Ci andreste mai a tavola con Cosa Nostra? No, vero? Eppure, probabilmente, l'avete già fatto. E come, vi chiederete? Acquistando senza "consumo critico" e diventando inconsapevolmente complici della longa manus mafiosa che, tra caporalato, truffe, pizzo, racket e infiltrazioni a qualsiasi livello - terreni, trasporto, supermercati - contamina il mercato e si arricchisce alle spalle dei consumatori.
Un legame antico, quello della Mafia con la terra, che trova le sue radici nei latifondi siciliani ottocenteschi. E che, arrivando ai giorni nostri, si ramifica dai campi coltivati agli scaffali dei supermercati, fino a far constatare a Nino Giuffrè, collaboratore di giustizia, il fatto che "una catena di supermercati senza il sostegno o l'interesse diretto di Cosa Nostra non può nascere".
Marco Rizzo, giornalista e sceneggiatore che conosce molto bene la tematica, riesce nell'agevole saggio "Supermarket Mafia" (Castelvecchi) a chiarire quale sia "l'iter, dalla produzione alla vendita al dettaglio, di quello che finisce sulla nostra tavola (in particolare i prodotti agricoli".Ed è davvero interessante, nonché utile, capire quali siano le dinamiche attraverso le quali la mafia toglie la libertà a imprenditori, agricoltori e infine a noi, consumatori. Attraverso un excursus storico Rizzo ci racconta dei limoni del dottor Galati, forse tra i primi, nel 1872, ad essere vittima di estorsioni mafiose - ancora in pochi osavano chiamarla così, mafia - all'interno della sua azienda agricola. E poi arriva ai giorni nostri, raccontandoci come "le attività criminali nel settore agroalimentare hanno un volume d'affari quantificabile in 12,5 miliardi di euro [...] Coldiretti ed Eurispes stilano anche una lista dei reati più frequenti commessi in agricoltura dalle associazioni mafiose: furti, macellazioni clandestine, danneggiamento delle colture, usura, racket, abusivismo edilizio, smaltimento dei rifiuti tossici, saccheggio del patrimonio boschivo, caporalato, truffe a danno dell'Unione Europea o altre istituzioni ed enti pubblici".
Insomma, i tentacoli mafiosi nel settore agricolo/commerciale sono ben più lunghi e solidi di quanto si possa immaginare. Con dovizia di dati, fonti e casi specifici nel corso degli ultimi anni, Rizzo ci spiega come l'intervento della mafia sia prima di tutto sul "lavoro sporco", attraverso caporalato, violenze, riduzione in paraschiavitù e anche omicidi - vedi caso di Castelvolturno. E poi c'è il pizzo e il monopolio della gestione dei campi in alcune zone della Sicilia; ma la mafia non è interessata solo alla produzione e alla raccolta, vuole anche controllare come i prodotti arrivino sugli scaffali, e mettere le mani sui mercati (non solo Sicilia, ma anche Fondi e Milano) e sui supermercati stessi.
Quello che emerge dall'interessante inchiesta di Rizzo è soprattutto la capacità della mafia di "diversificare il business". È davvero incredibile: è possibile trovare legami mafiosi in settore insospettabili, e ormai il giro di affari legati a prodotti agricoli, mercati, supermercati e centri commerciali, è davvero imponente. Gli stessi boss sono sempre più imprenditori, vedi l'ultimo caso di Zagaria.
Quello che più sconvolge, inoltre, è il comprendere, a fine lettura, il controllo quotidiano delle mafie sulla nostra vita. Sui nostri acquisti. Senza saperlo, citando Baudrillard: "Il consumatore è un lavoratore che non sa di lavorare". E quindi dovrebbe lavorare sempre nel modo migliore, cercando per quanto possibile di perseguire un consumo critico. Solo in questo modo, sostenendo la legalità, informandosi al massimo sui metodi di produzione, confezione e distribuzione, cercando di comprare prodotti a "km zero", dai Gas (Gruppi di acquisto solidale) si può acquistare responsabilmente e, un passo alla volta, con l'aiuto della giustizia, potremmo sperare in un serio cambiamento: nella distruzione del Supermarket Mafia. Come dice lo stesso Rizzo, alla fine del volume, "è anche imparando a fare la spesa che un giorno si potrà battere la mafia".