Sara e Joanna sono le due affascinanti e dotate soprano. Clare è il mezzosoprano che non ti aspetti. Oliver e Christopher i due tenori dalla voce potente e melodiosa. Kevin e Tobias i due bassi che ti sorprendono per l’impressionante abilità percussionistica. Potremmo prendere questi artisti singolarmente e attribuire a ciascuno di loro le lodi che gli spettano e saremmo già nel giusto. Ma è insieme che il loro talento esplode completamente trasformando il pregio della singola prestazione in una performance assolutamente unica e inconfondibile. Sono loro gli interpreti attuali di quel fenomeno musicale che da oltre 45 anni incanta il mondo attraverso un impasto sonoro raffinato, sospeso tra il consolidamento della tradizione e la ricerca continua sul suono. Sono gli Swingle Singers, custodi virtuosi di un percorso musicale che non conosce confini di tempo né si arresta di fronte agli inevitabili avvicendamenti nell’organico che lo compone; un fenomeno di cui siamo stati felici testimoni durante una delle serate più riuscite della XXIX stagione concertistica di Catania Jazz svoltasi alle Ciminiere. Nato nel 1962 in Francia come gruppo vocale specializzato nella musica a cappella e consolidatosi definitivamente nell’Inghilterra degli anni ’70 per opera di uno dei componenti originari – quel Ward Swingle che li battezzò col suo nome – gli Swingle Singers sono diventati ormai un brand in tutto il mondo, sinonimo di cultura, alto professionismo vocale e levità sonora, capaci di mantenere perfettamente la propria identità (e senza per questo oscurare quella dei singoli interpreti) anche intercettando le esigenze di un pubblico trasversale. Segno questo di un’operazione che è riuscita con abilità a non soccombere alle mode ma piuttosto a farsi anche interprete smaliziata delle stesse; basti pensare a come gli Swingle di oggi si prendano gioco abilmente, ed amabilmente, delle hit del british-pop degli ultimi vent’anni (frullare Britney Spears, Oasis e Céline Dion in un medley di 16 brani come avvenuto durante il concerto di Catania). Capaci di passare con disinvoltura da un repertorio classico che ne ha determinato le fortune iniziali (chi non ricorda la celebre Aria sulla quarta corda di Bach che ci introduceva al mondo di Quark?) ai tributi eccellenti (i Beatles) fino al jazz dei grandi nomi o al pop melodico, concedendosi perfino incursioni nell’avanguardia italiana (Luciano Berio), il gruppo è riuscito sempre a mantenere quella cifra stilistica che è già inscritta nel proprio nome.
Perché se la scuola che sta dietro è quella di impostazione classica il loro approccio rimane pur sempre swing, calibrato sulle note cadenze “saltellanti”del genere (del resto il loro doo dah bah doo non è che una danza vocale) e pervaso dalla medesima, genuina accessibilità. È il metodo travestito coi panni comodi dell’improvvisazione ma che presuppone pur sempre l’altissima professionalità di chi la musica l’ha nel cuore oltre che nell’intelletto. Il jazz è stato il tema prevalente del programma proposto al pubblico delle Ciminiere e, nonostante l’assenza di “incursioni” classiche che avrebbero rivelato in modo assai più completo il talento dei sette vocalist anche ai neofiti, la serata si è ugualmente confermata quella celebrazione dell’alta scuola vocale che gli attuali Singers mantengono intatta. Sul palco domina l’essenzialità di luci e scene quasi a voler sottolineare che saranno solo le voci a “riempire” l’intera area concertistica e non gli effetti ad hoc, proprio come si addice ad un concerto jazz. «Tutti i suoni che voi sentirete sono prodotti solo dalla voce» puntualizza in italiano una delle componenti del gruppo e la precisazione iniziale sembrerebbe superflua se non fosse che già dopo il primo brano il dubbio rischia seriamente di nascere in chi si accinge per la prima volta ad ascoltarli. Ma anche chi già li conosce non può che restare ancora una volta stupefatto di fronte a tanta perizia vocale e all’abilità con cui percussioni, bassi e maracas vengono riprodotti alla perfezione senza mai apparire artefatti. Ma nonostante l’indubbia tecnica non è il virtuosismo fino a sé stesso a dominare le esecuzioni della scaletta. Il mood necessario si stabilisce subito con la prima Weather to Fly, che rende subito il merito alle singole doti tecniche di ciascuno (quasi come se i componenti si presentassero uno ad uno al pubblico) e diviene anche una sorta di introduzione al loro personalissimo modus operandi: perché non di semplici arrangiamenti di brani noti qui si tratterà ma di autentiche re-invenzioni sonore, provviste di autonoma personalità e brillantezza. Nei pezzi successivi gli Swingle dimostrano poi di essere padroni assoluti di scale e costruzioni sonore ardite, riuscendo nella non facile impresa di sintetizzare certe dissonanze imposte dai ruoli in armoniose composizioni d’insieme. Ne sono un esempio l’arabeggiante Gemiler Giresune o lo splendido Libertango di Astor Piazzolla, riuscite fusioni fra tecnica e sensualità o ancora Spain che mette in campo tutta la loro destrezza jazz in un sentito omaggio al talento di Chick Corea.
