Più formi stelle, Più sei blu, in pratica… (Image: NASA, ESA, S. Beckwith (STScI) and the HUDF team)
di Marco Castellani
Hanno scrutato nelle profondità dell’universo, trovando che le galassie appartengono a due soli tipi: quelle “sveglie” e quelle “dormienti”. In altre parole, galassie che formano nuove stelle in maniera molto attiva, o galassie che non ne formano più alcuna.
Gli scienziati sanno già da diversi anni che le galassie nell’universo locale, sembrano appartenere ad uno di questi due stati, senza grandi possibilità di soluzioni “intermedie”. Ora però la nostra conoscenza della faccenda si espande, grazie ad una esplorazione dell’universo più profondo, che ci mostra come anche galassie davvero molto giovani – lontane addirittura 12 miliardi di anni luce – obbediscano alla stessa “legge”, si assoggettino alla semplice dicotomia “sveglio/addormentato”.
Questo è importantissimo, perché ci racconta di una regola generale; ci dice che le galassie si sono sempre comportate in questo modo. O meglio, si sono comportate in questo modo almeno per l’85 % della storia del nostro universo.
“Il fatto che vediamo queste galassie così giovani nel lontano universo, che hanno già ‘chiuso’, è rimarchevole”, spiega Kate Whitaker (Yale University), primo autore nell’articolo dedicato alla ricerca, che è comparso proprio ieri l’altro nell’edizione online della prestigiosa rivista Astrophysical Journal.
Per capire in quale stato fossero le galassie osservate, Whitaker e colleghi hanno fabbricato una serie di nuovi filtri, ognuno sensibile ad un ben specifico intervallo di radiazione luminosa, e li hanno poi applicati al telescopio di 4 metri del Kitt Peak, in Arizona. Dopodiché è iniziato… il vero, paziente lavoro. Sono state spese ben 75 notti, impiegate a scrutare nel lontano universo e nel collezionare fotoni da ben 40.000 galassie, da quelle “dietro l’angolo” a quelle poste a distanze quasi inimmaginabili, la cui luce proviene (per l’effetto della velocità finita della radiazione) direttamente dai primordi dell’universo. Il risultato? La più profonda e completa esplorazione mai effettuata, a queste distanze e a questi intervalli di lunghezza d’onda.
Ma poi, raccolti i dati, come capire se vi è formazione stellare, oppure no? Il team ha decifrato il comportamento “duale” delle galassie attraverso il colore della luce che queste emettono. Di norma, infatti, le galassie interessate da formazione stellare attiva mostrano un colore predominante blu, mentre la luce emessa da galassie dormienti, con prevalenza di stelle vecchie, è più spostata verso la parte rossa dello spettro.
Va detto che questo modo di leggere la formazione stellare, probabilmente inevitabile per galassie così lontane, introduce un certo grado di semplificazione; si dà il caso infatti di galassie anche molto vecchie con evidenze di radiazione ultravioletta anche rilevante. E’ il caso ad esempio dell‘eccesso ultravioletto nelle galassie ellittiche, che inizialmente si riteneva fosse dovuto a stelle giovani (inusuali in tali ambienti), mentre poi si è potuto mostrare come anche stelle vecchie, in determinate fasi, siano ottimi produttori di luce blu/ultravioletta.
Tenuto conto delle dovute cautele, dunque, i ricercatori hanno scoperto che le galassie in fasi “intermedie” sono davvero molto poche, e che vi sono molte più galassie “sveglie” di quante ve ne siano “dormienti”. La scoperta mostra di fatto come la fase di passaggio da uno stato ad un altro debba essere rapida, si che nemmeno una ricerca così accurata ne riesce a “cogliere” un buon numero.
Se poi le galassie che dormono, rimangano così indefinitamente, è un’altra faccenda, tuttora aperta.In ogni modo, lo studio suggerisce come le galassie “attive” stiano formando stelle ad un tasso circa 50 volte maggiore di quelle che classifichiamo come “addormentate”.
Siccome, si sa, l’appetito vien mangiando (e questo è vero soprattutto per la ricerca scientifica!), i ricercatori, lungi dal ritenere l’indagine conclusa, sono interessati a capire, adesso, se le galassie possano passare varie volte attraverso i due stati, e se si possa riuscire ad osservarne direttamente qualcuna in stato di “addormentamento”…
Yale University Press Release: http://opac.yale.edu/news/article.aspx?id=8669
Marco