Boiling Point - I nuovi gangster (3-4X10月 - 3-4x juugatsu) (1990) - 2,5/5
Il silenzio sul mare (あの夏、いちばん静かな海 - Ano natsu, ichiban shizukana umi) (1991) - 2,5/5
Sonatine (ソナチネ) (1993) - 4/5
Getting Any? (みんな やってるか! - Minnâ-yatteruka!) (1995) - 1,5/5
Kids Return (キッズ・リターン - Kidzu ritan) (1996) - 3/5
Hana-bi - Fiori di fuoco (花火 - Hana-bi) (1997) - 4/5
L'estate di Kikujiro (菊次郎の夏 - Kikujirô no natsu) (1999) - 3/5
Brother (ブラザー) (2000) - 2/5
Dolls (ドールズ) (2002) - 3,5/5
Zatōichi (座頭市) (2003) - 3/5
Takeshis' (タケシズ) (2005) - 2,5/5
Glory to the Filmmaker! (監督・ばんざい!- Kantoku · Banzai!) (2007) - 3/5
Achille e la tartaruga (アキレスと亀 - Akiresu to Kame) (2008) - 3,5/5
Outrage (歸國 - Autoreiji) (2010) - 2,5/5
Kitano (1947) è fra i più importanti registi giapponesi contemporanei. I suoi film nichilisti e sconsolati lo impongo come autore della malinconia senza speranza, del vuoto morale ed esistenziale che affligge il Giappone moderno, inserendosi idealmente in continuità con l'opera di Mizoguchi, sebbene lo faccia con uno stile completamente differente, al contempo ascetico e ipperrealista, mistico e violento, poetico e crudo. E' un regista unico.
-Violent Cop
(Sono Otoko, Kyobo ni Tsuki) di Takeshi Kitano - Giappone 1989 - noir/poliziesco - 98min.
Un ispettore di polizia (Kitano) dai modi bruschi e insofferente agli ordini superiori, sta indagando su un traffico di droga che coinvolge anche degli uomini della polizia. Quando i criminali gli rapiscono la sorella mentalmente disturbata, parte all'attacco senza alcuna speranza di salvezza.
E' il formidabile esordio alla regia di uno dei più interessanti registi giapponesi contemporanei. Volto conosciutissimo in Giappone data la sua attività in tv, Kitano dirige un film dal canovaccio classico di un anonimo poliziesco rendendolo personalissimo, stilisticamente originale e "...eccitante sino alla provocazione" (dal dizionario dei film Morandini), all'insegna della morte, interiore ancor prima che biologica. La figura di Kitano riempie lo schermo, facilmente identificabile grazie al suo caratteristico incedere ciondolante (numerose le scene che lo ritraggono mentre, semplicemente, cammina per la strada andando da un posto all'altro) e fa sì che la sua presenza costituisca la ragion d'essere del film (un pò come la figura di Woody Allen nei suoi film). E' quindi una pellicola fortemente egomaniaca, ma al tempo stesso funzionale ad un discorso più vasto, denunciatario di una crisi esistenziale e testimone di un nuovo tipo di cinema. Come ha fatto notare giustamente Ghezzi in più occasioni, Kitano è, assieme a Tarantino, uno dei registi che più ha sperimentato negli ultimi due decenni, dando vita a nuovi tipi di linguaggio cinematografico: il secondo attinge dal passato, facendo del citazionismo e del riuso un'arte, arrivando a geniali commistioni di genere; il primo invece sembra rinunciare a qualunque cosa fatta in precedenza, non assomiglia a nulla, non è paragonabile, stilisticamente parlando, ad altri autori. Il cinema di Kitano è un cinema dell'atto più che della parola (ed in questo è profondamente diverso da Tarantino, che ha fatto delle lunghe sequenze dialogiche il suo marchio di fabbrica), del movimento spaziale contrapposto alla stasi esistenziale e di una certa tendenza alla ripetizione rituale di uno schema, che sempre si conclude con la morte del protagonista, ovvero quasi sempre dello stesso Kitano (almeno per la prima parte della sua carriera, fino a prima di "Takeshi's"; da quel film in poi il suo cinema diventerà qualcosa di ancora diverso).
