Nel pubblicare questo bell'articolo di David, introduco una novita'. D'ora in poi, invece di mettere solo qualche paragrafo sul blog e l'intero articolo su Estropico.org, mettero' l'intero articolo su entrambi. Due ragioni: 1) risparmio ai lettori di saltare da un sito all'altro e 2) perche' a questo modo il materiale e' presente su due piattaforme diverse, una forma di back-up.
“Miei cari ascoltatori, a stare a sentire certi cervelli limitati (mai aggettivo è stato più adatto), l'umanità sarebbe rinchiusa in un cerchio di Popilio che mai essa riuscirebbe a superare, essendo condannata a vegetare su questo globo senza alcuna speranza di slanciarsi un giorno negli spazi planetari! Sciocchezze! Si andrà sulla Luna e poi sui pianeti e sulle stelle come oggi si va da Liverpool a New York, facilmente, rapidamente, sicuramente, e l'oceano atmosferico sarà tra breve attraversato come gli oceani terrestri. La distanza non è che una parola relativa, e finirà per essere ridotta a zero”.
Quello che immaginava e prevedeva uno dei personaggi del celebre romanzo di Jules Verne Dalla Terra alla Luna pubblicato nel 1865 oggi a più di un secolo di distanza ci suona “profetico”. Ma all’epoca è probabile che molti lettori abbiano trovato la previsione del romanzo quantomeno azzardata se non folle oppure un’idea che sarebbe rimasta negli archivi dei sogni proibiti dell’umanità. D’altronde come giudicare l’autore di un romanzo che annunciava la possibilità di esplorare e conquistare lo spazio extra-terrestre in un tempo in cui doveva ancora compiersi il primo volo umano (grazie ai fratelli Wright nel 1903)? Non penso che Jules Verne fosse un profeta, almeno non nel senso convenzionale di chi dotato di poteri sovrannaturali riesce a prevedere il futuro, e nemmeno un sognatore che fantasticava su mondi e viaggi impossibili. L’autore francese appartiene alla schiera di coloro che sanno vedere in anticipo sui tempi, uomini che potremmo definire “visionari”, come del resto sono stati molti scrittori di fantascienza.
Perseguire un progetto epico
Uno degli aspetti che ho trovato più appassionante nel leggere il romanzo di Jules Verne è il senso di epicità della storia: arrivare sulla Luna diventa una priorità per i protagonisti dell’avventura, in questa impresa impegnano se stessi, la loro ingegnosità e le loro energie. L’ardito progetto di un gruppo di avventurieri stravaganti di lanciarsi verso la Luna infiamma l’opinione pubblica ottenendo l’attenzione della cronaca mondiale, illustri scienziati sono consultati per discutere il progetto, mentre da tutto il mondo piovono sottoscrizioni per finanziare l'impresa. Insomma l’idea di abbattere una frontiera, fino a poco tempo fa considerata invalicabile, accende gli entusiasmi della società. L’umanità nel racconto si trova così a condividere la stessa emozione esaltante sentendosi parte di un medesima comunità che si sforza di raggiungere un obiettivo epico e partecipando a un’impresa grandiosa che lascerà un segno indelebile nella storia.
L’umanità proverà davvero un’emozione analoga nel periodo del programma Apollo e nel momento dell’allunaggio trasmesso in diretta tv, seppur mossa inizialmente dalla rivalità delle due superpotenze di allora USA e URSS, la corsa alla Luna accende un’emozione forse prima di allora sconosciuta: l’umanità come comunità riunita che persegue un obiettivo epico. Quello che era stato immaginato un secolo prima da un grande visionario si attua nella realtà, e dimostra che gli unici limiti del nostro mondo sono i limiti che pone la nostra mente.
