In quella legge si sancirebbe in una forma del tutto impropria e secondo me lesiva della libera scelta di un’amministrazione locale – comunale e regionale – la possibilità di scontare i costi della realizzazione dei nuovi impianti o delle loro ristrutturazioni con la concessione di volumetrie residenziali anche in zone non limitrofe agli impianti stessi. I costi verrebbero “pagati” con nuove previsioni edificatorie generalmente espansive e con consumo di nuovo suolo. Che senso ha una simile operazione se non quella di consegnare definitivamente il mondo del calcio al settore immobiliare e finanziario – ormai padrone del mercato edilizio – e di contraddire i tanti buoni e vaghi intendimenti sullo stop al consumo di nuovo suolo?
Non la farei troppo lunga, personalmente: non cambiare nulla non può essere una soluzione, nuovi stadi di proprietà all'interno delle città sono impensabili e l'ammodernamento delle strutture sportive è una priorità soprattutto se le leggi, evidentemente lacunose (e non sto prendendo in considerazione il conseguente processo di economia indotta), non vengono applicate. Norme specifiche dovrebbero servire a raccogliere la sfida di individuare il percorso più appropriato (oltre che lo strumento legislativo, qui convengo con Morassut) per garantire da un lato sviluppo e dall'altro sostenibilità e sicurezza. Fondamentale è delineare per bene il raggio di azione (tu imprenditore questo lo puoi fare e questo no a contenimento del consumo del suolo), evitando una sovrapposizione di regole altrimenti contrastanti. In Italia sono 6.153.860 i cittadini esposti alle alluvioni. Si possono – si devono – costruire nuove infrastrutture, abitazioni e tutto ciò che sia di aiuto alla crescita. A patto, mi sembra ovvio, che non si commettano più gli errori del passato. Ovvero – peculiarità nostrana – non facendo più cose così, tanto per. A cazzo di cane, insomma.