Regista anomalo, interessantissimo, Kitano si impone nel mondo del cinema già dal suo primo lungometraggio. Da vedere.
Distribuito in DVD dalla Rarovideo in coppia con Boiling Point.
Voto: 3,5/5
-Boiling Point
(3-4 x Jugatsu) di Takeshi Kitano - Giappone 1990 - gangster/drammatico - 93min.
Masaki (Masahiko Ono) è un ragazzo molto timido ed introverso, gioca in una squadra di baseball ma è negato, è innamorato di una cameriera a cui non riesce a dichiararsi e lavora ad una pompa di benzina. Un giorno deve lavare la macchina di un boss della Yakuza che non è soddisfatto del suo lavoro. Masaki tenta di colpirlo in un raptus di esasperazione, così il proprietario della pompa rischia di finire in guai seri con la criminalità organizzata. Masaki non si arrende e decide di andare a Okinawa a procurarsi un'arma; lo spettano dei fornitori capeggiati da un criminale fuori di testa (Kitano). Colpo di scena finale.
L'opus numero 2 di Kitano regista, che si ritaglia un piccolo ruolo da depravato, conferma lo stile unico che già contraddistingueva il film d'esordio: la solitudine del protagonista disadattato e frustrato che accumula rabbia fino al punto di ebollizione, per poi scoppiare. Il finale è emblematico in questo senso, mostrando quale caos di sentimenti alberghi all'interno di una persona apparentemente innocua. E' probabilmente anche la rappresentazione dei mali esistenziali di cui soffre il moderno giapponese medio. La pellicola non è all'altezza del film precedente, risultando un pò lenta ed arrancante, almeno fino alla comparsa di Kitano stesso: è incredibile come il suo cinema abbia bisogno della sua presenza sullo schermo per essere completo. Come in tutti i suoi film (fino a "Takeshi's") il personaggio di Kitano muore "...negandosi subito, impedendosi la classicità." (Enrico Ghezzi).
Solo per gli appassionati del regista.
Distribuito in DVD dalla Rarovideo in coppia con Violent Cop.
Voto: 2,5/5
-Il silenzio sul mare
Giappone 1991 - commedia - 101min.
Shigeru, netturbino sordomuto in un'anonima cittadina costiera, vive senza passioni né aspettative, trascorrendo le sue giornate con la fidanzata, anch'essa sordomuta. Trovando una tavola da surf abbandonata sulla spiaggia, Shigeru inizia ad appassionarsi, fino a gareggiare in un torneo.
Un film i cui protagonisti non parlano non è una novità, ma senz'altro lo è per Kitano, che al terzo film esce dal genere gangsteristico dei primi due per realizzare qualcosa di completamente diverso, o quasi. Infatti ciò che fa è prendere quei momenti di pausa silenziosa interposti nei film precedenti fra una scena d'azione e l'altra e farne la cifra stilistica di un intero lungometraggio. Ne esce una pellicola contemplativa del mare, elemento ricorrente nei suoi film, ma non solo: è un film molto meno poetico e molto più concreto di quanto si pensi. Dice molto sulla società giapponese, sulla impossibilità per una persona di umili condizioni di salire di rango, sull'assenza di stimoli nel Giappone moderno, sull'urbanizzazione selvaggia ed il deturpamento delle bellezze naturali del paese asiatico, sul malessere di vivere del giapponese contemporaneo (e questi sono temi ricorrenti nella filmografia di Kitano). La prospettiva con cui sono affrontati è invece differente dal solito: più stilizzata, per nulla violenta, lontana da qualunque caratterizzazione di genere, statica (anche a livello movimenti di macchina, praticamente sempre fissa), essenziale, povera se vogliamo. Curiosamente i due protagonisti suscitano tenerezza, ma non empatia, sono figure senza personalità, necessarie al regista per imbastire una riflessione di carattere generale sul rapporto fra l'uomo e il mondo, e fra l'uomo e l'uomo: la violenza della società sull'individuo (pur mai mostrata esplicitamente) fa fuggire quest'ultimo in una singola passione che diventa ossessione, fuga dalla realtà e oblio. Ma è una scomparsa serena, poetica, quella che Kitano (che stavolta non recita) mette in scena: il finale è sì triste, ma non tragico come di consueto.
