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"Suwaiba e compagne": un dramma ancora oggi non del tutto risolto

Creato il 06 febbraio 2012 da Marianna06

Nel Sud del mondo milioni di donne continuano a morire di parto e/o a restare vittime di gravi menomazioni.

Può cambiare qualcosa, oggi, nel 2012 ?

Molto poco-risponde un chirurgo francese,un certo  dottor Falandry, che si occupa del reparto di urologia dell'ospedale di Niamey, in Niger.

A suo dire mancano tanto la volontà politica che il sostegno finanziario da parte dei governi. E poi, la donna nell' Africa del Sahel , nell'ambito della famiglia allargata, ha un ruolo fortemente subordinato.

In Africa per lavoro femminile in prevalenza s'intende un'attività non retribuita o retribuita pochissimo.

E il lavoro,  specie per quanto riguarda  la donna, viene diviso assurdamente  in produzione e riproduzione.

E quest'ultima è un'attività biologica e sociale.

La funzione riproduttrice porta la femmina(oltre che  a sfacchinare da mattina a sera nel lavoro dei campi in assenza del maschio) a rimanere a casa per le restanti pochissime ore e  badare ai figli senza avere altro tempo per sé.

Lievi varianti  si registrano forse , appena appena oggi, passando dal villaggio alla città.

Sempre il medico francese ,a proposito ad esempio delle fistole vaginali,  male diffusissimo tra le donne africane di quei contesti, disgrazia che peggio non si può, ci spiega che esse sono paragonabili alla lebbra e portano all'esclusione sociale la donna ,che ne è affetta e che ne soffre.

Per essere più chiaro  Ludovic, questo è il  nome del chirurgo francese, ci racconta di Suwaiba, una ragazza musulmana di quattordici anni, sposata prima ancora di avere le mestruazioni.

Come tutte le giovani contadine hausa-fulani, al momento di partorire il suo primo figlio, secondo tradizione, torna nella casa dei genitori.

Il suo bacino purtroppo è troppo stretto  e non permette durante l'espulsione del parto il passaggio della testa del bambino.

Così, dopo tre giorni di atroci sofferenze della giovanissima donna, non potendosi permettere nessuno dei presenti economicamente l'ospedale di città, i familiari ricorrono alla levatrice del villaggio.

E nasce finalmente una bambina.

Ma nasce morta.

E questo significa che Suwaiba, secondo la cultura musulmana del luogo, sarà quasi certamente ripudiata dal marito.

Allora che fare?

La sorte di queste donne cadute in disgrazia generalmente è quella di diventare, in seguito, loro malgrado, accattone o prostitute, scappandosene dal villaggio e andandosene a vivere in città.

Ma per Suwaiba le cose vanno molto meglio. Fortunatamente.

Le compagne di Suwaiba hanno appreso per caso dalla radio che, a pochi chilometri dal loro villaggio, in una missione cattolica, c'è un medico che potrebbe aiutare la giovane donna, la loro amica. 

E magari, un domani, anche esse stesse in caso di necessità, potrebbero essere aiutate a guarire e a riavere quella che si chiama, nel modo abitato, dignità di donna.

E così avviene.

Suwaiba accetta di andare e presto, molto presto è sul tavolo operatorio, dal quale scende  con le proprie gambe e con l'esito sperato.

Guarita, la giovane torna così al villaggio e va  a riprendersi la sua vita.

Almeno una vita senza più  sofferenze fisiche. 

A questo punto è giusto porsi  una domanda : quante sono oggi nel mondo le donne colpite da fistole vaginali?

La maggioranza purtroppo è in Africa: Sierra Leone, Mauritania, Niger, Nigeria,Mali, Tanzania,Etiopia, Somalia, Sudan.E cioè Paesi con una marcata presenza musulmana.

Non mancano casi, però, anche ad Haiti, in India, Pakistan e Bangladesh. 

E' questa, allora, la "sana" battaglia da combattere se abbiamo davvero a cuore la sorte e l'avvenire delle donne.

Cominciamo, anche qui da noi, in Italia, in Europa, a dire un  "No" deciso alla pratica barbara dell'escissione per le giovanissime musulmane immigrate .

E ad avere il coraggio di denunciare chi veniamo a conoscenza che lo fa clandestinamente.

 

   A cura di Marianna Micheluzzi ( Ukundimana)

 

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