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Talassofobia

Creato il 19 luglio 2015 da Il Coniglio Mannaro @elegantbear78
Ai bambini il mare fa bene. Ai bambini il mare fa bene. Ai bambini…
Ripeto la frase come un mantra, muovendo appena le labbra, mentre trascino un passo riluttante lungo il vialetto d’accesso allo stabilimento balneare. La terrazza del ristorante incombe come la guardiola di un campo di concentramento; intravedo la doppia fila di cabine oltre l’ingresso, ai lati di un altro camminamento che conduce alla spiaggia. Non vedo le guardie armate, ma di sicuro sono lì, che mi osservano mentre spingo il passeggino carico di grottesche borse a fiori, riempite allo spasimo: non posso concedermi un passo falso, o un minimo accenno di fuga. Avanti, testa basta, bicipiti tesi, mentre le ruote affondano nella ghiaia grossa, alta due dita.
Dentro. La muraglia compatta di ombrelloni riempie lo spazio del campo. Ai lati, barriere di corda grossa e marrone, tese fra paletti bianchi come ossa spolpate dal sole. La sabbia arroventa l’aria dove aleggiano miraggi; mi assale il lezzo di crema e carne bruciata. Il mare occhieggia in fondo alla distesa di postazioni; è piatto, azzurrognolo, punteggiato di corpi. Un refolo di brezza porta odore di salsedine e putrefazione; il ragazzo del bagno ci guida al nostro ombrellone. Lo osservo mentre cammina: muscoli dorsali ipertrofici guizzano come serpenti sotto la pelle unta. Ha le gambe lisce come i tentacoli di un polipo, il costume minuscolo incastrato fra le natiche, i capelli rasati, un’enciclopedia di tatuaggi sulla schiena e sulle spalle. Quel Superman senza mantello allunga un braccio da culturista per indicare, ieratico, il luogo e gli strumenti destinati al decubito dei nostri corpi; ombrellone, sdraio, lettino: oggetti che nascondono insidie mortali, trappole a molla pronte a scattare al minimo tentativo di regolarne la posizione, mutilando dita, unghie, falangi, a volte arti interi. Talassofobia
Mi osserva a sua volta, modello per un nuovo Adone nudo, mentre in maglietta e bermuda trascino ciabatte e passeggino lungo un solco di sabbia rovente verso la mia postazione. Penso a mio nonno a El Alamein e avanzo, mentre mio figlio getta il biberon di testa nella sabbia: è solo l’inizio; so che prima del tramonto quell’oggetto e molti altri saranno materia di archeologia in futuro.
Il mare fa bene ai bambini, ma i bambini odiano il mare.
È un dato semplice, di immediata costatazione, a cui la mente della femmina umana adulta è completamente refrattaria: l’infante urla, suda, si contorce, rifugge le onde, si aggrappa alle braccia dell’adulto. Se si insiste nell’avvicinarlo all’innaturale elemento marino, adducendo motivazioni ardite e arzigogolate per giustificare le sue manifestazioni di panico – fra le quali si ritrovano quasi sempre la dentizione, le difficoltà digestive e i vaccini – il piccolo talassofobico mette in atto comportamenti autolesivi: si riempie la bocca di sabbia, si getta a capofitto nelle onde, ingerisce crema solare protezione 50. Infine, rassegnato, giace esausto con lo sguardo inebetito, affondato in una sdraia trappola – in attesa della sua mossa fatale da sedia carnivora – o in una ciambella a forma di disco volante in precario equilibrio sulle onde. In questo caso la madre, compiaciuta, fa notare al compagno come il piccolo sia immediatamente a proprio agio, un omino di mare, un pesciolino nato. Nel frattempo il bambino, terrorizzato, produce escrementi che passano direttamente in diluizione omeopatica nell’oceano, dimostrando inequivocabilmente l'inconsistenza della teoria Hahnemanniana perché l’acqua di mare, se mai dovesse avere una sua memoria, soffre di terribili amnesie selettive.