L’incredibile The Diva Aria (dove si fondono Lucia di Lammermoor e la dance) regala a Sara la performance della serata consentendole di prodigarsi in audaci quanto difficilissimi gorgheggi che sembrano provenire da un altro pianeta (e infatti non a caso era l’aliena del film Il Quinto Elemento a cantarla in origine) ma anche il pop d’autore di Beatles e Tears for Fears non è meno emozionante. Menzione speciale a tal proposito per Blackbird che suona intima ed accorata come una preghiera poco prima dell’esplosione finale con quel già citato divertissement in cui si mescolano senza soluzione di continuità le maggiori hit inglesi degli ultimi anni; un momento di divertita partecipazione col pubblico (reso già complice in più di un’occasione) che chiude in modo ironico e frizzante l’intera serata. Almeno fino al bis s’intende. Colpisce piacevolmente il fatto che per questi performer l’armonia non sia soltanto una condizione da realizzare durante lo show ma un’intesa costante con il proprio pubblico; non è da tutti infatti incontrare i propri fan al termine dello spettacolo dilungandosi in conversazioni da vecchi amici e senza mai negare un sorriso, una foto o un autografo sui CD, quasi a voler testimoniare che la musica vera è quella che unisce e non quella che crea inutili divismi. Consapevoli anche di essere interpreti mutevoli di un fenomeno che li precede (senza fagocitarli però) questi sette ragazzi, belli e luminosi, non si sono limitati ad offrire un semplice spettacolo di vocalist jazz. Il loro è stato un autentico tour de force dentro le ragioni della musica e soprattutto del fare musica. Che non si esaurisce in una perfetta organizzazione dei suoni ma investe lo stesso processo creativo ed evolutivo dell’arte, impossibilitata dal canto suo ad essere racchiusa in stili predefiniti ma destinata a cambiare forma e a subire mutazioni costanti, perché è in divenire come l’uomo stesso. Così non importa se Mozart o Duke Ellington possono essere “rivelati” sotto nuove vesti al pubblico ma conta assai di più che qualcuno lo faccia. Proprio come gli Swingle Singers che, infatti, possono permettersi di indossare il loro abito più comodo nel tempo, restando sempre gli stessi ma senza dovere essere per forza i medesimi artisti. È per questo che la loro musica suona ancora oggi così fresca e spontanea, mai furba o affettata. A suonare artificioso in questa perfetta sincronia di voci e musica resta solo il silenzio fra un brano e l’altro.
On Tour
Gli Swingle Singers torneranno in Italia nel prossimo mese di marzo. Due le date in programma:
- il 17 marzo alle ore 21 per Veneto Jazz al Teatro Nuovo Palladio di Fontaniva (PD)
- il 18 marzo alle ore 17:30 al Conservatorio Statale di Musica “Giuseppe Verdi” di Torino