Sembrava l’inizio di una giornata perfetta.
E troppe cose hanno contribuito a renderla la più stronza ma anche la più affascinante.
07.09.2012
h 11:00.
Il colloquio è imminente, ed io, previdente, ho messo in borsa i tacchi. Belli, comodi.
La camminata verso il dolce patibolo inizia: è costellata di buche e di merde di cane, ma io schivo,
pronta, fiduciosa, figa dentro e fuori.
Così tanto sicura di me e carica di adrenalina,
a momenti nemmeno mi accorgo del tacco che ho perso circa trenta centimetri prima.
Divelto con cura da chissà quale forza alimentata dalla sfiga.
Il panico mi assale, come un’alluvione carica di tronchi.
La sensazione dell’appoggio che sfugge, manca e non si può aggiustare.
Sarei scivolata sul mio stesso sudore, se a questo non fossero sopraggiunte due grosse lacrime infantili, perfettamente inutili, dato che non piango colla a presa ultrarapida, bostik.
Di comune accordo con la povera Beth, arpionata al telefono, decidiamo che è meglio proseguire, con un po’ di fiducia in meno, ma una marcia in più: la sfiga che diventa assurdità, e l’assurdità, simpatia.
Non capita tutti i giorni di presentarsi ad un colloquio deambulando come una giraffa ubriaca, no?
E quindi ci vado lo stesso.
Per sapere com’è andata a finire, basti sapere che presto mi vedrete scrivere su 5fittingrooms.
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