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Tabacco: una triste storia

Creato il 20 luglio 2014 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Cerchiamo di raccontare la storia del tabacco: quali le origini dell’erba santa?

sigarette 400 Tabacco: una triste storia

Storia triste quella del tabacco. Quando, nel XVI secolo, arrivò in Europa venne accolto come «erba santa»; oggi è considerato poco meno di un Satana responsabile di tutti i mali e la caccia al fumatore è scattata puntuale e violenta. Qualcuno prevede (anzi auspica) che quella dei fumatori sia una specie destinata all’estinzione. Una fine che i sacerdoti maya — i primi fumatori della storia — non potevano certo immaginare. Per loro, e per molte altre popolazioni precolombiane, fumare un sigaro o la pipa era un atto pieno di religiosità, da compiersi davanti agli altari affinchè gli dei apprezzassero la devozione degli uomini che arriva in cielo sotto forma di nuvolette di fumo.

Sarà stato per caso o per la sua confidenza con le cose pie, ma il primo bianco ad occuparsene fu proprio un frate, Andre Thevet, che nel 1556 portò in Europa un po’ di semi della pianta che trovò accoglienza nei giardini reali portoghesi. Qui le piantine attirarono l’attenzione dell’ambasciatore di Francia Jean Nicot de Villemain che provvide a sua volta ad inviare qualche seme al re di Francia Francesco II e a sua moglie Caterina de’ Medici vantando le virtù medicinali della polvere che si ricavava dalle foglie essiccate.

Verso la fine del secolo in Spagna e in Inghilterra si cominciò a fumare foglie di tabacco proprio come gli indiani americani, ma allo scopo di calmare il mal di denti. Quelli furono anni di gloria per il tabacco. Ognuno scopriva in quelle foglie qualche proprietà benefica e pareva proprio che l’«erba santa» potesse diventare la soluzione per tutti i mali. L’aristocrazia europea sembrava non poterne fare ameno: gli ambasciatori lo portavano alle loro corti, i regnanti lo regalavano ai sudditi più fedeli, i medici lo prescrivevano agli ammalati e rapidamente il tabacco conquistava terreno anche tra le classi sociali meno abbienti. Ma subito si andò delineando una singolare divisione: il popolino preferiva fumarlo, l’aristocrazia disdegnava i sigari e fiutava la polvere.

Una cosa però fu presto chiara: ormai tutti lo usavano a scopo voluttuario e questo scatenò le ire dei medici contro «l’abominevole vizio» responsabile di spaventose malattie. A questa prima campagna antifumo aderì Giacomo I re d’Inghilterra che scrisse un violento opuscoletto per dimostrare che l’«erba santa» era in realtà l’erba di Satana; ma dopo di lui, il suo successore Carlo I pensò bene di guadagnarci sopra istituendo il monopolio di Stato. Da Roma, intanto, il Papa Urbano Vlll aveva lanciato la scomunica per tutti i fumatori, ma con scarso successo, tant’è vero che in Francia e in Germania dovettero vietare il fumo per strada e nei locali pubblici e creare appositi locali (detti tabagies) dove i viziosi potevano riunirsi senza disturbare nessuno.

La marcia del tabacco non conosceva ostacoli e una nuvola di fumo avvolgeva il Vecchio Mondo mentre in America dimenticavano la sacralità delle origini e coltivavano tabacco dappertutto. Ma le sigarette non erano ancora nate. Ad inventarle furono, nel 1832, i soldati musulmani di Ibraim Pascià durante l’assedio di San Giovanni d’Acri, in Palestina, che per confezionarle misero il tabacco nei cilindretti di carta in cui conservavano la polvere da sparo. L’idea attecchì per la sua semplicità e gli italiani poterono apprezzarla nel 1855 quando i reduci della spedizione piemontese in Crimea tornarono a casa con le prime sigarette.

Il resto è storia nota. Questa, in sintesi, la gloriosa carriera del tabacco che ora rischia, giustamente, di finire il fumo.




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