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Prassi antica e comune a tante culture, la cremazione, come forse non molti sanno, è regolamentata da apposita legge nazionale, per la precisione la n° 130 del 30 marzo 2001, nonché avallata da esplicito sigillo di approvazione pontificia il 5 luglio del 1963, allorché papa Paolo VI in persona dichiarò testualmente che «l’abbruciamento dei cadaveri, come non tocca l’anima e non impedisce all’Onnipotenza Divina di ricostruire il corpo, non è cosa contraria alla religione cristiana».
Tali autorevoli parole non devono essere mai giunte alle orecchie del parroco della chiesa di San Pio X a Marghera, il quale ha vietato l’esecuzione di un funerale nella chiesa da lui amministrata con la motivazione che la defunta avrebbe espresso il desiderio di essere cremata e, in particolare, di avere le proprie ceneri disperse in laguna: eventualità impossibile dato che, secondo il solerte sacerdote, la dispersione delle ceneri sarebbe «vietata dalla Chiesa». Il rifiuto del parroco avrebbe innescato una furlana turbinante, una frenetica girandola non molto carnevalesca e neppure, è lecito supporlo, molto divertente per il marito della defunta: una gitarella non propriamente di piacere alla ricerca di una chiesa che si degnasse di ospitare le legittime ultime esigenze della signora.
Poco importa che la legge nazionale di cui sopra permetta, all’articolo 2, la dispersione delle ceneri dei defunti e che in tal proposito vi sia persino, a fare da eco a questa legge, il regolamento comunale di polizia mortuaria che a Venezia dispone di liberare le ceneri a 700 metri dalla costa. Non importa: evidentemente impaurito dalla circostanza che il vento lagunare possa riportare indietro al mittente gli impalpabili resti all’atto della dispersione, oppure schiacciato dalla mole non propriamente cinerea di due papi tutto sommato, rispetto ad altri, in odore di comunismo, il parroco ha nicchiato e feretro e famigliari hanno dovuto ripiegare su una più accogliente chiesa di Mestre.
Trasferita la defunta, per il parroco di San Pio X non resta che evocare lo spettro del papa che dà il nome alla sua parrocchia, magari a braccetto col fantasma di Paolo VI; all’affermare di quest’ultimo che «non saremmo cristiani fedeli se non fossimo cristiani in continua fase di rinnovamento», immaginiamo il primo sorridere sornione e fare eco, a proposito della gran novità di quegli anni ossia lo scandaloso tango, «mi me pàr che sia più bèo el bàeo a ‘ea furlana; ma nò vedo che gran pecài ghe sia in stò novo bàeo!» (A me sembra che sia più bella la furlana; ma non vedo che gran peccato vi sia in questo nuovo ballo). E il pretino convincersi che forse non c’è un gran peccato nemmeno nel disperdere le ceneri, visto che l’ha detto qualcuno prima di lui. Disgraziatamente non in veneto, ma è stato detto.
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