di Giuseppe Leuzzi. Una raccolta di saggi letterari (minima la parte del cinema, di cui al sottotitolo) e divagazioni, completata postuma dalla studiosa Anna Dolfi. Affettuosa ma si vede, Tabucchi sarebbe stato più oculato nella scelta. Molti i testi d’occasione – recensioni, infatuazioni, gratitudini. Altri pleonastici – il “perché si scrive”, o l’elzevirismo sulla luna. Altri buttati lì. La “pierre de Bologne”, per esempio, “che irradia di notte ciò che ha immagazzinato di giorno”. D’accordo, è di Barthes ma il lettore resta curioso – è la pietra “scoperta” tre secoli fa dal ciabattino alchimista bolognese Casciarolo sui colli attorno alla città, che tratteneva la luce e la riemetteva al buio (Casciarolo aveva “scoperto” la fosforescenza). Col rifiuto costante di Calvino, che l’aveva rifiutato come autore. Con l’inevitabile panegirismo del moralista, voluttuoso reazionario – quello che sa di avere torto (“che la modernità abbia un volto stupido e che la nostra epoca sia stupida, non è certo una novità”). I lampi, beffardi e seri, sono però prevalenti, mirabili incursioni. La vera e propria rivoluzione che fu “La dolce vita”. O Céline che opera “una vera discesa agli inferi del Novecento”. E molti altri. Il corpo, la voce, nella nota su Mauricio Ortiz. “Amleto sapeva della tresca di sua madre; solo che non se n’era accorto”, avendo altre cose cui pensare, “fanciullone distratto e malinconico”. Joyce ha l’epifania radicale di Dublino, delle sue piccolezze, nelle cosmopolite Trieste e Zurigo. “Pasolini e Gadda sono Prometeo e Epimeteo”. E “cosa di più terribilmente realistico dei racconti cosiddetti fantastici?” Giustamente riservato sul Calvino alla moda della Leggerezza, mentre il millennio è e resta greve. Avventuroso sulla saudade, l’omaggio a Remo Ceserani. Scopritore – troppo breve – di De André poeta classicheggiante, di ballate fiorentine, canzoni provenzali (d’aube, de toile, de geste, d’histoire), laudi. Scopritore di Celan scopritore di Pessoa, sessant’anni fa, quando nessuno conosceva Pessoa, e lui lo tradusse in tedesco.
Un risarcimento, nel complesso, dopo le ultime raccolte dello scrittore stanco. Che ci compiaceva dello “stalinismo”. Contro Berlusconi come contro Ferrara, Ciampi, Battisti (chi è Battisti), e perfino il Brasile di Lula. Ridotto agli amici di parrocchia, Anna Dolfi che cura questa raccolta, Mario Specchio, Piero Chicca, il direttore editoriale: lo scrittore forse più notevole del secondo Novecento finisce solo, rancoroso senza ragione – non è un fallito, non è un “omesso”, non è un reduce (non è uno che ci credeva. Perfino la moglie sembra “indicibile”. La scelta è di Maria José de Lancastre, che è la moglie di Tabucchi, o no?, e di sua figlia Beatrice.
Antonio Tabucchi, Di tutto resta un poco. Letteratura e cinema, Feltrinelli, pp. 302 € 20
Featured image, la medaglia di Cavaliere delle arti e delle lettere, titolo assegnato in Francia a Tabucchi.
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