Cosa rende grande e buona una causa? Cosa definisce un obiettivo epico? Quando partecipiamo a un progetto di scala epica ci sentiamo parte di qualcosa di più grande, le nostre azioni hanno un impatto e un senso non solo per noi stessi, o anche per i nostri amici e parenti, ma per un gruppo molto più ampio: una comunità, un’organizzazione, o la specie umana. Fare qualcosa di importante in un quadro più grande, perseguire un obiettivo enorme comune e farlo insieme a molte altre persone ci fa sentire parte di un progetto epico dando un senso e una direzione alla nostra vita troppe volte schiacciata sulla banale quotidianità.
Tutto ciò che è epico supera di gran lunga l’ordinario in dimensioni, scala e intensità. Una finalità epica può ispirarci emozioni che ci sollevano dalla routine quotidiana e ci immergono nel nucleo più profondo di ogni spiritualità: trovare il proprio posto nel più grande schema delle cose. Un processo che unisce noi tutti e nobilita le attività della nostra vita. Questo sentimento di riverenza generato da qualcosa di epico ci fa sentire bene e ci ispira a fare bene. E’ una potenziale fonte di significato, un’occasione reale di poter essere d’aiuto, di associarci, di impegnarsi in una causa più grande. Chi si prende contemporaneamente cura di sè e degli altri trova solitamente rimedio alla noia, ansia, alienazione e mancanza di significato che incontriamo non di rado nella nostra vita quotidiana.
Un progetto epico è quello che ci serve sia come individui sia come umanità ma quale finalità comune dovremmo porci come umanità nel XXI secolo? Prima di individuare una possibile obiettivo mi soffermerò sulle ragioni che sostengono la necessità di progetti epici positivi per la nostra civiltà, perché un progetto epico, se non ha un valida ragione morale, potrebbe condurci all’auto-distruzione.
Secondo lo psicologo Abraham Maslow: “Non è normale sapere che cosa vogliamo. E’ una conquista piscologica rara e difficile”. Tutto infatti parte dalla nostra psicologia, non è forse così per tutti i grandi cambiamenti nella vita? Allora cosa veramente vogliamo come esseri umani? Penso che molti lettori potrebbero concordare che un obiettivo è positivo (=buono) se ci fa perseguire il nostro bene non in contrasto o non a discapito di quello degli altri. Quindi potremmo cominciare a dire che un obiettivo è buono (nel senso di moralmente buono) se non è egoistico. Ne possiamo dedurre la domanda successiva: qual’è l’obiettivo in cui coincide il nostro bene con quello degli altri? Dove per “altri” intendo l’umanità, non solo la nostra famiglia o amici, non solo il nostro paese, o il nostro occidente. Se infatti il nostro bene non coincidesse con quello dell’umanità allora non staremmo cercando cosa è bene per tutti noi, ma solo cosa è bene per me o per la mia cerchia: non proprio da giustizia imparziale! Sembra che questo obiettivo, in quanto coinvolge l’umanità, sia qualcosa che potremmo definire “epico”. Allo stesso tempo è un obiettivo “etico” (con la “t”) perché vuole massimizzare il bene per tutti gli esseri umani, e non solo per un’elite.
Nel pensare a “cosa vogliamo” non solo per noi stessi, cioè a un obiettivo concreto per l’umanità, stiamo già nel processo di un cambiamento interiore: abbiamo allargato la nostra visione a scala epica. Dovremo scegliere con cura cosa vogliamo per il bene di tutti individuando quelle che dovrebbero essere le nostre priorità come umanità. Esistono diversi candidati a diventare sfide epiche nella nostra epoca, per citarne solo alcune: cambiamenti climatici, crisi finanziaria, disuguaglianze sociali. Tutte sfide che richiedono una certa lungimiranza e capacità di problem solving.