Non si può dire che il film sia del tutto riuscito (lento fino alla morte, recitazione inesistente, tecnica elementare) è più che altro un esperimento di cambio di registro: Kitano mischierà questo stile minimalista con quello più pulp degli esordi nel successivo Sonatine, il suo primo capolavoro.
Voto: 2,5/5
-Sonatine
Giappone 1993 - gangster/drammatico - 94min.
Murakawa (Kitano) è uno yakuza inviato dai suoi capi ad Okinawa per fare da pacere fra due bande alleate al suo clan. Quando arriva lì con i suoi uomini, però, scopre che si trattava di poco più che un tafferuglio, e che non c'è alcuna situazione di emergenza. Dal comando non arrivano indicazioni. Bloccato sull'isola, Murakawa inizia a sospettare che ci sia un complotto contro di lui.
Capolavoro del cinema gangster, che stravolge il genere rendendolo stilizzato, astratto, poetico, fantasioso, divertente, malinconico, metaforico. I film di Kitano sono tutti amaramente divertenti (quale più quale meno), hanno tutti una componente ludica che a quanto pare fa parte dell'indole del regista, autore di numerosi giochi televisivi. In questo film le scene di gioco abbondano: è come se l'uomo usasse il gioco come valvola di sfogo per tutte le terribili fatiche che è costretto a sopportare tutti i giorni. Certo in questo film si parla di una determinata categoria, gli yakuza che spesso Kitano impersona nei suoi primi film (ma sempre meno frequentemente): la violenza in Giappone è una realtà intrinseca nella società perché accettata in una certa misura. Murakawa è rassegnato all'idea che verrà fatto fuori prima o poi, idea cui tutti gli yakuza sono più o meno rassegnati; per questo inganna i tempo in attesa dell'ineluttabile momento con una certa paradossale spensieratezza, ma anche un certo sarcasmo e cinismo.
Il mare compare prepotentemente anche in questo film, pacifico come nella pellicola precedente, portatore di emozioni positive, un senso di libertà altrimenti irraggiungibile: è proprio sulla spiaggia che gli yakuza si lasciano andare a giochi fanciulleschi, regredendo ad uno stato sanamente immaturo, svagato, privo di vincoli. La fotografia è molto luminosa, a dispetto del fatto che la vicenda raccontata sia tutto fuorché solare e scanzonata. Eppure è proprio questo contrasto stridentissimo fra violenza e poesia la cifra stilistica del film, connubio mai reso così nettamente prima, e che Kitano riprenderà nel suo film più famoso, Hana-Bi.
Imperdibile.
Voto: 4/5
-Getting Any?
Giappone 1995 - grottesco - 110min.
Un tipo è ossessionato dall'idea di scopare. Cerca di realizzare il suo scopo in tutti i modi: dapprima tentando vanamente di procurarsi un'auto comoda per abbordare e deflorare fanciulle, dappoi lanciandosi nelle più varie attività (attore, uomo invisibile, uomo-mosca mutante) sempre senza successo.
