Sun Moon Lake, o dei capelli di strega di Mister Wang

Creato il 12 giugno 2011 da Lasere


Non so voi, ma io è circa una settimana che ogni giorno mi preparo diligentemente il mio buon litro di tè freddo, per poi ritrovarmi al pomeriggio, come una tonta, a contemplare tuoni fulmini e saette con un bicchiere ghiacciato in mano. Son per niente cose belle, eh ;-)
Ho pensato dunque di rimandare di qualche giorno il posto sui tè freddi che vi avevo promesso, per tornare un attimo a parlare di un tè più intonato a questo pezzettino d’autunno che s’era perso per strada: un tè nero taiwanese che è tra i miei preferiti (di quelle preferenze “di pancia”, incondizionate), incontrato la prima volta proprio nel giugno dell’anno scorso, in quel di Parma, in giorni di tempo burlone come questi nostri.

Lo shiboridashi che ho usato per prepararlo ve lo raccontai qui, in una domenica d’inverno

Non furono giorni “facili”, quelli, come mai facili sono i giorni in cui ti avvedi che l’oasi tremolante verso cui saltelli emozionata ha i contorni di un tuo bisogno acceso, non della realtà. Ma come spesso accade il tempo ha stinto il brutto del ricordo per far più luminoso ciò che val la pena tenere a mente, e a cuore; per questo di quei giorni io trattengo solo memorie gentili: il profumo di una cassetta di manghi maturi sparso nell’aria da un petulante ventilatorino; il Borgo zitto in cui abitavo, con quella calma immobile di rare biciclette che solo in Emilia è così, allegra e disperata insieme; i versi de “La camera da letto” di Bertolucci – «Era l’ora che il malato si risveglia / e sente la fronte più fresca, / finisce goloso il caffellate increspato, / si commuove / della luce che spalma le persiane: così / inutilmente si spossa» -, sul letto a voce alta e pancia in su, a spossarmi anch’io di luci e persiane come malato che a fatica si risveglia, e poco a poco riconosce il male che lo tiene e lo confonde; e infine il profumo di questo tè, più volte preparato in una sbilenca casseruola fuori misura: Sun Moon Lake, si chiama, dal nome dell’area in cui cresce alla discreta altitudine di 600-700 metri slm.

Veduta dell’area Sun Moon Lake, tratta dal sito di promozione turistica. Situata nella contea di Nantou, l’intera zona prende il nome dal lago “Sun Moon”, così chiamato perché l’isola che vi si trova nel bel mezzo, in passato più estesa di adesso, separava il lago in due parti dalla forma somigliante rispettivamente ad una luna crescente e ad un sole rotondo.

David, in arte The Essence of Tea (rivenditore inglese che stimo particolarmente e che una volta di più vi consiglio, soprattutto se siete amanti di tè Puerh sheng e oolong “di roccia” Wuyi), ha da poco pubblicato un articoletto su questo tè che importa direttamente da Taiwan, da cui attingerò per raccontarvene.

Il “papà” del mio Sun Moon Lake si chiama Mr Wang: è lui che si occupa della produzione, fino ad oggi totalmente manuale e su scala ridotta, di questo tè; inizialmente limitata ad amici e parenti, la condivisione si è col tempo estesa anche a qualche rivenditore, tra cui appunto The Essence of Tea. L’attività di Mr Wang ha però implicazioni che vanno ben oltre il “semplice” produrre un tè piacevole da bere; il suo lavoro accoglie e preserva, con lungimiranza, preziose memorie storiche, culturali, botaniche:

I tozzi tronchi degli arbusti centenari della piantagione di Mr Wang, con le foglione tipiche della Camellia sinensis assamica (immagine tratta dal sito The Essence of Tea)

«Mr Wang è proprietario di una delle poche piantagioni di arbusti centenari rimaste dai giorni dell’occupazione giapponese (l’isola di Taiwan fu sotto il dominio coloniale del Giappone dal 1895 al 1945 – nota mia), composta da piante che i giapponesi importarono dalla regione indiana dell’Assam (essenzialmente per questioni di analogie climatiche – nota mia). Di questi tempi, sempre più coltivatori estirpano queste vecchie piante originarie per far posto a nuovi e più proficui ibridi, come i cultivar N. 8 e N. 18 (sottovarietà create in tempi successivi dal Taiwan Tea Research Institute; il tè nero taiwanese più apprezzato e diffuso al giorno d’oggi proviene dal cultivar n. 18 e solitamente lo si trova commercializzato col nome di “Ruby tea” – nota mia). Quelli che non le estirpano, incrementano i loro profitti piantando tra esse palme di Betel (l’economia della zona si fonda tradizionalmente sulla raccolta di noci di Betel – nota mia), fertilizzando poi abbondantemente il tutto per permettere al terreno di sopportare questo nuovo e più pesante carico.
Mr Wang, al contrario, coltiva i suoi tè senza far uso di fertilizzanti e pesticidi, e al momento sta portando a termine l’acquisto delle strisce di terra confinanti la sua piantagione proprio per evitare che l’eventuale uso di sostanze nocive da parte dei vicini comprometta la sua cura.»