Tuttavia nessuna di esse può eguagliare l’epicità e la moralità della superlongevità.Sostengo che la superlongevità è un imperativo morale urgente per l’umanità. Nessun altro progetto epico merita di essere altrettanto prioritario per l’auto-determinazione della specie umana. Circa 100.000 persone muoiono ogni giorno per malattie legate all'età che sono causate dall’invecchiamento. Non c'è sfida sociale più grande di quella di rallentare, e in prospettiva di sconfiggere, l'invecchiamento. Questo non implica che altre priorità siano dimenticate o trascurate. Certamente sfide quali: ridurre l’inquinamento, riformare il nostro sistema economico, affermare una maggiore eguaglianza sociale e la stessa esplorazione del sistema solare predetta da visionari come Jules Verne, sono tutti obiettivi epici a cui dovremmo prestare attenzione e impegno, obiettivi a cui forse si dovranno dedicare generazioni per vedere risultati soddisfacenti. Nessuna di queste sfide tuttavia penso possa essere affrontata al meglio se la superlongevità non avesse la massima priorità.
Nell’evitare che il lettore equivochi il significato del concetto di superlongevità, sono costretto a una precisazione, quella che propongo è:
- La superlongevità fisica: non l’illusione seppur consolante dell’immortalità meta-fisica che ci promettono religioni e spiritualità new-age.
- La superlongevità in buona salute: non il prolungamento della vecchiaia con le conseguenti malattie legate all’età.
- La superlongevità per tutti: l’accesso a cure e terapie anti-invecchiamento dovrebbe essere un diritto umano.
Prima di tutto la superlongevità
A guardare meglio porre come obiettivo epico per l’umanità quello della superlongevità avrà effetti e ricadute positivi sul raggiungimento di altri fondamentali obiettivi, nulla come la superlongevità può rendere l’uomo più sensibile al futuro. La superlongevità potrebbe darci la necessaria lungimiranza e saggezza per risolvere le grandi sfide che mettono a dura prova la nostra civiltà, potrebbe unirci nella grande avventura trasformando noi stessi e la nostra società.
Siamo generalmente meglio predisposti nell’intraprendere azioni comuni in cui il nostro sacrificio non va a beneficio solo degli altri o va a beneficio solo di noi stessi. Quando c’è piena sovrapposizione in ciò che è bene per me e ciò che è bene per tutti ci troviamo in una condizione di “saggezza sociale” che attiva un circolo virtuoso: non più guidati volontariamente o involontariamente dal principio competitivo (alla base dell’ideologia del darwinismo sociale e della retorica delle “generazioni future da salvare”), adotteremmo un'etica che potremo sintetizzare nella massima kantiana: nessun essere umano sarà usato come mezzo, ognuno sarà considerato un fine. L’obiettivo della superlongevità non ti costringe a scegliere tra un altruismo estremo e un egoismo estremo, ambedue via senza uscita per la nostra aspirazione alla felicità, possiamo conquistare la superlongevità facendo il nostro bene e quello altrui senza che nessuno si privi della possibilità di una vita piena e di un tempo infinito. Non siamo agnelli sacrificali che si immolano per il bene della società, non siamo atomi noncuranti del bene collettivo. La nostra natura è quella di animali sociali. La superlongevità è d’altronde un obiettivo troppo grande per poter essere raggiunto con le forze di pochi individui o filantropi per quanto facoltosi: possiamo contare solo sul nostro reciproco supporto tendendo a pensare su scala epica affinchè ogni essere umano, compresi noi stessi, possa goderne i benefici materiali e spirituali.
Nessuno degli altri obiettivi candidati a diventare la priorità epica ed etica dell’umanità infatti garantisce che potremmo vedere un giorno i risultati della nostra attività solidaristica, possiamo al massimo sperare che tutto vada per il meglio, di solito l’argomento etico che si tira fuori in queste occasioni è quello di “lasciare un mondo migliore alle future generazioni”. L’obiettivo della superlongevità invece porta benefici a tutti, non escludendo noi contemporanei, e questo ne fa un obiettivo maggiormente desiderabile: non dovrò consolarmi che quello per cui ho impegnato le mie risorse e il mio tempo sarà riservato forse ai miei discendenti, nel perseguire la superlongevità infatti il mio bene coincide con il bene di tutti, e prima iniziamo questa impresa prima potremo vederne i benefici. E’ perciò necessario avviare al più presto un “programma Apollo” per l’estensione radicale della vita umana.
