Questo disco è un calice alzato in onore dell'adolescenza. E' il miglior disco di rock "alternativo" degli anni '90 uscito con almeno 15 anni di ritardo. E per rock alternativo intendo quella cosa fatta con le chitarre con il distorsore a palla, il basso ripetitivo in secondo piano a "riempire" tutto il riempibile, la batteria elementare e picchiata forte. Intendo melodie (power) pop non abbastanza sputtanate per il mainstream e troppo poco "deviate" per piacere agli ambienti dell'underground. Immaginatelo così: condensate Husker Du (togliendone la capacità di scrittura), Dinosaur Jr (togliendone il malessere esistenziale e la potenza), Pixies (togliendone la genialità), Sonic Youth (limitandoci a cose poppeggianti quali Teen Age Riot o Catholic Block), Nirvana (per non fare torti, diciamo per la batteria), Smashing Pumpkins (beh, qui vedrete voi cosa togliere o cosa lasciare, facciamo che lasciamo una donna al basso); mescolate il tutto con l'attitudine "working class" che tanta fortuna ha portato ai Creedence. Aggiungete una vocina stridula che risulterebbe odiosa in qualsiasi altro contesto. E il fatto che solo un disco americano può suonare così, può essere prodotto così e non è ridicolo se in scaletta ha un pezzo come "Winter games".
Ma allora, dove sta il senso dell'esistenza di siffatta opera? Sta nel fatto che ci vuole coraggio a essere dei passatisti che sanno arrivare così vicino al cuore; sta nello straniamento del sentir suonare dei 40enni come adolescenti col senno di poi, felici di poter essere finalmente così inattuali da riassumere in 11 canzoni, invero tutte abbastanza simili, una stagione musicale irripetibile. C'è chi lo troverà totalmente inutile, a me piace immaginarlo come una finestra su un tempo perduto. A mano a mano che scorrono le varie "Digging for something" o "Crossed wires" fa capolino l'idea che, qualitativamente parlando, forse i Superchunk sono alcune spanne più in su di quello che i Foo Fighters hanno solo immaginato di raggiungere. Peccato che il conto in banca dimostri che la paraculaggine paga, oh se paga. Ma tutte queste motivazioni nulla valgono, di fronte all'emozione che mi ha asslaito quando questo disco mi ha sussurrato all'orecchio uno di quei "what if" di marvelliana memoria, in cui il bassista, pur se innegabilmente fallito, per qualche tempo ha suonato, sempre in secondo piano e defilato, ma felice, con l'unica band in grado di produrre la colonna sonora perfetta dei suoi 18 anni.