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"Taken" nasceva come tipico prodotto di rincalzo, pensato e realizzato come "copia conforme" dell'originale americano: era infatti un action movie che mutava le caratteristiche di genere, applicandole però ad un contesto prettamente imitativo. Besson e chi per lui ( ieri Pierre Morel, oggi Oliviere Megaton) immaginarono una Parigi losangelina, trapiantandovi una storia la storia di un giiustiziere americano costretto a volare in Europa per salvare moglie e figlia rapite da una banda di manigoldi. A parlare inglese era il ritmo incalzante delle sparatorie e degli inseguimenti come pure il protagonista Liam Neeson, attore allora in ribasso ma abbastanza yankee per essere annoverato nella categoria del bad cop cinematografico. Oggi invece, e qui arriviamo a "Taken 3 - L'ora della verità", la sensazione è quella di trovarsi di fronte al classico film d'azione americano: non solo perchè dopo una serie di avventure ambientate totalmente o in parte nel vecchio continente, gli Stati Uniti ritornano a essere il naturale far west della storia, e neanche per il fatto che Neeson, rivitalizzato dall'entusiasmo degli spettatori ha nel frattempo acquistato l'dentità necessaria a imporre il suo personaggio senza bisogno di ricorrere ad "aiuti" esterni. La ragione più intima e forse più banale risiede invece nella trama di una sceneggiatura che rispettando il trend in vigore (da "Tovarek" a "The Equalizer") scegli i cattivi di turno tra i figli della nuova Russia. Un omologazione non da poco per un prodotto scontato ma comunque godibile. Gli spettatori applaudono divertiti e questo basta a Besson per continuare ad andare avanti senza troppi cambiamenti.
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