Sviluppo e coesione sociale per ricomporre l’equivoco del Sud

Creato il 11 marzo 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

Il Sud è meno ricco del Nord, ma la distanza più grave è nei diritti di cittadinanza, nella scuola, nei servizi sociali, nella cultura della legalità. È da qui che bisogna ripartire convincendosi che la coesione sociale è una premessa, non un effetto dello sviluppo”. Il saggio di Carlo Borgomeo ‘L’equivoco del Sud. Sviluppo e coesione sociale’ fa il punto della situazione sulla questione meridionale.

L’autore è presidente della Fondazione con il Sud, nata dall’alleanza tra fondazioni bancarie e Terzo settore, che sostiene progetti di inclusione sociale nel Mezzogiorno, e qualche mese fa aveva partecipato, in qualità di autore dell’introduzione, alla presentazione-dibattito del volume ‘Il Mezzogiorno e l’Italia’ che contiene riflessioni di Luigi Sturzo e Antonio Gramsci sul tema (vedi Sturzo, sentimento e politica e Sturzo e Gramsci sulla questione meridionale).

L’analisi di Borgomeo illustra come le politiche a favore di uno sviluppo del Sud Italia, a partire dall’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, si siano rivelate in genere inadeguate in quanto si sono limitate a far piovere fondi dall’alto senza procedere a una analisi delle esigenze e delle caratteristiche del territorio.

Tra i pochi tentativi positivi Borgomeo menziona il Programma triennale di intervento del 1985, seguito dalle Missioni di sviluppo e dai Patti territoriali. I progetti citati erano concepiti per partire dal basso, individuando le competenze e le potenzialità imprenditoriali, culturali e sociali presenti nelle realtà del Meridione. I tentativi furono vanificati a causa della diffidenza diffusa “tra i meridionalisti, tra i quadri dell’amministrazione, nella maggioranza dei politici meridionali”, rivelando così le responsabilità di una sconfitta “squisitamente politica” dovuta, come afferma Antonio Mutti sulle pagine dell’Indice dei libri di febbraio (‘L’utile pregiudizio positivo’), “a una classe politico-amministrativa incapace di pensare strategicamente e selezionata storicamente per chiedere risorse al centro (Roma o Bruxelles) invece che per individuare e realizzare percorsi locali di sviluppo”.

Stesso discorso per gli stanziamenti europei, tema sul quale si è recentemente scagliato l’economista Marco Vitale denunciando la situazione siciliana, in cui i fondi Ue sfumano in una rete di interessi privati e vengono spartiti durante l’iter burocratico senza arrivare ai cittadini e alle loro reali esigenze (vedi l’articolo Urge abolire lo statuto speciale per la Sicilia, pubblicato sul Quotidiano di Sicilia del 5 marzo). Il quadro che abbiamo davanti agli occhi è quello delineato con grande lucidità da Sturzo, che già agli albori del dopoguerra aveva intravisto i vizi che avrebbero ostacolato lo sviluppo del Mezzogiorno, e che parlava di “pantomima dell’amministrazione centrale” e dello scandalo della “folla di enti parassiti, di uffici inutili, di specializzazioni senza competenze, di complicazioni di servizi senza che il cittadino ne sia veramente servito”.

Cosa fare? Riporre le speranze nella classe politico-amministrativa locale, centrale o comunitaria non sembra la soluzione del problema, e d’altra parte le responsabilità ricadono anche su una cittadinanza che, sebbene diffidente e sfiduciata nei confronti dell’amministrazione, continua a riconfermarla mediante il voto: si tratta in realtà di un circolo vizioso, in cui la mancanza di senso civico è insieme causa ed effetto di una gestione irresponsabile. Borgomeo insiste sulla necessità di “introdurre una netta discontinuità nell’approccio al tema, ripartire dal sociale, dalla promozione delle identità comunitarie, dalla ricerca di logiche cooperative tra i soggetti”. In una prospettiva a lungo raggio occorre evidenziare le risorse umane, favorire la ricerca, intervenire nei servizi sociali e nei beni comuni, mentre nel medio e breve termine le potenzialità del sistema politico-amministrativo e della società, presenti ma immobilizzate, vanno localizzate e valorizzate.

Marco Cecchini


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