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Sviluppo dall’Italia !

Creato il 23 maggio 2013 da 19stefano55

Riporto integralmente un articolo molto interessante e che ci può far molto riflettere sull’immigrazione e le potenzialità che si ha nel dar lavoro qui in funzione anche del rientro nella propria patria o comunque nel migliorare alcune condizioni civili locali. L’ho preso da http://www.west-info.eu/it

L’Immigrazione è una società per azioni

Come mai se l’economia di mezzo mondo è in profondo rosso, i money transfer vanno a gonfie vele? Semplice. Perché si occupano di un settore che tira come un treno: quello delle rimesse degli immigrati. Che anche nel 2012, in linea con un trend ultraventennale, hanno registrato il segno positivo. Al punto che, come certificano le ultimissime stime della Banca Mondiale, hanno sfiorato quota 500 miliardi di dollari. Non, proprio, bazzecole. Visto che parliamo di una cifra, per rendere l’idea, otto volte superiore al budget annuo che gli Stati Uniti stanziano per le spese militari, la cooperazione internazionale e gli aiuti allo sviluppo messi insieme.

Segno evidente che l’immigrazione non è, come spesso piace descriverla, fonte di guai. Né è fatta solo di stenti, miseria e povertà. Anzi. Come sottolinea uno dei massimi esperti della materia, Hein de Hass, “rappresenta un toccasana sia per i paesi di origine che per quelli ospitanti.”

A guardare bene, infatti, l’immigrazione è come una s.p.a. Per di più in attivo. Che distribuisce dividendi tra un vasto ed eterogeneo ventaglio di azionisti. Quali? Vediamoli.

Partiamo dai meno noti: gli stati ospitanti. Che, sia pur indirettamente, traggono ricavi non indifferenti dalle rimesse. Non foss’altro perché colmano e, in alcuni casi, addirittura sostituiscono i fallimentari programmi di aiuto allo sviluppo finanziati dai paesi industrializzati. Ormai ridotti al lumicino. A conferma di come l’immigrazione è oggi il più colossale ed efficiente meccanismo di riequilibrio tra ricchi e poveri. Come insegna, ancora una volta, Hein de Hass: “l’immigrazione contribuisce allo sviluppo degli stati in via di sviluppo”.

Poi ci sono le agenzie per il trasferimento di denaro all’estero. Che hanno messo da tempo le mani su questo business milionario. Con ricavi da capogiro. Al punto che pur di accaparrarsi il maggior numero di clienti hanno cominciato ad abbattere i costi delle commissioni sulle transazioni di denaro. Una novità assoluta. Visto che fino a qualche anno fa preferivano fare cartello, piuttosto che farsi la concorrenza.

Last, but not least, le famiglie degli immigrati. Che, proprio come accadeva a noi italiani non più di qualche decennio fa, con le sia pur minime somme mensile che ricevono dai congiunti all’estero, riescono a mantenere un tenore di vita di gran lunga superiore a quello delle media del paese in cui risiedono.

Ma, ciò che più conta, è che le rimesse non hanno solo una valenza economica. I dividendi per gli azionisti sono, infatti, anche di natura socio-culturale. Per la semplice ragione che con i soldi per i loro cari, gli immigrati inviano, anche quelle che Peggy Levitt ha definito Social Remittances: “usi e costumi del paese ospitante”. Ciò si verifica non solo quando gli immigrati rientrano in madrepatria. Ma più semplicemente anche attraverso, ci dice Levitt, “lo scambio di lettere, e-mail e telefonate”. Con amici e parenti. Insomma, è come se sulle banconote inviate nella terra natia, si nascondessero i “germi” delle abitudini, norme e prassi della patria adottiva. Così a destinazione i flussi di denaro arrivano accompagnati da vere e proprie sfide: sulla condizione della donna, sul sistema scolastico o elettorale. Con tutte le conseguenze del caso. Se positive o meno dipende, per dirla con Toynbee, dal modo in cui una determinata civiltà reagisce al “potere radiottivo” di un’altra.



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