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Suoni, colori e profumi: la registrazione dei marchi non convenzionali. Parte Prima: I colori.
Da CristinaromanoQuando parliamo di marchi, immediatamente pensiamo a disegni, parole o simboli con i quali un’impresa contraddistingue la propria attività. Tuttavia, in un contesto in cui il marchio rappresenta un vero e proprio strumento di comunicazione, l’immaginazione corre verso soluzioni innovative e fantasiose: suoni, colori, profumi che, in associazione ai prodotti di una determinata impresa, siano in grado di far leva sulla sfera emozionale del consumatore.
Soluzioni già attuali, altre future o futuribili. Tutte, in ogni caso, innovative. Ma è possibile registrare marchi non convenzionali? Ed entro quali limiti?
L’articolo 7 del Codice della Proprietà Industriale stabilisce che: “possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese”.
Secondo autorevoli giuristi l’articolo 7 contiene un elenco soltanto esemplificativo dei possibili marchi registrabili, il che apre senz’altro la strada alla registrazione di “segni” non convenzionali.
Partiamo dai colori, una delle ipotesi più intriganti, rinviando ai prossimi articoli l’analisi di suoni e profumi.
La strada per la registrazione di un marchio di colore, va detto, è irta di ostacoli ma rappresenta sicuramente una sfida per i professionisti del settore.
Naturalmente va precisato che le maggiori riserve attengono alla registrazione di colori puri e semplici e non già di combinazioni cromatiche, le quali –come segnalato– sono comunque contemplate dal Codice della Proprietà Industriale.
I detrattori ritengono che numerose ragioni ostino alla registrazione di un marchio di colore .
In primo luogo osservano che essa sia incompatibile con l’interesse generale alla salvaguardia della libera disponibilità dei colori da parte di tutti gli imprenditori, stante il numero ridotto della gamma di tinte esistenti. Un diverso ragionare, si osserva, potrebbe dar vita a situazioni, intollerabili, di monopolio all’interno dei singoli mercati.
In realtà tale preoccupazione è condivisibile solo in parte.
Certamente potrebbe assistersi ad una grave distorsione della concorrenza, qualora si registrasse un colore descrittivo e tipico di una classe di prodotti. Immaginiamo, ad esempio, la registrazione del marchio rosso per un vino dello stesso colore; o la registrazione di un marchio arancione per una marmellata di arance. In questi casi è evidente che verrebbero pregiudicati gli altri produttori delle medesime merci. Chiaramente diversa, invece, è l’ipotesi di un’associazione del tutto arbitraria e fantasiosa tra un prodotto o un servizio ed un colore che non sia “tipico” di quel mercato. E quanto più sarà libero e arbitrario il collegamento tanto più “registrabile” sarà il marchio.
Una prima obiezione sembra dunque superata. Ma è solo l’inizio.
Uno degli argomenti più difficili da superare sembra essere rappresentato dalla carenza di “distintività” del marchio di colore, e ciò quantomeno nella fase iniziale di commercializzazione del bene o del servizio. Si ritiene, cioè, che il colore, in assenza di altri elementi grafici, non sia in grado di far presumere di per sé l’origine imprenditoriale del prodotto: “i colori, se è vero che ben possono trasmettere talune associazioni di idee e suscitare sentimenti, per contro risultano poco idonei, per loro natura, a comunicare informazioni precise”. Di conseguenza i colori non sarebbero in grado di realizzare l’obiettivo finale, rappresentato dalla consapevole reiterazione delle esperienze d’acquisto. Da qui la conclusione, contenuta in alcune celebri sentenze, secondo cui la registrazione potrebbe aver luogo “solo provando il preuso del colore come marchio o provando che lo stesso, nel corso del tempo e mediante la spendita presso il pubblico, abbia acquisito capacità distintiva; sia, cioè, divenuto riconoscibile ai consumatori come marchio di una determinata impresa”.
In realtà, anche tali argomenti non sembrano del tutto condivisibili.
In primo luogo, il colore è un validissimo strumento di comunicazione che, più di altri elementi grafici, è in grado di colpire l’attenzione del consumatore: il colore viene immediatamente recepito e assorbito dall’inconscio, creando associazioni chiare e durature.
In secondo luogo, subordinare la registrazione di un marchio di colore ad un previo uso che ne dimostri la riconoscibilità presso il pubblico significa stravolgere la disciplina degli impedimenti sancita dal diritto nazionale e dell’Unione Europea e, di più ancora, creerebbe un’ingiustificata e ingiustificabile disparità di trattamento tra i marchi.
D’altronde una strada per il superamento di tali censure esiste ed è contenuta proprio nelle stesse sentenze portatrici di un’interpretazione tanto restrittiva.
Nella celebre sentenza Libertel, infatti, può leggersi che “in circostanze eccezionali”, cioè quando “il numero dei prodotti o dei servizi per i quali venga richiesta la registrazione del marchio risulti limitato”, esso possa essere considerato “intrinsecamente distintivo”.
Ed ancora, come si accennava in precedenza, è stato riconosciuto potere individualizzante ai “colori con tonalità molto particolari o del tutto inusuali rispetto al prodotto cui sono applicati, che non abbiano una funzione descrittiva del prodotto, ma siano collegati ad esso da un accostamento di pure fantasia con carattere originale”.
Assumendo, dunque, che per quanto ostacolata la registrazione di colori sia possibile, cerchiamo di capire come proporre efficacemente la domanda di registrazione di un colore primario, ovvero di una tonalità o di una combinazione cromatica.
La giurisprudenza richiede, per la registrazione di un colore, che lo stesso risponda a tre requisiti: deve costituire un segno di comunicazione d’impresa. Deve essere idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di una determinata impresa da quelli di altre imprese. Deve poter essere oggetto di rappresentazione grafica.
Si precisa, altresì, che la rappresentazione grafica, funzionale alla definizione del marchio, deve essere di per sé completa, in modo tale da individuare con chiarezza e precisione l’oggetto esatto della tutela conferita attraverso il marchio registrato al suo titolare.
A tal fine, è stato osservato che i colori o le combinazioni cromatiche, disegnati astrattamente e senza contorno in una domanda di registrazione, e le cui tonalità siano enunciate con riferimento ad un campione di colore e precisate secondo una classificazione di colori internazionalmente riconosciuta, possono costituire un valido marchio, purché nel contesto nel quale sono impiegati, si presentino effettivamente come un segno e, alla domanda di registrazione segua l’impiego di tali colori secondo uno schema predeterminato e costante; ciò poiché non si ritiene ammissibile una combinazione di colori in tutte le forme e gli schermi immaginabili e di volta in volta variabili.
Naturalmente quelli proposti sono soltanto alcuni profili di un discorso più complesso, ma con i quali si desidera offrire alle imprese uno spunto per sperimentare, innovare, in una parola andare oltre.