Tanto tuonò, che piovve. O perlomeno quasi. La ‘povna lo temeva già da qualche tempo, e purtroppo i segni in genere non mentono: venti di tempesta si addensano sopra i Merry Men. Un paio di giorni di indisciplina più che cronica culmina infatti con una nota giusta e ingiusta, data a un esagitato Weber dal professore di scienze Max Gazzè. La ferale notizia (per bocca della collega di Snape e di Mafalda) ha raggiunto la ‘povna mentre, in treno, tornava dall’altro mondo, dove aveva partecipato alla prima riunione per la Neverland prossima ventura.
Già presa da un senso di malinconia che fa capo allo scorso settembre (e a parecchie e cupe riflessioni sul passato e sul futuro), la ‘povna ha passato il resto del viaggio (e una cospicua parte del suo credito) a parlare al telefono con amici e conoscenti. Con un senso crescente di inanità, timore di non riuscire a ricatturare il bandolo, incazzatura (con il collega piùcheretto), senso di frustrazione.
Intendiamoci: che i Merry Men, spesso, possano essere addirittura insopportabili lei non fa fatica a crederlo. Ed è dotata ancora di sufficiente buon senso per non confondere severità e amore. Resta il fatto però che – anche se le ragioni del loro acufene permamente (che può degenerare in altro) sono tutte chiare e sotto gli occhi (e fanno capo alla loro peculiare esperienza: una storia di indisciplina, caos, mancanza di rispetto, e dunque conseguente selezione, in prima superiore) – sono le classi come loro a mettere davvero di fronte al significato profondo di essere insegnanti (perché è facile cavarsela quando sono tutti belli e bravi). E dunque la ‘povna non sa cosa fare.
Ed è così che – mentre girava i suoi pensieri un poco a vuoto, macerandosi – si è messa a frugare tra i vecchi files dell’Onda. Fino a ritrovare un vecchissimo scritto di Corto, ancora in prima. Si era febbraio del 2008, e lui, bombardato di adolescenza, aveva preso un po’ una brutta piega. Il professor Cleaning lo aveva così beccato un paio di volte ad abbozzare una semiforca, mentre passava una buona parte del tempo dopo la prima campanella, sereno e tranquillo, al bar a cazzeggiare. Vista l’inutilità di ogni azione ufficiale e canonica, la ‘povna, alla fine, esasperata, decise di ricorrere a un rimedio che le è caratteristico, e prescrisse al giovane reprobo il commento scritto di questa parabola evangelica, lasciando alla sua già allora vivace intelligenza il compito di trarne una morale. Fu la prima delle prove eccezionali di Corto, ed ebbe come conseguenza (inevitabile) il fatto che la ‘povna si sia astenuta, da allora, dal riproporre questo suo esperimento a qualche altro alunno o classe. Deve ammettere però che con Weber (e Soldino, e Piccolo Giovanni e Pesciolina e i Merry Men più o meno tutti) la tentazione le è venuta spesso. Fino a oggi. Che è ritornata su quel vecchio file così acuto e così acerbo. E, forse, finalmente, ha capito cosa fare.
Martedì prossimo, dunque, in occasione del consiglio, la ‘povna prenderà la parola per ultima. E, con tutta la forza che ci saprà mettere, leggerà ad alta voce le parole di Corto. Non agli alunni, ma agli insegnanti: per se stessa e tutti loro.
Il servo pecca di forza di volontà, come il padrone pecca di durezza; non c’era motivo di trattare il servo in quel modo, dopo tutto aveva solo risparmiato il suo talento. La troppa durezza non solo inasprisce i rapporti, ma non fa contenti nessuno dei due: il padrone come il servo non hanno fatto giustizia. Il servo non è riuscito a soddisfare il padrone e il padrone non ha ben punito il suo servo, infatti lui non aveva dato un ordine esplicito. Il servo ha agito secondo quello che si sentiva, forse sbagliando. Avrebbe dovuto far fruttare il suo talento; tenendolo chiuso non ha fruttato quello che avrebbe potuto: un talento in più e la gratitudine del padrone, ma per cosa? Per poi restituirgli il suo guadagno? Essere sempre sotto il suo controllo, essere potente, avere soldi e terre, ma solo per rimanere agli ordini del padrone? Sarà sempre e solo un servo. Il padrone pecca di avidità, come dice il servo: “so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”. Quindi cosa avrebbe dovuto fare: lasciare che il padrone raccogliesse dove non ha seminato oppure opporsi? Cosa sarebbe stato davvero conveniente per lui? Ha scelto certamente la strada più facile, la strada che arrecava meno impegno. Il minimo indispensabile non sempre è accettato: certo, il padrone poteva accontentarsi, ma ha chiesto di più, punendo il servo drasticamente. Non so a chi dare ragione: nascondere il proprio talento, non farlo fruttare, non fa rimediare nulla; logicamente il padrone ha ragione, è giusto il suo ragionamento. Può darsi però che il servo non si sia reso conto di quello che aveva in mano, sprecando il suo talento. Vedendo tutti gli altri servi con 2 o più talenti, lui che ne aveva uno solo si sentiva inutile, forse senza speranza, non aveva pensato a farlo fruttare… Questa forse era la colpa del servo, la colpa dell’ignoranza, della propria cecità, nascondere e proteggere il suo talento lo faceva sentire sicuro, come se bastasse, e invece l’ha portato alla disfatta.