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"Tale è la dottrina dello Zen" di Daisetz Teitaro Suzuki

Da Risveglioedizioni

Se l'ignoranza penetrò nella nostra vita "col muoversi di un solo pensiero", è il destarsi di un altro pensiero che deve arrestare l'ignoranza e produrre l'illuminazione. E qui non si tratta di un pensiero tale da essere oggetto della coscienza logica o del ragionamento empirico, perché nell'illuminazione il pensatore, il pensare e l'oggetto del pensiero si fondono in un unico atto, che è la visione della vera essenza dell'Io...
[...] Nell'illuminazione non vi è né processo né giudizio, essa tocca qualcosa di più fondamentale, tocca ciò che rende possibile il giudizio, ciò senza di cui anzi non si potrebbe avere nessuna forma di giudizio. Nel giudizio vi è un soggetto e un predicato; nell'illuminazione il soggetto è il predicato e il predicato è il soggetto; l'uno e l'altro qui si fondono in una unità; non però in una unità di cui si possa affermare qualcosa, bensì nell'unità da cui sorge lo stesso giudizio. Noi non possiamo risalire di là da questa assoluta identità; qui tutte le operazioni intellettuali si arrestano, e se cercano di andare oltre esse finiscono in un circolo nel quale non fanno che reiterare se stesse. [...]

[Nel Samyutta-Nikāya III, 235] si legge: Ananda vide venire da lontano Shāriputra e gli disse: "Sereno, puro e splendente è il tuo volto, fratello Shāriputra! In quale stato d'animo si trova oggi Shāriputra?". "Mi son trovato solo a contemplare e mai è venuto a me il pensiero: Io sto raggiungendo la contemplazione! Io ho raggiunta la contemplazione! Io sono uscito dalla contemplazione!". [...] Quel che qui interessa sottolineare è che la comprensione della dottrina dell'"origine e della cessazione" da parte di Shāriputra non fu il risultato di una sua analisi intellettuale bensì una percezione intuitiva del suo stesso processo vitale interiore. [...] Per intendere la verità dell'illuminazione si deve far agire un potere della mente diverso dall'intelletto [...]. I buddhisti si sono applicati seriamente a risolvere il problema trovando alla fine che possediamo in noi stessi quel che occorre. È una facoltà di intuizione posseduta dallo spirito, atta ad afferrare la verità che ci mostrerà tutti i segreti della vita costituenti il contenuto dell'illuminazione buddhica. [...] Un potere che in un istante e in modo diretto coglie qualcosa di assolutamente fondamentale. [...] Il nome dato dai buddhisti a tale facoltà è prajñā, e ciò che il buddhismo Zen in relazione alla dottrina dell'illuminazione si propone, è destare prajñā mediante la pratica della meditazione. [...] Se questa verità, questo Dharma dell'illuminazione sta al di là dai limiti dell'intelletto, non vi è filosofare che ci farà avvicinare al fine. Dunque come lo apprenderemo dal Tathāgata? Non certo dalla sua bocca, né dai suoi discorsi trasmessi, né con la sola pratica ascetica, bensì dalla nostra coscienza più profonda applicantesi all'esercizio del dhyāna. Tale è la dottrina dello Zen.

Fonte: Saggi sul Buddhismo Zen, vol. 1, cap. II


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