Nell’intraprendere un progetto collettivo su scala epica come la superlongevità aiuteremmo indirettamente la società a migliorare se stessa in tutti i settori: avremmo più serenità nell’affrontare le questioni cruciali della nostra epoca in quanto ogni azione collettiva sarebbe decisa con attenzione nel momento in cui ognuno saprebbe che le conseguenze di quell’azione o decisione dovrebbe affrontarle nel futuro. Se avessimo una “prospettiva di non-termine” davanti a noi ci preoccuperemmo di cosa ci potrebbe succedere dopo invece di far danni perché tanto non saremo noi a pagarne le conseguenze. Già vedo molti miei lettori critici avanzare alcune obiezioni: siamo sicuri che la superlongevità avrebbe conseguenze così positive per l'essere umano? Ci sono sufficienti ragioni per affermare che i benefici sono di gran lunga maggiori dei danni, e che in una prospettiva di vita senza fine avremmo comunque tutto il tempo per risolvere anche eventuali danni. Ma sono sicuro che non me la caverei tanto facilmente con i miei lettori critici ecco perché dedico il prossimo paragrafo ad alcune possibili obiezioni all’immortalismo.
Chi vuole vivere per sempre?
Dividerò i miei lettori dubbiosi in due categorie per meglio replicare:
- Da una parte ci sono i critici che pensano che la superlongevità sia impossibile, un obiettivo troppo ambizioso e fuori dalla nostra portata. Anche il romanzo del nostro Jules Verne avrà ricevuto un simile giudizio dai lettori del suo tempo tuttavia abbiamo visto come quel sogno sia diventato realtà dopo un secolo. Non c’è nulla di male a essere scettici, anzi generalmente è segno di intelligenza, ma dovremmo avere maggiore fiducia in noi stessi e nelle possibilità umane perché è così che si ottengono progressi, consapevoli che parte del successo dipenderà dalla nostra azione e dal nostro contributo. Abbiamo speranze fondate di vedere realizzato il nostro obiettivo epico della superlongevità entro questo secolo più di quante poteva averle un Jules Verne a metà ottocento di veder avverata la sua previsione entro la fine del suo secolo. La ragione di questa speranza sta nel progresso esponenziale, come ha evidenziato il futurologo Ray Kurzweil: stiamo vivendo un’accelerazione impetuosa del progresso tecnologico che ci porterà nel giro di alcuni decenni a incredibili avanzamenti in campi quali biotecnologia, nanotecnologia e intelligenza artificiale, tutti campi fondamentali per un serio programma di ricerca finalizzato all’estensione radicale della vita. La convergenza di questi settori tecnologici ci darà solide speranze di poter intervenire per arrestare e invertire il processo di invecchiamento, e quindi fare passi graduali ma importanti nel ringiovanimento biologico. A uno stadio più avanzato, quando potremo disporre del “mind uploading” - ovvero il caricamento dei nostri contenuti mentali in un computer per poter conservare con un backup il nostro io, memoria, personalità – arriveremo a sconfiggere non solo la senescenza ma la morte stessa. Possiamo ragionevolmente affermare che non è più questione di “se” ma di “quando”. Quel “quando” tuttavia potrebbe fare la differenza, almeno per noi contemporanei, tra la vita e la morte: ecco perché oggi l’azione individuale e collettiva è fondamentale nell’accelerare e facilitare il processo che un domani ci porterà a compiere il nostro obiettivo epico.