 Il campionario di sostanze disciolte è comunque variegato; la soluzione marina, prossima all’ebollizione, ospita in cottura pezzi di carne umana di tutte le età, con vari gradi di desquamazione e disfacimento, conditi con salse di creme emollienti, idratanti, esfolianti, protettive, rassodanti. Una sinfonia di aromi e sapori degna della più ardita nouvelle cuisine. In questo brodo primordiale, speziato di mucillaginosi filamenti alghiformi, immergo con convinzione i miei figli, sicuro che il pelagico abbraccio gli assicurerà salute e benessere. All’apice del delirio taumaturgico, mentre spingo la testa dei bambini nella brodaglia, affinché penetri nelle loro cavità nasali, rivedo le immagini delle folle di Indù che compiono le proprie abluzioni nel delta del Gange: improvvisamente quell’antica e nobile cultura non mi sembra più tanto lontana.
Più tardi, il disagio si fa paradosso. L’uomo adulto, sulla riva del mare, sopravvive grazie al più odioso degli elementi. La sabbia, che impesta il novantacinque per cento delle coste patrie, e rovina l'esistenza inoltrandosi all’interno degli abiti, delle cavità corporee, degli alimenti, delle borse, del vestiario, dell’abitacolo dei veicoli, e infine nelle case, nei letti, negli uffici dei bagnanti; quell’odiata progenie demoniaca di granelli fini e coriacei, che si impastano di crema e sudore e formano una pellicola inamovibile sulla cute e sulle mucose umane. Sì, proprio questa materia aliena e perversa, per una striscia di circa due metri dalla linea del bagnasciuga, assume la consistenza di una pasta modellabile che, trattata con esperienza e con l’utilizzo di semplici strumenti cavi in plastica, può essere utilizzata per la fabbricazione di edifici in miniatura.
L’arte del castello di sabbia è la salvezza della menta umana maschile: mascherando la pulsione costruttiva con il nobile intento di divertire i bambini, del tutto disinteressati al processo fino alla fase della demolizione finale, schiere di padri esasperati si dedicano a dare ampio sfogo al proprio talento architettonico, liberando dal proprio spirito altrettanti Michelangiolo, Alberti, Canova e Palladio. Fortificazioni ardite, bastioni minacciosi che incombono su coste frastagliate, muraglie e scogliere sormontate di aerei torrioni, guglie imponenti, laboriose canalizzazioni e dedali di passaggi sotterranei sono il frutto di talenti sconosciuti e ignorati.
Su cotanti monumenti troneggiano padri coperti di sabbia, armati di attrezzi infantili e impegnati nell’abbellire le proprie opere di ritocchi sempre più frivoli. Uomini frustrati dall’insofferenza e dall’incomprensione dei familiari e che, all’apice dello scoramento, riscoprono la cameratesca solidarietà maschile: dall’alto delle torri di sabbia i maschi si occhieggiano, si riconoscono, si salutano. Si formano capannelli di uomini sabbiosi che osservano compiaciuti i lavori sul bagnasciuga, commentano le tecniche e le soluzioni architettoniche, descrivono i dettagli, suggeriscono, ammirano, lusingano, invidiano.
Talassofobia
L’unione fa la forza e permette di affrontare a testa alta anche il momento più duro, quello nel quale i figli finalmente si interessano agli sforzi del genitore, ma lungi dall’ammirarne l’abilità e fornire finalmente l’agognato riconoscimento, si avvicinano con l’intento di sfogare l’istinto barbarico che giace, mai sopito, in ogni infante; con cieca ed efficace furia i piedini incerti si avventano con letale sicurezza contro i torrioni, le muraglie, le guglie e le armoniose rotondità delle torri, devastando, calpestando, rovinando, livellando.
Là dove le onde lambivano rispettose le maestose città di sabbia, là dove arabeschi di rena bagnata rendevano nobili le sommità dei piccoli castelli, ora si stende l’informe deserto di sabbia molle, punteggiata di innocenti orme infantili, lasciate da piedini che – per colmo di ingiustizia – sarà compito del padre ripulire dalla sabbia, colpevole di averlo sporcato tutto, con i propri giochi da ragazzino mai cresciuto, invece che dare l’esempio. 

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