Giro per la rete ormai da un pezzo, mi piace ascoltare le voci di tutti, anche di chi non la pensa come me. Non mi piacciono le generalizzazione e gli attacchi gratuiti. Preferisco pensare che chi fa scelte diverse dalle mie le fa perché ha un vissuto diverso, perché vive in un contesto diverso, perché è una persona diversa da me.
I toni su certi temi però si alzano spesso e questo perché da ambedue le parti c’è chi attacca senza ragionare, convinto di avere la verità in tasca.
Ecco i perché che, secondo me stanno alla base di questi atteggiamenti.
Tra i “talebani del biberon” c’è chi ha (gli viene detto) la coda di paglia: non sono riuscita ad allattare e quindi, per sentirmi meno in colpa difendo la mia “mancanza” come se fosse stata una scelta. A queste mamme io do tutta la mia solidarietà perché penso che di questo abbiano bisogno per poter cancellare dei sensi di colpa che non hanno ragione di esistere (nella società in cui viviamo allattare è quasi un miracolo).
Poi c’è chi invece non ha voluto allattare, per le più svariate ragioni e per questo si sente attaccato e, di conseguenza, si difende rispondendo a testa bassa e negando in toto la bontà del latte materno. Mi risulta francamente più difficile giustificare queste mamme perché negano l’evidenza e non accettano chi non la pensa come loro.
“Talebani della tetta”: anche tra queste mamme ci sono quelle che non ammettono né se né ma. Si allatta, sempre, comunque, a lungo e a richiesta. Se non lo fai sei una pessima madre che non accetta il suo ruolo. Non mi piace questa posizione perché lede la libertà di scelta: la maternità è un qualcosa di molto intimo e personale e coinvolge la parte più profonda di noi stesse. Nessuno dovrebbe permettersi di giudicarla senza conoscerci a fondo.
Poi c’è chi adotta un atteggiamento di strenua difesa perché chi allatta molto e a lungo si trova sempre “sotto attacco” e queste critiche continue scatenano una sorta di reazione per cui al minimo “no” o “ma” o “se” parte la valanga in difesa delle proprie posizioni, per cui tutte le altre sono sbagliate. Comprensibile, ma bisognerebbe, secondo me, imparare a difendersi con la ragione e non con “la pancia”.
Al di fuori delle “talebane” ci sono poi quelle che dicono “sì, lo so, allattare al seno fa meglio, ma io non ci sono riuscita/non volevo farlo e a mio figlio do comunque tutto il mio amore e chi allatta al seno non mi dà alcun fastidio, anzi, fa bene a farlo”. Penso che non sia il massimo come ragionamento dal momento che siamo noi a decidere di mettere al mondo i nostri figli e quindi un minimo di sacrificio per loro lo possiamo anche fare, ma ognuno fa le scelte che crede giuste e, pur non condividendole non me la sento di attaccarle perché rispettano le mie.
Ma anche tra i pro-allattamento ci sono le persone ragionevoli, che cercano di capire, che mediano, che fanno quello che possono coscienti di avere dei limiti.
In realtà tentavo di far capire che le variabili per una decisione così importante sono troppe per dire chi abbia fatto bene e chi male.
Con Tabita e Luca l’allattamento non era più a richiesta da quando ero rientrata al lavoro, avevano dovuto per forza accettare degli orari in cui la tetta non c’era. Di notte avevamo fatto in modo che non cercassero più il seno (se si svegliavano andava da loro il papà con un po’ d’acqua) perché facevano già pasti completi anche la sera (8-10 mesi) e io la mattina avevo la sveglia che suonava come quella di Andrea, quindi la notte era compito di entrambi.
Con Febe il contesto è stato totalmente diverso: la mattina se volevo potevo dormire ben oltre le 7; lo svezzamento è stato più graduale (autosvezzamento) ed è iniziato al rientro dal mare, quando aveva già 7 mesi; la sera è arrivata a fare un pasto completo dopo i 12 mesi; la cameretta non era pronta per il suo lettino e lei dormiva accanto a noi… quando si svegliava poteva anche andare papà, ma lei vedeva me e me voleva, con ciucciata annessa. Tutto questo non mi pesava affatto, nemmeno dopo 18 mesi perché le circostanze erano quelle “giuste”.
E quindi le mie conclusioni sono queste: stessa mamma, stesso papà, stesso contesto socio/culturale, stessa casa ma tempi diversi hanno comportato scelte diverse. Diverse, non giuste o sbagliate. Quindi come potrei io giudicare un’altra mamma che prende decisioni differenti dalle mie? Posso davvero pensare che esistano dei tempi e dei metodi “giusti” validi per tutti?