Magazine Poesie
Una poesia di Sylvia Plath, nella traduzione di Giovanni Giudici. Testi e autori che rileggo a volte per un bisogno di "freschezza", anche se appare difficile con temi come questo, o di una linearità sintattica e semantica, o per rispolverare vecchi ferri del mestiere, come la metafora o la similitudine, che per Aristotele erano "senza confronti la cosa più importante..., la sola che non si possa imparare, il segno della genialità". Artifizio che, per antica cultura (si pensi soltanto a Shakespeare o a Marlowe) è tanto presente nella poesia anglosassone (e tanto più nella cosiddetta confessional poetry, a cui tuttavia Giudici non vorrebbe associare la Plath), quanto ormai abbastanza desueto nella nostra. Forse perchè, come notava un critico, in esso devono coesistere sorpresa (tra i termini del confronto) e semplicità (dei medesimi). Cose che poco si conciliano con la poesia "corrucciata" e ombrosa che molti di noi oggi frequentano. (g.c.)
TULIPANI
I tulipani sono troppo eccitabili, qui è inverno.
Guarda com'è tutto bianco, tutto quieto e innevato.
Sto imparando la pace, da me quietamente posando
Come posa la luce su questi muri bianchi, questo letto,queste mani.
Io non sono nessuno; non c'entro con le esplosioni.
Ho dato il mio nome e i miei vestiti alle infermiere
E all'anestesista la mia storia e ai chirurghi il mio corpo.
Tra guanciale e risvolto del lenzuolo han puntellata la mia testa
Come un occhio tra due palpebre bianche che non si chiuderanno.
Stupida pupilla, tutto deve sorbirsi.
Le infermiere passano e ripassano, non disturbano,
Passano come gabbiani all'entroterra nelle loro cuffie bianche,
Con mani affaccendate, identiche l'una all'altra,
Così che è impossibile contare quante sono.
Per loro il mio corpo è un ciottolo, vi attendono come l'acqua
Tende ai ciottoli sui quali deve scorrere, gentilmente levigandoli.
Mi portano il torpore nei loro lucenti aghi, mi portano il sonno.
Adesso ho perduto me stessa sono stufa di fardelli -
La mia ventiquattrore di pelle come un nero portapillole,
Mio marito e il bambino sorridenti dalla foto di famiglia;
Mi agganciano la pelle i loro sorrisi, sorridenti ami.
Ho gettato cose a mare, io cargo di trent'anni
Testardamente attaccata al mio nome e indirizzo.
Hanno passato una spugna sui miei affetti.
Impaurita e nuda sulla verde barella plasticata
Ho guardato la mia teiera, i miei portapanni, i miei libri
Sparire affondando e l'acqua si è chiusa sul mio capo.
Sono una monaca adesso, non sono mai stata così pura.
Io non volevo fiori, volevo solamente
Giacere a palme riverse ed essere tutta vuota.
Come si è liberi, liberi da non credersi.
La pace è così grande che abbaglia,
E non chiede nulla, un'etichetta col nome, pochi aggeggi.
È il finale a cui approdano i morti; me li figuro
Inghiottirselo come un'ostia da comunione.
I tulipani sono troppo rossi, mi fanno male.
Anche sotto la carta li sentivo respirare
Lievi, sotto la bianca fasciatura, come un bebé mostruoso.
La loro rossezza parla alla mia ferita, gli risponde.
E sono infidi: sembrano galleggiare, benché mi tirano giù,
Sconvolgendomi con le loro lingue imprevedute e il colore,
Dozzina di rossi piombi intorno al mio collo.
Nessuno mi sorvegliava, adesso sono sorvegliata.
A me i tulipani si volgono e dietro me alla finestra
Dove una volta al giorno si allarga e si assottiglia la luce
E io mi vedo, piatta buffa ombra di pupazzo ritagliato
Fra l'occhio del sole e gli occhi dei tulipani,
E non ho faccia, ho voluto cancellarmi.