Dalle stelle alle stalle, Kitano fallisce clamorosamente e paradossalmente quando fa un film comico/grottesco, genere da cui egli stesso proviene (in ambito televisivo/cabarettistico): sconclusionata farsa ipercitazionista, Getting Any? è un filmaccio che non fa ridere per niente, se non per l'imbarazzo, e l'unico elemento di interesse è la curiosità di vedere come il regista è in grado di far proseguire la storia. Prende in giro (malamente) molti riferimenti cinematografici e non, giapponesi e non, senza motivo apparente; quel che non è chiaro è il concept: una satira sulla pseudo-cultura del giapponese medio degli anni 60-80? Non si direbbe che gli stessi giapponesi l'abbiano capito, dato che il film è stato un fiasco anche lì. Lo stesso Kitano ammetterà poi di aver fatto un film non riuscito, parlando addirittura di "suicidio professionale". Per fortuna si rifarà.
Voto: 1,5/5
-Kids Return
Giappone 1996 - drammatico - 103min.
Due studenti scansafatiche, Masaru (Ken Kaneko) e Shinji (Masanobu Ando) al posto di studiare si dedicano al bullismo e al dolce far nulla, finchè non decidono di iscriversi ad una scuola di pugilato. Masaru molla presto per entrare a far parte di una banda di yakuza, Shinji invece continua anche in virtù del proprio talento naturale. Entrambi si rovinano con le loro stesse mani.
Nel 1994 Kitano è vittima di un incidente automobilistico che lo costringe ad un lungo recupero e gli lascia metà faccia paralizzata. (Getting Any? Era già stato girato, anche se esce nelle sale nel '95). Kids Return è il primo film del Kitano dopo-incidente, ed è uno dei suoi film più tetri: viene a mancare l'elemento "poetico" che compensa solitamente i suoi film più nichilisti; i due protagonisti sono persone senza storia, senza speranza di un futuro. Non sono però due vittime: entrambi sono artefici del loro fallimento. Forse è il film più "politico" di Kitano, quello più critico verso la mentalità giapponese: la mancanza di tentativi di recuperare ragazzi allo sbando (per quanto riguarda la critica alle istituzioni: persino il loro professore, nonostante blandi rimproveri, non muove concretamente un dito per aiutarli) e la rassegnazione ad accettare un ruolo di paria, adottando la violenza come unico mezzo espressivo (per quanto riguarda i due personaggi).
Il film ha un buon ritmo nella prima metà, per poi diventare un po' ripetitivo e prolisso nella seconda.
Fotografia fredda per una Tokyo fatta di grigi e blu, spietata, indifferente.
Buon film, non particolarmente originale ma piacevole da seguire, anche se forse un po' programmatico, schematico.
Voto: 3/5
-Hana-bi
Giappone 1997 - drammatico - 103min.
Il detective Nishi (Kitano) è in un momento critico della sua vita: una sua azione avventata è costata la vita di un collega e la disabilità di un altro; dopo la morte del figlioletto, ora la moglie è malata terminale. Nishi nel tentativo disperato di salvarla fa una rapina per poterla curare.
Assieme a Sonatine e a Dolls, è il miglior film di Kitano, un connubio perfetto di violenza e delicatezza: la prima esplicitata in poche, fulminee scene cui Kitano ci ha abituati fin dal suo esordio, formidabili schegge di raptus improvvisi girate in modo ellittico e non spettacolare, ma dall'impatto assicurato. Per quanto riguarda la delicatezza, basta vedere il film: Kitano parla attraverso i silenzi, attraverso la sua mimica quasi immobile ma in realtà ben più espressiva di molti attori professionisti; il pudico finale, le parentesi pittoriche dell'amico (tutti i quadri presenti nel film sono dipinti realizzati dal regista stesso). Le sempre belle musiche di Joe Hisashi costituiscono il complemento ideale alla narrazione. Il tipico montaggio di Kitano che procede per stacchi netti ed ellissi temporali, conferendo alla pellicola quell'andamento lento e contemplativo tipico del regista, è più che mai adatto ad un film che riflette sulla precarietà dell'esistenza, sul dolore insito in ogni vita, sulla sofferenza propria data da quella altrui, specie delle persone care, sull'assenza di qualsivoglia salvazione. La profonda "giapponesità" di Kitano e dei suoi film unita all'universalità dei contenuti tematici delle sue pellicole ne fanno uno dei più grandi narratori e sociologi del cinema giapponese.
