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Tamarreide, bestiario

Creato il 21 giugno 2011 da Marco4pres

Il punto cardine del programma – che per il logo ha plagiato Guitar Hero – sono le parole con la erre da far pronunciare a Fiammetta Cicogna, presentatrice passata alla storia per una serie di spot idioti. La svampita bionda sgallettata ci si para davanti uscendo da una lunga limousine nera che poco s’intona col suo abbigliamento da spiaggia e si mette a elencare tutti i sinonimi – veri o inventati apposta per il suo difetto di pronuncia – del termine che con buona pace di Virgilio e della dizione dà il titolo al programma e un sorriso che fa credere che sappia davvero di cosa stia parlando. O che non lo faccia per soldi. A sentir lei abbiamo il culo di presenziare all’apoteosi delle uniche otto creature dell’universo che si fregino con orgoglio dell’appellativo di “tamarro”, equamente divise in galeotti e giovenche nella salvifica missione di farci “finalmente [...] scoprire cosa significa vivere come un vero tamarro”.

Tamarreide, bestiario

Il primo esemplare che ci viene presentato è Claudio, postino coatto de Roma che parla come Er Monnezza che ha ingoiato il gorilla del Crodino e legge Tamarreidi sulle fiancate vomitanti fiamme e teschi del bus che dovrà sopportare lui e i suoi sodali per un mese. Spavalda, la regia ha l’idea di sottotitolare in italiano i suoi deliri, come se tra il pubblico del programma ci fosse qualcuno in grado di leggere e decifrarli. Durante un siparietto à la Johnny Bravo, fuori campo aleggia la recitazione della sorella, che ci racconta della miracolosa palestra che l’ha aiutato a diventare tamarro. Roba da donargli l’8×1000. Ma Claudio non è solo muscoli e tatuaggi, a lui “piacciono le donne, in tutti i sensi”, come ci dismostra sùbito, qualunque cosa voglia dire:

Mai stato abbandonato da ‘na donna, anzi, ‘o sempre scanzate io: ne conosco una a’a matina, m’aa trombo la sera, e poi er giorno dopo no’ ‘a vojo più senti’ perché… nun me dà gnente.

Maledette troie. Dopo aver chiamato “carattere” l’”egocentrismo” e “personalità” la “maleducazione”, entrano in scena sua madre e il suo pagliaio, che si dichiarano sicuri che quando tornerà sarà sempre lo stesso, cioè uno scemo senza speranza. La sorella, invece, conferma che è il più buono del mondo, così buono che “basta un attimo per trasformarlo in una belva” e che secondo lei “litigherà con qualcuno”. Finalmente Claudio ci saluta – purtroppo è un arrivederci - e si mette a fissare i letti con sguardo ebete.

La prima truzza femmina che ci viene presentata è la ventiquattrenne Angelica (!) che, con la voce di Maurisa Laurito e le zinne di Jessica Rabbit punta da un’ape, chiama il bus “casa” (?) e sottolinea senza posa come ogni particolare sia stato fatto proprio per lei, tanto per far intendere quanto sia in disaccordo con Copernico. Mentre è ancora fuori dal veicolo, le sue tette hanno già fatto la conoscenza di Claudio, a bordo, e mandato in ebollizione il sistema simpatico (almeno quello) del ragazzo che, ormai prossimo all’eiaculazione, non riesce più a mettere in fila i pochi bisillabi di cui il suo vocabolario è fornito. Vicina ai precari in piazza di questi giorni, la procace napoletana dichiara smargiassa di lavorare solo quando trova un impiego che le piace – cioè il pezzo di carne in discoteca – sennò “disoccupata”. Giusy, la mamma di Angelica, sciorina una serie di eufemismi con esperienza da cintura nera per non dire esplicitamente ciò che pensa davvero della figlia, mentre Michi, il cornuto fidanzato, mette in scena con lei un patetico teatrino in cui finge di avere ancora un paio di testicoli tra le gambe. Prima di lasciarci al prossimo caso umano, però, Angelica ci pone un interrogativo freudiano: «Cosa c’è di più femminile di un seno prosperoso?» La classe, ad esempio.

La regia indugia sulla neonata amicizia tra Claudio e Angelica con la sovrimpressione di alcune frasi significative, dette male e scritte peggio del loro erudito dialogo, tipo: “occhio co sti’ trampolini”.

Manuel, sguardo da mantide religiosa e piercing ai capezzoli da portone di casa, ci dice di essere un giocatore di tennis semiprofessionista. Il fatto che ci mostrino un servizio sbagliato la dice lunga sulla sua attendibilità, specie quando spara di essere stato con duecento donne ma che – sgomento! – non gli hanno lasciato niente, neanche un herpes. Almeno ha di cosa parlare con Claudio, e non sembra facile farlo senza usare i gesti. Secondo lui sul tamarro grava l’arduo e semanticamente errato compito di “esagerare, ma sempre nei limiti”.