I vividi tulipani divorano il mio ossigeno.
Prima del loro arrivo l'aria era calma abbastanza,
Andava e veniva, respiro su respiro, senza trambusto.
Poi loro l'hanno riempita come un gran chiasso.
Adesso l'aria si rompe e vortica quale un fiume
Si rompe e vortica su una macchina affondata rossa di ruggine.
Concentrano la mia attenzione che era prima felice
Di giocare e riposare senza impegnarsi.
Le pareti, anche loro, sembrano riscaldarsi.
I tulipani dovrebbero stare in gabbia come bestie feroci;
Si aprono come la bocca di un grande felino africano
E io mi accorgo del mio cuore che apre e chiude
La sua ampolla di rossi bocci per puro amore di me.
L'acqua che assaggio è calda e salata, come il mare,
E viene da un paese lontanissimo come la salute.
TULIPS
The tulips are too excitable, it is winter here.
Look how white everything is, how quiet, how snowed-in.
I am learning peacefulness, lying by myself quietly
As the light lies on these white walls, this bed, these hands.
I am nobody; I have nothing to do with explosions.
I have given my name and my day-clothes up to the nurses
And my history to the anaesthetist and my body to surgeons.
They have propped my head between the pillow and the sheet-cuff
Like an eye between two white lids that will not shut.
Stupid pupil, it has to take everything in.
The nurses pass and pass, they are no trouble,
They pass the way gulls pass inland in their white caps,
Doing things with their hands, one just the same as another,
So it is impossible to tell how many there are.
My body is a pebble to them, they tend it as water
Tends to the pebbles it must run over, smoothing them gently.
They bring me numbness in their bright needles, they bring me sleep.
Now I have lost myself I am sick of baggage -
My patent leather overnight case like a black pillbox,
My husband and child smiling out of the family photo;
Their smiles catch onto my skin, little smiling hooks.
I have let things slip, a thirty-year-old cargo boat
Stubbornly hanging on to my name and address.
They have swabbed me clear of my loving associations.
Scared and bare on the green plastic-pillowed trolley
I watched my tea-set, my bureaus of linen, my books
Sink out of sight, and the water went over my head.
I am a nun now, I have never been so pure.
I didn't want any flowers, I only wanted
To lie with my hands turned up and be utterly empty.
How free it is, you have no idea how free -
The peacefulness is so big it dazes you,
And it asks nothing, a name tag, a few trinkets.
It is what the dead close on, finally; I imagine them
Shutting their mouths on it, like a Communion tablet.
The tulips are too red in the first place, they hurt me.
Even through the gift paper I could hear them breathe
Lightly, through their white swaddlings, like an awful baby.
Their redness talks to my wound, it corresponds.
They are subtle : they seem to float, though they weigh me down,
Upsetting me with their sudden tongues and their colour,
A dozen red lead sinkers round my neck.
Nobody watched me before, now I am watched.
The tulips turn to me, and the window behind me
Where once a day the light slowly widens and slowly thins,
And I see myself, flat, ridiculous, a cut-paper shadow
Between the eye of the sun and the eyes of the tulips,
And I have no face, I have wanted to efface myself.
The vivid tulips eat my oxygen.
Before they came the air was calm enough,
Coming and going, breath by breath, without any fuss.
Then the tulips filled it up like a loud noise.
Now the air snags and eddies round them the way a river
Snags and eddies round a sunken rust-red engine.
They concentrate my attention, that was happy
Playing and resting without committing itself.
The walls, also, seem to be warming themselves.
The tulips should be behind bars like dangerous animals;
They are opening like the mouth of some great African cat,
And I am aware of my heart : it opens and closes
Its bowl of red blooms out of sheer love of me.
The water I taste is warm and salt, like the sea,
And comes from a country far away as health.
da "Ariel" - trad. Giovanni Giudici
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