Questo articolo è apparso domenica su Osservatorio Iraq – Nord Africa e Medio Oriente. (Rimbalzava nella mia testa da un po’ di tempo, ma solo ora ho trovato la giusta ispirazione per scriverlo. In coda al post trovate qualche immagine della libreria, dentro e fuori).
Durante i giorni di forte vento, quando le nuvole dello stretto lasciano il cielo di un bel blu terso, la costa spagnola, vista dalla Bab al-Bahr (“porta del mare”) della casbah, appare talmente vicina che sembra di poterla toccare con le dita.
Vista dai resti del cimitero fenicio
Sono quei maledetti 14 chilometri che separano Tangeri dalla Spagna, l’Africa dall’Europa, che agli occhi dei migranti che li guardano dall’alto della casbah sembrano ancora meno. Gli scrittori marocchini hanno versato fiumi di inchiostro sulle speranze e le delusioni dei migranti in procinto di partire per l’Europa e lasciare la propria terra.
Eppure c’è stato un tempo non troppo lontano in cui Tangeri era la meta preferita di europei e nordamericani alla ricerca di un porto libero in cui rifugiarsi, per scappare dall’asfissiante perbenismo dell’Occidente e dalle sue guerre.
Ma Tangeri era anche conosciuta come la città bianca dall’anima nera, per via della sua reputazione macchiata da storie e leggende che parlavano di alcolismo, prostituzione e malaffare.
Dal 1923 al 1956, anno dell’indipendenza del Marocco dalla Francia coloniale, la città ventosa fu governata da un’amministrazione internazionale e quei decenni passarono alla storia come il periodo dell’Inter-Zona. Governata da ricchi europei espatriati che rappresentavano la metà dei 70mila abitanti dell’epoca, “nessuna città in Marocco presentava un volto meno marocchino”, scrive Terence MacCarthy nel suo breve saggio Beyond the columns. A History of the Librairie des Colonnes, Tangier and its Literary Circle (The Black Eagle Press, Tangier 2013).
In quegli anni Tangeri diventò un vero “porto di mare” accogliendo chiunque fosse in cerca di regole più rilassate, di un ambiente cosmopolita e variegato, di amori non ortodossi e di una cultura eclettica: spie, rifugiati politici, omosessuali, speculatori, giornalisti, lord decaduti, lady che avevano dato scandalo, fumatori di oppio.
E, soprattutto, divenne il rifugio degli scrittori della “Beat Generation” come Jack Kerouac, William Burroughs, Truman Capote, Tennesse Williams, Jean Genet e naturalmente Paul e Jane Bowles, pilastri della vita culturale per gli anni a venire (Bowles morirà a Tangeri nel 1999).
Il salotto culturale tangerino par excellence nasce nel 1949 al numero 54 di Boulevard Pasteur, nel cuore della città: è la Librairie des Colonnes, la terza “impresa culturale di questo tipo” fondata in Marocco dopo la Librairie Céré di Rabat e la Librairie Farraire di Casablanca.
Affacciata sul boulevard più importante della città, a pochi passi dalla medina, dal Gran Café de Paris e dal Minzah (che ancora non era un Hotel), la libreria, grazie alla direzione congiunta di Isabelle e Yvonne Gérofi (le due, una ebrea ungherese, l’altra belga, erano cognate ma le legava una relazione più profonda, quanto sconveniente per l’epoca) diventa in pochissimo tempo anche un salotto letterario, una galleria d’arte.
Il ritrovo preferito di Bowles e dei suoi colleghi scrittori, il posto perfetto in cui gironzolare alla ricerca di libri in francese, spagnolo, inglese e arabo.
Anche gli artisti marocchini la frequentano: il pittore Ahmed Yacoubi, uno dei protégé di Bowles e a cui Francis Bacon aveva fatto da mentore, fa lì il suo debutto nel 1951, seguito dal maestro dell’astrattismo geometrico Romain Ataallah, la cui personale viene organizzata nel 1958. L’ultimo protetto di Bowles ad esibire le sue opere è stato Mohammed M’rabet, artista e hakawati, invitato dall’attuale direttore della libreria, il francese Simon-Pierre Hamelin. La lettura continua su Osservatorio Iraq!
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