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Superzelda, Superscott

Creato il 23 febbraio 2012 da Silvietta @Silvietta
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Sarebbe mia intenzione, da un paio di giorni, scrivere qualcosa su “Superzelda, la vita disegnata di Zelda Fitzgerald“, che finalmente ho ordinato, ricevuto e letto tutto in un fiato. Da dove incominciare? Non imbastire una recensione seria (chiamiamola così) per due validissimi motivi: 1. è stata la mia prima volta con un graphic novel 2. amo Zelda e Scott alla follia. Quindi qualsiasi cosa che dirò non avrà né oggettività, né tantomeno senso.

Zelda, e il suo caro Scott (dato che è impensabile parlare di lei senza parlare di lui e viceversa), sono la coppia di “belli e dannati” d’eccellenza del XX secolo. Lo sono così di diritto, che si sono coniati l’etichetta per descriversi da soli, dando questo titolo al secondo romanzo di Fitzgerald. Molto più in generale, Zelda e Scott sono l’archetipo di tutti coloro che reggono la loro personalità all’apparenza forte ed estroversa sulle fragili fondamenta di uno spirito insicuro, spaventato, contraddittorio. Più che genio e sregolatezza, qui sarebbe più corretto parlare di genio e fragilità: un cocktail letale, c’è poco da aggiungere.

La coppia che più di tutte ha reso “ruggenti” gli anni ’20, la coppia che ballava sui tavoli durante i party più sfrenati dell’età del jazz (altra fulminante definizione data da Fitzgerald) e che da questi se ne andava seduta sul tettuccio di un taxi, la coppia più bella, più invidiata, più cool, diremmo oggi, era in realtà un patto scellerato tra due disperati. Due naufraghi che, avvinghiati l’uno all’altra nel tentativo di non annegare,  non hanno fatto probabilmente altro che spingersi a vicenda sempre più giù nell’abisso. Eppure, questi due disgraziati non avrebbero saputo fare altro nella vita che amarsi così disperatamente, regalandoci quelli che (a mio modesto e faziosissimo parere) sono delle pietre miliari di massimo splendore della letteratura e anche alcuni fondamentali insegnamenti di vita. Primo fra tutti: la massima felicità porta con sé il rischio del massimo dolore. La parabola di Zelda e Scott è la prova del fatto che avere tutto, la bellezza, la fama, il successo, il genio, le giuste occasioni, e, soprattutto, la propria anima gemella accanto, non fa altro che rendere la posta in gioco tremendamente alta. Un passo falso, e si perde tutto.

L’abuso di alcol, la malattia di Zelda, un rapporto malsano con il denaro e l’aver bruciato tutto, così in fretta, hanno consegnato i Fitzgerald alla categoria dei vinti. Ciò nonostante, ancora oggi, a distanza di ottanta anni, il fascino che esercitano le loro figure è quanto mai vivo. La pubblicazione di “Superzelda” è solo l’inizio: con l’attesissima (almeno per me!) uscita de “Il Grande Gatsby” di Lurhman con Di Caprio questo inverno accenderà nuovamente l’interesse sulla figura di Scott e del suo tempo. Quegli anni ’20 che già stanno ritornando nella moda e nel cinema (e vi lascio solo immaginare quanto questa cosa possa renda euforica una che aveva diverse foto di Louise Brooks alle pareti della propria cameretta).

Si parlerà ancora e ancora dei Fitzgerald, queste figure più deboli che tragiche, per la poesia. La poesia del loro matrimonio travagliato, la poesia della “generazione perduta” tra i bistro di Parigi e le spiagge della Costa Azzurra, la poesia dei romanzi immortali di Scott, ma soprattutto la poesia del loro amore, così doloroso eppure indispensabile, distruttivo eppure capace di tirare fuori il meglio ed il peggio di entrambi.

Superzelda“, nei suoi toni grigio-azzurri e nei suoi tratti nervosi e poetici, riesce alla perfezione a comunicare quanto sopra. Pur offrendo una cronistoria precisa dei fatti principali della biografia dei nostri eroi, non abbandona mai quel tono a volte trasognato e onirico (ho adorato le tavole che rappresentavano gli scorci di Parigi, Roma e della Costa azzurra), a volte irriverente, ironico e disincantato tipico anche della prosa di Scott. Un bellissimo riassunto per immagini delle vicende e delle peripezie di Zelda, per una fan con me; una magnifica suggestione per chi ancora non conosceva il personaggio.

A questi ultimi consiglio, oltre all’immediata lettura di tutti i romanzi di Scott (Come potete continuare a vivere senza averli letti?! Come?!!! Ditemi come!!!), anche la lettura dell’unico romanzo di Zelda, “Lasciamo l’ultimo valzer”, subito prima o subito dopo aver letto “Tenera è la notte” del marito. Le parole e le vicende narrate da entrambi parleranno per loro meglio di un’autobiografia. Personalmente, terminato “Superzelda“, mi sono subito ordinata due epistolari: “Caro Scott, Carissima Zelda” e “Lettere a Scottie”, che raccoglie invece la corrispondenza che Scott tenne con la figlia durante il periodo del college.

Consigliato a chi: ama i progetti ben fatti, le storie appassionanti e subisce il fascino degli amori difficili.

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