- Da un’altra parte c’è la categoria dei critici che ritengono l’eventuale superlongevità causa di immani catastrofi e/o di spiacevoli effetti collaterali per l’essere umano. Ho raccolto diverse obiezioni morali legittime al rallentamento (indefinito) della vecchiaia e al rinvio della morte, qui rispondo in sintesi alle principali:
- “La superlongevità sarebbe innaturale”: secondo questo argomento estendere la durata della vita umana è “contro natura”, la morte è una parte essenziale della vita, e dovremmo accettare con rassegnazione o fatalità la fine della nostra esistenza. Tralasciando il fatto che prolungando le aspettative di vita con la scienza, l’igiene, i farmaci e l’alimentazione abbiamo superato da tempo i “sacri limiti” della natura, l’argomento coglie in una sua variante un aspetto profondo: chi siamo noi per elevarci a onnipotenti contro madre natura? Non credo si possa ascrivere a onnipotenza il desiderio umano di migliorare se stesso, d’altronde seguendo fino in fondo questa logica “secondo natura” non avremmo mai dovuto difenderci da malattie, virus, predatori e tanti altri mortali pericoli. L’insistenza sul carattere naturale e inaggirabile della morte sarebbe un imperdonabile invito ad accettare lo status quo, a respingere ogni perfezionamento, quando in realtà l’uomo ha sempre superato con la cultura e la tecnologia, a partire dall’uso del fuoco e dall’invenzione del linguaggio, molti vincoli naturali. Agli occhi degli uomini del paleolitico noi sembreremmo dèi. Quello che c’è di nuovo nella nostra epoca è che stiamo passando da un’evoluzione regolata dalla selezione naturale a un’evoluzione guidata dall’intelligenza. Gli amanti dei “ritmi naturali” potrebbero vederla così: la pressione evolutiva ha finito con il selezionare una specie (noi homo sapiens) capace di sostituirsi con la propria tecnica alla stessa selezione naturale che l’aveva prodotta. In tal contesto non c’è un’essenza immodificabile della natura umana quindi è del tutto “naturale” per l’uomo liberarsi da invalidità, malattie e caducità consentendo alle persone in vita di restarci il più a lungo possibile e in buona salute se lo desiderano nella direzione del libero e progressivo sviluppo di sé e delle proprie facoltà. Per quanto le religioni ci ricordino il nostro dovere di sottometterci a un presunta volontà divina, non c’è nessun ordine morale nella natura che indicherebbe il nostro limite di vitalità, il vero limite è quello che dovremmo eticamente stabilire noi esseri umani in relazione alla qualità e felicità della nostra vita, nel rispetto delle libertà altrui. Come dimostrano alberi pluricentenari e animali longevi (come una specie di medusa, la turritopsis dohrnii, che giunta a maturita' sessuale torna indietro alla giovinezza senza potenzialmente morire mai), la natura non pone limiti pre-costituiti all’evoluzione, siamo quindi liberi in quanto esseri intelligenti di forgiare il nostro destino.
- “La superlongevità causerebbe sovrappopolazione”: questa tesi afferma che uomini longevi aggraverebbero l’esponenziale crescita della popolazione causando così una catastrofe ecologica. La fallacia di questa tesi è nel non tenere conto che la sovrappopolazione non dipende da una vita più lunga ma dalle condizioni di benessere. Fattori quali istruzione, sistema sanitario e opportunità lavorative determinano la qualità della vita e di conseguenza il tasso di crescita di una popolazione. La crescita della popolazione infatti è più alta nei paesi in via di sviluppo, in cui il progresso tecnologico è basso. In tali società, la crescita della popolazione è inversa al tenore di vita. Una volta che una società raggiunge un certo stato di progresso tecnologico e un adeguato standard di vita, la crescita della popolazione in realtà inizia notevolmente a rallentare ergo i timori di sovrappopolazione sono infondati. La prosperità è il più efficace contraccettivo al mondo. Come la mettiamo allora per la questione delle risorse in via di esaurimento? Se fosse vero che la Terra ci mette a disposizione una quantità finita di risorse allora chiaramente la crescita demografica – l’aumento delle bocche da sfamare – implicherebbe una minore disponibilità pro capite. Ma le risorse non sono una torta: o, meglio, gli esseri umani non sono fatti di solo stomaco, e hanno anche il cervello. Non si limitano a mangiare: in condizioni adeguate, cioè in presenza di un adeguato sistema di istruzione, essi dispongono del lievito che consente di moltiplicare e far crescere la torta. Questo lievito è l’intelligenza. Avremo comunque la possibilità di colonizzare l’oceano e insediarci nel sistema solare in cui le risorse sono praticamente illimitate in termini di energia, materie prime o semplicemente spazio per la vita e la crescita consentendo ad ogni persona di usufruire di un tenore di vita superiore a qualsiasi altro attualmente possibile sulla Terra.