Voto: 4/5
-L'estate di Kikujiro
Giappone 1999 - commedia - 121min.
Masao (Yusuke Sekiguchi), un bimbo di Tokyo che vive con la nonna, vuole andare a trovare la madre che non vede da anni, trasferitasi in un'altra città per, a detta della nonna, lavorare e mandargli i soldi per mantenerlo. Lo accompagna nel suo viaggio il perdigiorno Kikujiro (Kitano), burbero e inaffidabile. Entrambi impareranno qualcosa l'uno dall'altro.
Una piacevole commedia di formazione dalla fotografia luminosa e dal ritmo sereno e disteso, con diversi momenti spiritosi e qualcuno più serio, molti personaggi divertenti ed un po' surreali. Come le lunghe parentesi ludiche di Sonatine, il film sembra fatto apposta per divertire e divertirsi, senza pensare di realizzare una pellicola particolarmente impegnata. Emergono tuttavia alcune tematiche tipiche del regista/attore: solitudine, malinconia, difficoltà relazionali, persino violenza e depravazione, sebbene attutite rispetto ai film precedenti. Kitano gioca e noi lo vediamo giocare: indubbiamente la cosa può interessare o meno, ma nell'apparente banalità del plot rappresentato non è difficile riconoscere la poetica del grande autore nipponico.
Voto: 3/5
-Brother
Giappone 2000 - gangster - 112min.
Uno yakuza (Kitano) deve fuggire per qualche tempo dal Giappone a causa di una disputa interna. si rifugia a L.A. dove c'è un suo parente e con lui e la sua banda scala i vertici della criminalità locale.
Un film un po' debole rispetto alla media di Kitano, si riscatta con molti momenti umoristici. Più che altro è divertente vedere la condizione di un Kitano gangster in mezzo a negri spacciatori e messicani narcos. Comunque l'esperienza non dev'essere stata piacevole nemmeno per i legista stesso, che a causa di vincoli produttivi troppo pressanti ha dichiarato di non voler girare mai più fuori dal Giappone e così ha fatto finora. E' il suo primo film esclusivamente e propriamente gangster dopo Sonatine, e prima che ne faccia un altro bisogna attendere un decennio, quando esce Outrage. Sulla pellicola in sé non c'è molto da dire, il plot è canonico e a volte manca un po' di ritmo nella narrazione. Esistono decine di film migliori dello stesso genere.
Voto: 2/5
-Dolls
Giappone 2002 - drammatico - 114min.
Tre storie legate fra loro dal comun denominatore dell'amore negato/contrastato/impossibile, tre storie in cui i protagonisti sono bambole i cui fili sono manovrati dalle mani del destino, un destino infausto: l'amore impossibile di una coppia di giovani amanti (di cui lei impazzisce); un vecchio yakuza che rimpiange un amore giovanile che tenta di recuperare fuori tempo massimo; lo shock di un fan di una cantante quando questa rimane vittima di un incidente.
Molto originale, con una struttura narrativa griffithiana di montaggio parallelo che ci mostra i punti in comune tra le tre vicende. Stilizzato, a volte di una lentezza che travalica la meditazione per scivolare leggermente nel tedioso (ma senza mai caderci), è un film molto visivo, con scarsi dialoghi e profondamente malinconico.
Intenso, da contemplare.
Voto: 3,5/5
-Zatōichi
Giappone 2003 - avventura - 116min.
