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Mi hai lasciato in doppia fila, hai salutato la vigilessa per il resto della giornata e dell´anno, con gli auguri anticipati per la pensione. Tra un caffè e l´altro hai spento la luce dalle labbra, pagato le bollette della connessione internet, hai tirato le tende, hai tirato avanti. Così fanno le donne forti verosimili, che non crollano e si restaurano. Dietro le lenti scure anche quando perdono l´amore su un carro attrezzi svogliato, l´amore che ha ancora i lampeggianti accesi che sperano e gli sportelli, guardali, ancora da rigare bene. Non sapevamo che i campioncini omaggio sarebbero bastati e non ci saremmo mai comprati. Anche se ti spingevo il carrello, anche se mi scaldavi le gambe, anche se mi chiedevi di più e ti rimettevi le mutandine in maniera esasperatamente sexy.
Ah, ma sono le nostre ere, come quella glaciale, che ci spostano, allontanano, invecchiano, indispettiscono. L´era in cui risparmiamo i taglieri ché bastiamo ironicamente noi. E ora pensare che c´é stato un tempo in cui ci siamo pure ascoltati fino alla fine, che abbiamo cercato i ragni per farti dormire, che ci siamo avvicinati i tramonti come fossero scaldini, fa strano. Forse eravamo ancora interessati come a tutte le cose nuove e non premiate agli Mtv Awards, ci saremmo scambiati anche i biglietti da visita, confessati sogni arrugginiti. Dicevi che le cose semplici non ti interessavano, che eri piena di esami, che avevi il ciclo quanto i mal di testa, che non volevi stare più fidanzata con un bambino. Poi dicevi cose che farebbero arrossire i marinai più esperti di Genova, o i pesci rossi, ma negavi tutto con un bacio, come se mi avessi vinto al luna park coi punti del tiro a segno mi portavi sotto braccio aggrappato. Un´ora dopo mi trovavi su Wikipedia alla voce stronzo. Dicevi che non ci sarebbero mai state ragnatele tra noi, che ti saresti fatta la tariffa per chiamarmi sempre, che tuo padre mi avrebbe accettato e tua madre rassegnata. Che saresti arrivata una volta puntuale.
Mi hai lasciato perché io potessi scrivere di te e incredibilmente ricordarti più di quello che dovrei come succede a tutti quelli che non devono stare lì a viversi ogni giorno. O forse perché hai trovato tutta la mia tristezza. Poi guardavi le mie foto con il senso di colpa del cioccolatino fuori pasto. Io ti sfioravo, ti spolveravo per tenerti a posto, quaranta chili in tutto, guardandoti come si guarda la casa che ti hanno messo all´asta. Bruciavo calorie per qualcosa. Come siamo belli dicevi, col segno del cappuccino, con gli occhi sempre su nuove cose, la sigaretta incastrata tra le labbra nei momenti disperati. Come siamo belli, si slabbrava il cuore.
Ti vestivi a cipolla come si fa a Londra e mi facevi vedere solo l´intimo migliore. Ansimavi nervosa, mi appannavi gli occhi scrostando qualche cosa dal paradiso degli innamorati. Mi risceglievi come un esame da rifare, forse non accettavi il voto. Lasciavi la radio spenta e andavi al concerto di Vivaldi, leggevi i grassi di cui quelli saturi nelle confezioni Mulino Bianco, santa colazione dei sopravvissuti. La notte ti toccavi e venivi in un soffio che usciva dagli spifferi soltanto se mi pensavi, ti addormentavi con le mutandine bagnate e la speranza di un dibattito con me il giorno seguente. Sorrido, abbiamo strappato molte pagine dalla notte e dai giorni che avevamo deciso. Come siamo belli, con una vita qualunque, viene da usare il presente, lo siamo di più da lontani, disinnamorati, finiti giù per il lavandino. Come siamo belli un po´prevedibili, un po´incastrati in cose che non ci piaceranno mai, con le regole fatte in casa, con la voglia di tornare comunque a casa.
Come siamo belli
un´impronta di un bambino cresciuto
una pallina di natale a pasqua,
un battito svanito.