Eh sì, è un po’ che non scrivo.
Perché in realtà è da un po’ che mi si è svuotata la mente da ogni pensiero che non siano numerinumerinumeri.
Il che vuol dire che leggo meno (molto meno), guardo meno tv, dormo meno, bevo meno, e mi stresso di più (qualcosa in più doveva esserci).
Nel frattempo però, non sono stata completamente ferma. Sto rileggendo la saga di Harry Potter, in originale, perché per me Harry è come tornare un po’ a casa, e ho bisogno di farlo.
E proprio mentre riguardavo il film del prigioniero di Azkaban, sabato scorso, riflettevo su cosa di bello si può trovare in questa saga. Perché non è solo la magia, non è solo un modo di scrivere che ti porta a credere che tutto sia vero, è quello che c’è scritto che conta. Il trattare la perdita, il lutto, l’amore, in quella maniera stupenda come solo i grandi scrittori sanno fare, quei grandi scrittori che conoscono in prima persona quello di cui parlano.
Perché ci sono quelle storie che rimangono storie, e ci sono quelle che ti entrano dentro, si prendono quel posto lì, nel cuore, rendono i personaggi a te familiari, e non se ne vanno più.
Quindi sì, Hogwarts. Perché quando la vita ti toglie ogni briciolo di magia, tocca a te andartela a riprendere.
E poi, un bel giro in libreria, spendere l’ultimo buono regalo fino all’ultimo centesimo, una serata con gli amici, una giornata al mare, una cena e le risate, qualcuno che torna a casa dopo un’assenza pesante.
Come piccoli pezzi di un puzzle che con fatica cerca di tornare a posto. E se non lo facesse del tutto?
Si possono sempre disegnare i pezzi mancanti.
Almeno ci si può provare.