Ripresa del noto personaggio letterario giapponese creato da Kan Shimozawa e trasposto sia sul grande che sul piccolo schermo svariate volte, massaggiatore cieco che è anche invincibile spadaccino che vaga di paese in paese vendicando torti e punendo ingiustizie, è stato reso da Kitano un eroe di una divertente sarabanda d'azione e avventura, di film "storico" in costume e film di cappa e spada, con il suo solito pregevolissimo gusto estetico e belle coreografie di combattimento (e danza). Supportato da una stuzzicante colonna sonora di Keiichi Suzuki (subentrato dopo la fine della collaborazione storica fra Kitano ed il compositore Joe Hisaishi), è un elegante esercizio di regia con numerosi momenti di sano divertimento, ma senza esagerare: il pessimismo kitaniano è sempre vigile di fondo.
Voto: 3/5
-Takeshis'
Giappone 2005 - commedia/sperimentale - 108min.
Beat Takeshi viene avvicinato da un uomo di mezza età che gli chiede un autografo; quest'uomo è tale e quale a lui, un sosia. L'uomo, che fra l'altro si chiama Kitano, lavora modestamente come cassiere un un supermercato e cerca senza successo qualche comparsata in film e programmi tv; dopo l'incontro con Beat Takeshi, vivrà surreali vicende (da sveglio e da dormiente) che lo portano ad identificarsi sempre più con il suo alter ego.
Si apre una nuova fase per Kitano, una trilogia surreale che parla di sé stesso in varie forme: in questo film si concentra sul processo creativo che nella sua mente dà vita a personaggi e situazioni che poi si vedono nei suoi film (molte vicende vissute dal "personaggio Kitano" rispecchiano scene di suoi film precedenti). Le sequenze oniriche sono quelle più fantasiose, in cui alcune costanti del suo cinema (la violenza, la danza, la recita) emergono prepotentemente in un frullato senza alcun senso logico: pare di assistere ad un brain-storming che avviene nel cervello del regista. L'aspetto più divertente è ovviamente lo sdoppiamento del regista/attore in due personaggi, di cui Beat Takeshi rappresenta la persona fisica, e Kitano il suo estro creativo. Qualche limite: l'interesse esclusivo degli ammiratori del regista; la non-novità dell'operazione; la prolissità di alcune scene (ad esempio la sequenza un po' lynchana ambientata in una specie di cabaret); l'autocompiacimento eccessivo con cui Kitano è sempre prepotentemente padrone della scena: forse per la prima volta in tutto il suo cinema inizia a diventare stucchevole.
Voto: 2,5/5
-Glory to the Filmmaker!
Giappone 2007 - commedia/sperimentale - 104min.
Kitano è in crisi creativa, ogni suo tentativo di sbancare il botteghino con film di ogni genere fallisce clamorosamente.
Più riuscito del precedente grazie al ricorso ad un'autoironia che mancava in Takeshis' e lo rendeva un po' indigesto, il secondo film della trilogia kitaniana è la versione riuscita di Getting Any?, il suo esperimento fallito del 1995; questa volta il mix parodico di generi funziona, forse perché accolto in una struttura più coesa e meno insensata del film precedente; ogni macrosequenza (che rappresenta un differente tentato film di Kitano risoltosi in disastro) riesce ad essere originale e molto divertente, oltre a ripercorrere la storia del cinema giapponese per grandi somme, passando dai classici di Ozu ai film di fantascienza, fino al più recente j-horror (sequenza particolarmente esilarante). Inoltre se il precedente Takeshis' era incentrato sul personaggio Kitano, questo film è di più ampio respiro e riguarda il cinema più in generale, risultando una visione consigliabile anche a chi non sia avvezzo al cinema del regista/attore nipponico. Sicuramente è l'episodio più spassoso del trittico.
Voto: 3/5
-Achille e la tartaruga
Giappone 2008 - commedia/sperimentale - 119min.
