supermercati

Creato il 04 dicembre 2013 da Gaia

C’è chi vede le rinunce materiali come imposizioni, sofferenze, complicazioni, addirittura ingiustizie. Ma se ne si capisce il senso, se le si sceglie liberamente (finché si può) in cambio di qualcosa di più grande, non solo sono un piacere, ma anche un divertimento. Come posso non essere felice di mangiare pochissimo pesce, sapendo in che stato si trovano i mari e gli oceani di tutto il mondo? Come posso non essere contenta di esercitare la mia creatività nei piatti vegetariani quando leggo che secondo alcune stime l’allevamento sarebbe responsabile addirittura della metà delle emissioni mondiali di gas serra? È una gioia anche non avere animali domestici, sapendo che le persone muoiono di fame in un mondo in cui i cereali vengono coltivati per darli da mangiare ad altri animali, che poi daremo da mangiare ai nostri animali, senza curarci che nel frattempo i loro fratelli selvatici, quei pochi che restano, quelli che non esistono per noi ma per se stessi, rischiano l’estinzione anche a causa dell’espansione dell’agricoltura, di cui i nostri cani, gatti, criceti e canarini sono complici. Riguardo al divertimento, un’amica l’altro giorno mi ha detto che da quando organizza feste del baratto non compra più vestiti. È più divertente e di gran lunga più ecologico che comprare vestiti nuovi. Io, invece, ho una nuova sfida: dopo il vivere senza macchina, anche vivere senza supermercati. Questa in realtà non è stata una mia idea: la mia propaganda sta creando mostri che mi superano in radicalismo

Voi direte: perché, cos’hanno che non va i supermercati? Innanzitutto, sono posti spiacevoli. Più sono grandi e illuminati più mi mettono angoscia, per non parlare del bombardamento acustico che si subisce entrandovi, con radio commerciali, pubblicità e pessima musica; per un periodo ho fatto la cassiera in un Panorama, ed era un lavoro monotono ed alienante (per fortuna non ci sono stata abbastanza da farmi venire anche mal di schiena e sindrome del tunnel carpale). A parte questo, i supermercati non appartengono ai singoli ma alle catene, oppure a chi detiene una licenza per cui comunque versa qualcosa, e quindi portano via una parte del guadagno lontano dal territorio e spesso anche all’estero. Un negozietto indipendente, invece, genera ricchezza dove si trova e non altrove. I supermercati tengono i prezzi bassi imponendo le condizioni ai fornitori in virtù del loro potere negoziale, difficilmente vendono merce locale, e alimentano quel distacco tra produttore e consumatore così tipico dell’età moderna, per cui non si sa più cosa è di stagione e cosa no, cosa è prodotto localmente e cosa è importato. Inoltre, spesso costruiscono su terreno verde contribuendo al consumo di territorio. La tanto virtuosa Coop, dalle mie parti, sta edificando un ecomostro dietro l’altro, e tutti a farci la spesa perché la Coop è “meglio degli altri.”

I supermercati illudono il consumatore di risparmiare e invece lo invitano all’acquisto di ciò che non gli serve con offerte di ogni genere, sconti, confezioni esagerate e tecniche di marketing quali spostare continuamente sale, zucchero e farina così da costringere il cliente a vedere grandi quantità di merce non necessaria mentre cerca quella che gli serve.

Come faccio, quindi, senza supermercati? Non è poi tanto difficile: in fondo sono un’invenzione moderna, e l’umanità esiste da migliaia di anni. Vado al mercato della Coldiretti, due volte alla settimana, in centro. La merce costa poco, è locale e di stagione, e solitamente molto buona; ormai conosco i venditori: quello che ha portato i cioccolatini ad Halloween, quella che ha le galline di cortile, quello scazzato, quello che cerca sempre di rifilarti verdure strane che non hai mai sentito nominare, però ti insegna che dell’erbette* si mangiano anche le foglie… ormai sono affezionata ai contadini, al via vai di quella piazza e al tenue vociare che senti tra le bancarelle (tenue, siamo a Udine, si grida solo per mandare a fanculo qualcuno per strada). Puoi chiedere informazioni su come il cibo viene prodotto e chiedere di visitare gli allevamenti.

Altrimenti vado al biologico, agli ortofrutta di quartiere, e alle cooperative per il latte. Perché comprare latte prodotto in Friuli al supermercato, arricchendo qualche tedesco sconosciuto, quando gli stessi produttori si organizzano in cooperative e aprono negozi con i latticini di Basiliano, di Coderno, di Fagagna?

Il problema sono le cose per il bagno e le pulizie. Qualcosa si trova nelle erboristerie e nelle drogherie, oppure su internet (ma cerco merce italiana); altri prodotti solo nelle catene tipo Acqua e Sapone, ora Tigotà, che mi risulta sia italiana ma a cui vorrei estendere il boicottaggio.

Nel complesso, non crediate che io spenda di più. Compro solo il necessario, cucino molto partendo dagli ingredienti (mi sono messa a fare da sola il dado brodo, la pasta all’uovo, le tortillas, i falafel e lo sciroppo di sambuco), cerco di non buttare via niente (mangio anche le foglie del sedano e delle carote, se sono fresche) e quello che posso lo tengo sul terrazzo.

So che posso risultare antipatica: io faccio così, io faccio colà, sono brava… Le persone spesso non hanno tempo, mi rendo conto, o devono cucinare per tutta la famiglia. Anche i bambini però possono essere coinvolti in queste cose e dare una mano, mentre spesso, almeno così mi pare, sono abituati a trovare già tutto pronto sulla tavola.

Io non sono né contro la tecnologia di per sé né contro la modernità – altrimenti non avrei un blog. Questo esaminare le cose che compongono le nostre vite, e cercare di scartare le più dannose scoprendo sempre nuove alternative, non è un rifiuto dell’ingegno umano e dei progressi nelle conoscenze, ma un tentativo di rendere il mondo migliore e al tempo stesso di dare il giusto valore alla terra e al lavoro altrui.

* Perché cavolo si chiamano erbette proprio quelle lì? NON SONO erbette!! Sono radici, lo vede chiunque! Hai a disposizione il nome “erbette” da dare a un ortaggio, e lo affibbi proprio a quello che non è un’erbetta! Che fastidio.


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