Già il fatto che sia un tè nero (o meglio un Hong cha, un tè rosso; siamo noi occidentali ad averli ribattezzati “neri”, spostando l’attenzione dal colore dell’infuso a quello delle foglie) lo rende un po’ speciale, considerato quanto poco consueta sia la produzione di questa tipologia di tè a Taiwan, dove la semi-ossidazione degli oolong la fa da padrona; ancor di più se pensiamo a come le piante da cui proviene siano dirette testimoni di un preciso momento storico e del conseguente “triangolo culturale” che in esso si venne a creare: piante indiane messe a dimora su suolo taiwanese da coltivatori giapponesi.

«Sembrano capelli di strega», disse mia mamma quando glielo mostrai: ha foglie lunghe, grandi, intere, ritorte per lungo, irte e nerenere. Capelli di strega, senza dubbio :-)

L’aroma acquattato nel sacchetto in cui lo conservo mi inebria ad ogni apertura, balzandomi incontro con la sua scia avvolgente di trascorse sensazioni. Riconosco chiaro il profumo di prugne secche, poi sfumature di legno e miele scuro, e una punta di noce moscata; il fruttato è qui più asciutto di quanto non sia in alcuni Assam – specialmente quelli ricchi in germogli -, che ad annusarli pare talvolta di avere un bicchiere di succo d’albicocca sotto al naso (yum! ;-)).

A contatto col calore dell’acqua emergono repentini i toni maltati, frutto delle sue radici assamiche (fuor di metafora!) e veri protagonisti in tazza: me ne sono resa inequivocabilmente conto preparandolo a freddo (i soliti 10 grammi di foglie per litro, lasciati in infusione a temperatura ambiente per circa due orette), a fronte di un risultato che mi ha sorpresa e divertita ricordandomi immediatamente la birra (eh, sì: birra!), di quelle rossicce e delicatamente fruttate in cui l’aroma inconfondibile del malto porta un dissetantissimo accento amarognolo. E’ incredibile quanto arrivi a somigliarci!

In tazza è limpido tramonto, con un raggio d’oro chiaro a disegnargli il contorno

Nonostante il suo corpo leggero, incapace di farsi opaco anche se infuso più tempo del necessario, è un tè con un gran bel caratterino, che non si perde in troppe moìne e non manca di certe piccole scontrosità (comunque facili da tenere a bada diminuendo la temperatura d’infusione ad 85-90° circa): mi commuove per schiettezza. Per me è saggio antico, benevolmente burbero; forse anche un po’ stregone, di quelli che abitano i vecchi tronchi bitorzoluti :-)

Al di là dei ricordi personali che mi suscita e del piacere grande che provo ogni volta che me lo concedo, trovo sia un tè “speciale”, affascinante e prezioso, come affascinanti e preziosi sono tutti quei tè che hanno nome e cognome, e una storia alle spalle che ci arriva intatta, senza perdersi lungo la strada che dalla piantagione porta fin dentro le nostre tazze.

A partire dall’ultimo raccolto, quello della primavera 2011, la produzione di questo tè ha subito un deciso cambiamento: Mr Wang ha acquistato le terre del fratello, anch’esse coltivate a tè; più piante significa ovviamente più foglie da lavorare, e Mr Wang non se l’è sentita di continuare a procedere manualmente in ognuna delle fasi, come aveva fatto sino ad ora. Pur mantenendo la raccolta a mano, dunque, d’ora in avanti la lavorazione delle foglie sarà affidata alla Sun Moon Lake Antique Assam Tea Factory, stabilimento “d’epoca” risalente anch’esso all’occupazione giapponese e che di quei tempi mantiene macchinari e tecniche di lavorazione (qui un video corto e bruttino che permette comunque di dare un breve sguardo ad alcuni macchinari, più precisamente a quelli dedicati alla “rollatura” delle foglie).
Un suggestivo “ritorno al passato”, certo… Ma quanto influirà questo mutamento sulla personalità del tè? E non intendo solo circa il gusto e l’aspetto, ma anche e soprattutto riguardo quell’aura magica che coronava ogni singola foglia, ai miei occhi e al mio palato. Il nuovo Sun Moon Lake si sostituirà a breve a quello del 2010 attualmente in vendita da The Essence of Tea: staremo a vedere, dunque :-)

Vi lascio infine tre altri link di approfondimento: uno che ripercorre brevemente la storia della produzione di tè nero a Taiwan (“Black tea helps revive ruined community, retrieves lost glory”), gli altri due per saperne di più sul cultivar N. 18 e relativo “Ruby tea” a cui si è accennato nel post (“New Cultivar Taiwan No. 18″ e “Hong Yue”).


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