Vita di Machisu, dall'infanzia alla mezza età: rampollo di una ricca famiglia poi caduta in rovina, bambino con un innato talento artistico, da adolescente alterna il lavoro in fabbrica ad un corso di pittura contemporanea, poi si sposa ed ha una figlia ma non riesce a piazzare i suoi quadri; arrivato alla mezza età (e a questo punto è interpretato da Kitano stesso) finisce per estraniarsi del tutto dalla realtà, ossessionato dall'idea di realizzare un quadro che abbia successo, spingendosi verso metodi realizzativi sempre più assurdi.
Il migliore della trilogia, forse perché poggia su una struttura narrativa compiutamente definita eppure allo stesso tempo rimane un film autobiografico con cui Kitano riflette su sé stesso ed i pericoli dell'atto creativo, è un film più lugubre dei precedenti sebbene contenga anche delle parentesi comiche. Il pessimismo proprio di Kitano si sente prepotentemente con l'avanzare del film, che si conclude però in modo più disteso di quanto ci si aspetterebbe. Il titolo fa riferimento al paradosso di Zenone: in una gara di corsa Achille non può raggiungere la tartaruga che gli sta davanti perché dovrà prima coprire metà del tragitto, poi la metà della metà, e così via all'infinito (il paradosso è esemplificato anche all'inizio del film tramite una sequenza animata, anche se è spiegato in modo diverso da come ho scritto qui, ma il senso è il medesimo); allo stesso modo Machisu si avvicina sempre di più al suo sogno senza mai riuscire a raggiungerlo, perché perde progressivamente il contatto con la realtà; questa dimensione autocritica non esclude un ancoramento alla realtà concreta, esterna a Kitano, il che rende Achille e la tartaruga più facilmente assimilabile dal pubblico di massa rispetto ai due film precedenti.
Da segnalare la grande cura estetica e la ricerca cromatica che contrappone una patina sbiadita del mondo reale ai colori accesi dei dipinti, che come al solito sono tutti realizzati da Kitano stesso.
Voto: 3,5/5
-Outrage
Giappone 2010 - gangster - 109min.
Un tafferuglio tra due fazioni di una grande famiglia yakuza cresce sempre più fino a portare a duna catena di omicidi che ne ribalta i rapporti di forza interni.
Un nuovo inizio per un Kitano diverso dal solito che realizza un film di puro intrattenimento, gangster-movie dai dettagli violentissimi, quegli improvvisi scatti di violenza cui ci ha abituato nei suoi primi film (Hana-bi fra tutti) ma senza la componente "poetica" di un tempo, Outrage è uno yakuza movie a tutti gli effetti che mette Kitano sul banco di prova del film d'azione fatto e finito, del film da botteghino programmato a tavolino, dalla regia curata e dai colori freddi, in cui dell'ironia e della forte personalità del Kitano attore poco traspare: per la prima volta infatti egli non è il protagonista principale, ma uno dei due-tre personaggi principali, cui lascia ampi margini di narrazione : forse per la prima volta ci sono personaggi fatti e finiti, ben delineati e con una propria chiara personalità che non siano Kitano stesso. Colori freddi, ambientazione prevalentemente notturna, regia discreta al servizio del plot: Kitano si tiene a bada per non uscire dagli schemi del concept del film di cassetta, e ci riesce bene, facendo godere allo spettatore l'intricata storia di vendette concatenate che costituiscono la pellicola. Nè più né meno di un film d'azione chi cerca di rintracciare rimandi ai film precedenti di Kitano rimarrà deluso: gli unici agganci sono gli yakuza, niente poeticissimi o riflessioni metafilmiche: Kitano evolve o regredisce? Difficile stabilirlo. Si può pensare ad una parentesi leggera dopo tanti film metacinematografici, ma l'annunciata prosecuzione della saga con un sequel fa più pensare ad un'ennesima svolta nel cinema di Kitano, questa volta verso lidi più commerciali e da ampio pubblico.
Voto: 2,5/5
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