e della forza, ma è quella che si ritrova nella grande illusione tradita, che amabilmente Fabio Cerbone racchiude in un libro sapientemente strutturato come un vinile, ovvero una Side One coi raccomti dell' Heartlande di Down The Promised Land, ed una Side Two conDrive South, Into The Desert e Way Out West. Sedetevi in poltrona allora, infilate il CD con una canzone di Kris Kristoffersson, o Dave Alvin o Tom Waits o ancora meglio appoggiate la puntina su quei vinili, aprite il libro e iniziate il viaggio. Dentro le mura della vostra stanza vi apparirà l'America come l'avete ascoltata da una vita.
Questo post è dedicato ad uno dei più grandi artisti del rock n'roll, vissuto per le nostre emozioni. William Paul Borsey Jr. alias Willy DeVille di Stamford, Connecticut, 25 agosto 1950- 6 agosto 2009.
MAURO ZAMBELLINI