- “La superlongevità sarebbe noiosa”: è un argomento psicologico per cui la superlongevità non aggiungerebbe altro che tedio per l’eternità. Questa obiezione è tuttavia del tutto soggettiva, non possiamo sapere con certezza assoluta che la noia assalga tutti, e non possiamo sapere con certezza assoluta che questo valga anche per noi, visto che non abbiamo ancora provato i benefici materiali della superlongevità. E’ un argomento che sa vedere solo il bicchiere mezzo vuoto ignorando le incredibili occasioni date dalla superlongevità di espandere la nostra intelligenza, delle possibilità di liberare il nostro potenziale umano, di perseguire progetti a lunga scadenza (magari altri progetti epici!), di acquisire esperienze aumentando la nostra saggezza, di amplificare la nostra creatività. Nel vivere da immortali cambieremo psicologicamente, neurologicamente, biologicamente, e cambierà il nostro contesto sociale, scientifico, artistico, e ricreativo. Non ci saranno limiti alle relazioni personali che saremo in grado di creare e sviluppare, non ci sarà limite alle forme sociali che potremo sviluppare, e nessun limite per i giochi che possiamo inventare. D'altronde non possiamo aspettarci di mantenere sempre invariati i nostri corpi umani e cervelli. Doneremo a noi stessi nuovi sensi, intelligenza più acuta, memoria superiore, e forse migreremo anche fuori dalla biologia in un'altra forma di vita (l'ipotesi del mind-uploading). Potremo immergerci in universi virtuali sfruttando la potenza di elaborazione dei supercomputer o esplorare lo spazio… Possiamo guardare avanti per un processo infinito di trasformazione e di miglioramento, senza paura di una noia inevitabile e di una vita senza senso.
Uniti possiamo compiere imprese straordinarie
Non pretendo di aver convinto i miei lettori più critici della buona causa di un progetto epico come la superlongevità. Confido però nella vostra curiosità di approfondire la questione. A voi lettori che pensate la superlongevità sia un’impresa troppo al di là dei nostri sforzi, che noi singoli siamo troppo lontani dal poter sconfiggere l’invecchiamento, dal poter estendere radicalmente la durata della vita, vi dico che è un’opera che non possiamo lasciare alla nostra singola volontà. Abbiamo bisogno di un coordinamento degli sforzi, di investire nell'intelligenza cooperativa, di far uscire la superlongevità dalla dimensione di un sogno individuale, e farla diventare una conquista collettiva. E prima cominciamo a cooperare prima ne potremo godere i benefici. Nell’impresa di raggiungere la superlongevità ognuno di noi può fare la differenza. Innanzitutto diffondendo le ragioni di questo progetto epico per ispirare altre persone. Tanti visionari sono una moltitudine che calamita attenzione e interesse mediatico, possiamo insieme influenzare governi, istituzioni, centri di ricerca, a investire in cure e terapie anti-aging.
Se mi chiedete cosa in concreto si può fare per contribuire a questo progetto epico c’è l’imbarazzo della scelta: esistono realtà sparse nel mondo che hanno posto la superlongevità come loro obiettivo. All’estero c’è la SENS Foundation, un’organizzazione no-profit guidata dal biogerontologo Aubrey de Grey impegnato nella ricerca delle strategie per sconfiggere la senescenza. Nel nostro paese c’è la Longevity Alliance Italia, un gruppo che promuove, attraverso l’attivismo sociale, la ricerca scientifico-tecnologica per la longevità in buona salute. Uniti possiamo arrivare alla Luna e fino alle stelle, uniti possiamo ottenere la superlongevità per tutti, siete pronti per questa nuova impresa epica collettiva?
David De Biasi
[email protected]
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