Marika, ventiduenne romana, fa la vocalist – probabilmente per le suonerie degli stornelli – chiama “infanzia” la tarda adolescenza e confessa che a scuola non aveva amici e che tutte le donne la volevano picchiare. Figuriamoci adesso. In barba a una vecchia foto in cui è un cesso inguardabile, giura d’esser nata tamarra e di non seguire “una moda”, anche se «comunque il piercing e il tatuaggio è tamarro, e quindi io ho il piercing sulla lingua e tutti tatuaggi vari». Seguono poi diversi contributi di amiche con gravi disordini grammaticali – roba che due dita in gola non bastano – che denunciano la superficialità della ragazza. Ragazza che si applica ma non ha le capacità:

A voglio far vedere, comunque che anche una… una tamarra, anche se parla in questo – in questa maniera… cioè, comunque, c’ha ‘intelliggenza: io lo dico, non sono colta ma sono intelliggente, che ‘intelliggenza còlta molto deppiù, perché non è detto che se-se-sessei colto sei anche intelliggente.

Torniamo nel bus, dove ‘o sistemone di Claudio per rimorchiare prevede di far notare a tutti e tutte quanto vicini siano i letti, vedremo se il giudice la riterrà un’attenuante valida in caso di stupro. Marika confida alla telecamera di aver avuto una buona impressione de “‘a tettona” e degli altri due mentre Manuel ricorda alle ragazze di stare attente alla testa come se fossero delle cretine qualsiasi, quando invece sono delle cretine da competizione. Di Angelica si vedono solo le tette.

Fiammetta, intanto, sempre più a disagio, sempre più gialla e sempre più di tre quarti, ci presenta così i prossimi due coglioni ragazzi che le danno lavoro: “Antonio, il tamarro grezzo, il campagnolo siciliano”, e Cristiana, “milanese viziata”. E immaginatevi se le stavano sul cazzo.

Antonio, uscito da un luogo comune, esordisce sospirando “meenchia” alla vista dell’autobus e ha anche lui il privilegio di essere sottotitolato, ma parla così male – ha ventun’anni ma sembra Fiorello che imita Camilleri con un calzino in bocca – che in regia non capiscono neanche il soprannome. Il padre del giovane, un ex-gerarca nazista che raccoglie agrumi in mimetica, si è bevuto le palle sui tamarri che gli ha raccontato il figlio, il quale probabilmente gli scambia anche le pillole. Secondo Antonio i tamarri si capiscono da uno sguardo, nel senso che ne hanno uno solo: quello dei Teletubbies di fronte a un telefono a disco.

Al di là del nome e della madre uscita (devastata) da X-Files, Cristiana è la mia preferita. La meno tamarra in senso stretto del gruppo, sembra molto intelligente e, a diciannove anni, di gran lunga la più matura del gruppo. Il fatto che abbia detto che il suo ideale sono i venticinquenni come me non c’entra niente, il mio affetto è sincero, ho anche superato il suo presentarsi a Claudio stuzzicandogli il prepuzio anziché con una stretta di mano.

Fiammetta ha questo dono di natura di far facce che non c’entrano niente col tono e – quando c’è – col contenuto di quello che sta dicendo, mentre alla regia interessano solo i pareri di Marika e Antonio, che già mi stanno sul culo. Cioè più degli altri.

E arriva la prima bestemmia del programma, la mia. Ricordate che Claudio aveva letto Tamarreidi? Orbene, l’ultimo idiota maschio del branco gruppo s’impunta addirittura a metà parola, e quel che è peggio è che, oltre a essere palesemente fuori luogo come una vergine in un convento, si chiama come me! Marco è di Torino, ha lo sguardo dolce, la capacità recitativa di una palla da biliardo e una macchina che vedrei bene in Street Fighter II.

Tamarreide, bestiario

Finiamo la parabola discendente con Melissa, ovvero l’omino Michelin ossigenato e leopardato, nonché il terzo esperimento personaggio con la erre moscia del programma, sponsorizzato ormai dall’Associazione Italiana Logopedisti Suicidi.

Finiscono le presentazioni e scopro due cose che mi lasciano con l’amaro in bocca: si sono dati dei soprannomi molto meno fighi di quelli che gli ho affibbiato io e, parola di Fiammetta, potrebbe esserci un tamarro dentro ognuno di noi. Forse sì, forse no, io per sicurezza il mio l’ho depositato in bagno giusto qualche ora fa.

Auguro ai ragazzi di seguire davvero le orme di Enea: giungere a una nazione tutta loro dove fermarsi e trovar pace. E non rompere il cazzo a nessun’altro.

-m4p-



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