Durante il periodo che segue il primo conflitto mondiale, l'arte e le forme d'espressione legate principalmente alla pittura cominciano a discostarsi dalle tendenze precedenti. In esse infatti comincia a farsi largo l'esigenza di un ritorno alla realtà, di una ripresa delle tradizioni e delle tecniche consolidate come diretta risposta al generale sconvolgimento con cui la Grande Guerra aveva scosso l'intera Europa.
Fanno eccezione però i Surrealisti i quali continuano a manifestare il bisogno di confrontarsi con nuove ed inesplorate forme d'espressione arricchendo l'archivio delle avanguardie con nuovi ed incredibili capolavori.
Di natali parigini, sin dal 1924 il Surrealismo rompe con la tradizione, scegliendo invece di attingere a piene mani da materiale inedito, dall'inconscio, dall'irrazionale, dall'insolito, dall'impossibile. Il sogno e le realtà allucinate diventano infatti la cifra di questa forte corrente pittorica come accade con Max Ernst, Salvator Dalì, Joan Mirò, René Magritte.
In quest'ultimo ad esempio, si riscrive la storia delle forme d'espressione figurative, ora manipolate e riproposte con immagini chiare e ben precise in cui però gli oggetti a noi familiari subiscono delle metamorfosi, appaiono abnormi, assurdi, inconsueti, illogici, paradossali.
La realtà diventa inquietante, tanto più forse per la semplicità e lucidità delle immagini, le atmosfere rarefatte, alienate. Gli oggetti quotidiani smettono di assolvere alle funzioni per cui ci sono familiari e cominciano ad assumere forme nuove, straniate diventando dunque del tutto ridefiniti.
In tal modo, le coordinate di queste nuove realtà spaesate non possono che essere ricercate nell'inconscio, nelle regole dell'illogico, nella semplice e precisa naturalezza dell'abnorme.