E’ sempre complicato realizzare prodotti che siano originali ed allo stesso tempo buoni quando si ha a che fare con la mente umana e le sue ossessioni. Negli ultimi anni infatti da un lato troviamo ottime pellicole come “Bug – la paranoia è contagiosa” di William Friedkin (2006), “Shutter Island” di Scorsese (2010), “Gut” di Elias (2012), che riescono ad esaminare in maniere differenti alcune sfumature della mente, come ossessioni, psicopatie e doppia personalità, e altre pellicole si sono poi rivelate piuttosto deludenti e banali, come “Number 23” di Joel Schumacher (2007) o “Secret Window” di David Koepp (2004), che tentano di creare thriller partendo appunto dalla malattia mentale. Ci prova nel 2011 anche Jeff Daniels, al suo secondo lungometraggio dopo il discreto “Shotgun Stories”, con “Take Shelter”. Per farlo si serve principalmente di due straordinari interpreti come Jessica Chastain (persino più convincente dell’acclamato “Zero Dark Thirty”) e Michael Shannon, non propriamente un grande nome, ma certamente un grande attore, che già aveva recitato nei panni del ossessivo compulsivo in “Bug – la paranoia è contagiosa”, che interpretano rispettivamente Samantha e Curtis LaForche, genitori di una bambina muta. La storia non è originale nella sua sua struttura, essendo legata ad un uomo qualunque, padre di famiglia, affettuoso marito e lavoratore instancabile, che improvvisamente inizia ad avere terribili visioni su violente tempeste. E’ questa la grossa novità iniziale, la cheimofobia. Questo è appunto il nome della fobia dei temporali e, spesso, è associabile ad ansia da separazione per eventi traumatici subiti da bambini. Ed è proprio ciò che vive il protagonista di questa ansiogena pellicola, essendo rimasto traumatizzato dalla fuga improvvisa e inaspettata della mamma a causa della schizofrenia. Inizia così un vortice di ossessioni, che superano il limite del maniacale, che indubbiamente costringeranno lo spettatore a perdersi nei deliri del povero Curtis. Per scacciare sin da subito i dubbi di chi legge che potrebbe credere si tratti “semplicemente” di un thriller, innanzitutto va detto che la pellicola si appoggia ad una fotografia eccezionale che colpisce l’occhio grazie ai colori vivaci delle campagne americane. Il giallo del grano che separa l’azzurro del cielo ed il verde della prateria, non può che richiamare i famosi papaveri di Monet, anche se in questo paesaggio rurale dei papaveri non c’è l’ombra. Ciò che invece c’è è la presenza di un cielo nero che ogni tanto fa la sua comparsa alimentando l’ossessione del protagonista, che quindi deciderà di costruire un rifugio anti-uragano, cosa piuttosto di moda negli Stati Uniti. E poi c’è il forte uso del grigio e delle sue sfumature più fredde durante gli incubi terrificanti di lui, che creano un atmosfera a volte horror, altre volte thriller, ed altre volte di lynchana memoria. Ma il povero Shannon dovrà confrontarsi con una realtà economica in costante crisi, mettendo a rischio lavoro, amici e famiglia pur di acquistare il necessario, che comprende maschere antigas, per salvarsi da una tempesta inimmaginabile da far sembrare il diluvio universale un temporale estivo che egli crede si scatenerà prima o poi. Ma in tutto questo clima al limite tra il profetico ed il delirante, ma sorprendentemente drammatico e violento, ciò che colpisce è l’ansia che pervade lo spettatore, grazie soprattutto ad una prova pazzesca di Shannon, che riesce a toccare l’animo per il suo intimo essere consapevole della follia delle sue azioni, che tuttavia si deve arrendere alla natura della follia stessa. Memorabile ad esempio la scena del confronto tra il protagonista e la cerchia di amici che pian piano si rende conto del suo stato mentale. E’ inutile negare che quando la famiglia LaForche sarà chiusa nel bunker sotterraneo costruito da Curtis, lo spettatore sarà totalmente preso dalla storia, che avrà fino a quel momento piantato il seme del dubbio, da non sapere con certezza se fuori da quell’ambiente claustrofobico è in atto la tanto attesa tempesta o solo un forte temporale. Ed è questo il dubbio, alimentato da un finale aperto a diverse interpretazioni, che pervade lo spettatore sin dall’inizo. In tutto questo Jeff Daniels ha lavorato bene, prendendo un tema, quello della malattia psichiatrica, molto usato dal cinema per trasformarlo in qualcosa di più profondo e intimo in cui ogni spettatore sarà totalmente assorto. E probabilmente seguirà con più interesse il meteo in tv.
Voto 8-/10