E’ l’alba quando percorro a piedi gli ultimi cinquecento metri che conducono ad una delle porte d’accesso ai giardini che circondano il Taj Mahal. A quest’ora il grande gigante bianco è avvolto dalla nebbia che gli dà un aspetto alquanto surreale.
Mi avvicino piano per poter godere di ogni dettaglio ed angolazione, osservo in rispettoso silenzio il mausoleo che venne fatto costruire dall‘Imperatore moghul Shah Jahan in onore della sua amata, morta a 39 anni mettendo alla luce il loro quattordicesimo figlio.
Il sole inizia ad illuminarlo poco alla volta facendo risplendere le cupole ed i minareti, leggermente inclinati verso l’esterno.
Le scritte in arabo intorno ai portali sembrano raffigurare una danza leggera mentre le incisioni a sbalzo, che raffigurano eleganti motivi floreali, fanno di ogni angolo un vero incanto.
Seduta sul marmo liscio, guardo l’edificio ma non riesco a credere che sia davvero lì davanti ai miei occhi. Eppure l’ho toccato. E’ maestoso ma al tempo stesso di un’eleganza commovente, sembra avvolto da un’aura magica come se potesse scomparire da un momento all’altro.
All’interno, dove mai nessuno ha potuto effettuare foto o video, tutto è semplice. Un cenotafio, protetto da una gabbia in marmo traforato che sembra un merletto, intorno al quale tutti si muovono lenti con totale reverenza, quasi senza respirare. Il corpo dell’amata principessa giace ad un livello sottostante, orientato in modo da essere esattamente nello stesso punto in cui si trova il sovrastante sepolcro vuoto.
Potrei rimanere a contemplare il Taj Mahal per ore tanto è il senso di pace e tranquillità che riesce ad infondermi.
L’emozione vera e propria, però, subentra qualche ora dopo averlo lasciato. Quel fremito di commozione che prende allo stomaco e che fa rendere improvvisamente conto che quel monumento all’amore non solo esiste ma ne ho anche respirato da vicino l’atmosfera da fiaba.
Come è successo quando ho visto Petra, ho guardato il Taj Mahal fino all’ultimo, felice di averlo conosciuto e dispiaciuta per dover lasciare così tanta bellezza.
Mentre cammino per allontanarmi da lì penso al progetto incompiuto dello Shah Jahan che avrebbe voluto costruirne uno uguale per sé al di là del fiume ma di marmo nero, yin e yang per sempre insieme nel nome dell’amore.
Leggi anche gli altri post su la mia India